IL PROTOCOLLO DI KYOTO Il protocollo di Kyoto è un trattato internazionale in materia ambientale riguardante il riscaldamento globale sottoscritto nella città giapponese di Kyotol'11 dicembre 1997 da più di 180 Paesi in occasione della Conferenza COP3 della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). Il trattato è entrato in vigore il 16 febbraio 2005, dopo la ratifica anche da parte della Russia. Il 16 febbraio 2007 si è celebrato l'anniversario del secondo anno di adesione al protocollo di Kyōto, e lo stesso anno ricorre il decennale dalla sua stesura. Con l'accordo Doha l'estensione del protocollo si è prolungata fino al 2020 anziché alla fine del 2012 . Il trattato prevede l'obbligo di operare una riduzione delle emissioni di elementi di inquinamento (biossido di carbonio ed altri cinque gas serra, ovvero metano, ossido di azoto idrofluorocarburi, perfluorocarburi ed esafluoruro di zolfo) in una misura non inferiore al 8% rispetto alle emissioni registrate nel 1990 – considerato come anno base – nel periodo 2008-2013. Perché il trattato potesse entrare in vigore, si richiedeva che fosse ratificato da non meno di 55 nazioni firmatarie e che le nazioni che lo avessero ratificato producessero almeno il 55% delle emissioni inquinanti; quest'ultima condizione è stata raggiunta solo nel novembre del 2004, quando anche la Russia ha perfezionato la sua adesione. L'Unione europea è la principale sostenitrice internazionale del protocollo. Tra i Paesi non aderenti figurano gli USA, i responsabili del 36,2% del totale delle emissioni di ossido di carbonio (annuncio del marzo 2001). In principio, il presidente Bill Clinton, incoraggiato dal vice Al Gore aveva firmato il protocollo durante gli ultimi mesi del suo mandato, ma George W. Bush, poco tempo dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, ritirò l'adesione inizialmente sottoscritta e promessa in campagna elettorale. Alcuni stati e grandi municipalità americane, come Chicago e Los Angeles, stanno studiando la possibilità di emettere provvedimenti che permettano a livello locale di applicare il trattato. Anche se il provvedimento riguardasse solo una parte del paese, non sarebbe un evento insignificante: regioni come il New England, da sole, producono tanto biossido di carbonio quanto un grande paese industrializzato europeo come la Germania.

L'India e la Cina, che hanno ratificato il protocollo, non sono tenute a ridurre le emissioni di anidride carbonica nel quadro del presente accordo, nonostante la loro popolazione relativamente grande. Cina, India e altri Paesi in via di sviluppo sono stati esonerati dagli obblighi del protocollo di Kyoto perché essi non sono stati tra i principali responsabili delle emissioni di gas serra durante il periodo di industrializzazione che si crede stia provocando oggi il cambiamento climatico. I Paesi non aderenti sono responsabili del 40% dell'emissione mondiale di gas serra.

Gas serra, l'Italia centra l'obiettivo del protocollo di Kyoto Il nostro paese ha ridotto le emissioni del 25% tra il 2005 e il 2013, centrando gli impegni dell'accordo siglato in Giappone e andando oltre i target al 2020 previsti dal pacchetto clima-energia dell'Unione europea. Ma adesso non bisogna fermarsi ROMA - Siamo meglio di come ci descriviamo: partiamo tardi e ci complichiamo la vita, ma alla fine recuperiamo in corsa. Sulla difesa del clima i governi italiani hanno prima tergiversato, poi rallentato l'innovazione con iniezioni massicce di burocrazia, ma nonostante tutto il risultato è stato raggiunto. L'Italia ha ridotto le emissioni di gas serra del 25% tra il 2005 e il 2013, centrando gli impegni del protocollo di Kyoto e andando oltre i target al 2020 previsti dal pacchetto clima-energia dell'Unione europea. Effetto crisi? Sì ma solo in parte. Prendiamo ad esempio il 2013. Secondo i calcoli della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, che oggi ha presentato il dossier Clima 2014, la contrazione del Pil che si è registrata lo scorso anno è responsabile di una metà scarsa della diminuzione delle emissioni. Il resto è merito delle rinnovabili, dell'efficienza energetica e di stili di vita più sostenibili. Tradotto in numeri significa che in Italia nel 2013 le emissioni di gas serra si sono attestate a 435 milioni di tonnellate di CO2 equivalente (l'unità di misura che registra l'assieme delle emissioni serra). Vuol dire un taglio di oltre il 6% rispetto al 2012: l'andamento virtuoso della riduzione dell'inquinamento è stato molto più rapido dell'andamento negativo dell'economia. A fare la differenza - nonostante le trappole che da qualche anno vengono disseminate sulla strada dell'energia pulita - sono state in buona parte le fonti rinnovabili arrivate al 38% della produzione elettrica lorda nazionale. Una crescita che, assieme a una revisione delle nostre abitudini quotidiane, ha portato a una diminuzione del consumo di combustibili fossili dell'ordine del 5% (3,4 milioni di tonnellate di petrolio, 4,8 miliardi di metri cubi di gas, 3,7 milioni di tonnellate di carbone). Guardando al 2030, il target di riduzione leggero proposto dalla Commissione europea (40%) appare, secondo le simulazioni del rapporto, un traguardo scontato: lasciare l'asticella a quell'altezza significherebbe far venir meno uno stimolo importante ai processi di innovazione tecnologica che in questo periodo hanno arginato l'effetto crisi. Fermarsi sarebbe rischioso anche perché si compete in un contesto in rapido movimento: l'assieme dei paesi industrializzati ha ridotto le emissioni serra in una misura quasi tre

volte superiore a quella prevista dal protocollo di Kyoto. Nonostante questo la CO2 continua a crescere (più 30% dal 1990) per effetto dell'aumento registrato nei paesi di nuova industrializzazione che non avevano impegni di riduzione e che dovranno assumerli con il nuovo trattato in discussione. Un trattato più volte rinviato ma sempre più urgente. L'anno scorso - ricorda Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile - la concentrazione della CO2 in atmosfera ha raggiunto le 400 parti per milione, un record da almeno 800.000 anni. Il 2013 figura tra i dieci anni più caldi mai registrati. E l'effetto del global warming sul Mediterraneo è particolarmente pesante: dal 1850 a oggi i ghiacciai alpini sono diminuiti del 55%, mentre i disastri meteo degli ultimi mesi ci ricordano che stiamo già cominciando a pagare il conto del dissesto climatico.

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