© Logoi.ph – Journal of Philosophy - ISSN 2420-9775 N. I , 3, 2015 – Playing and Thinking
Sterpeta Cafagna Il naso di Gogol’ e la questione dell’identità in Paul Ricoeur. Laboratorio ludico-didattico 1) Scheda didattica Tipologia: Occorrente: Descrizione:
Programmazione:
Prerequisiti:
Giocare con i testi1. Carta e penna. Fotocopie di passi tratti Il Naso di Gogol’ (oppure un .ppt con testi e immagini). Dopo aver introdotto il testo di Gogol’ e alcuni elementi relativi alla concezione di medesimezza e ipseità in Ricoeur, i ragazzi, divisi in gruppi, proporranno una loro drammatizzazione sul tema dell’identità. L’attività è proposta come momento di riflessione sul concetto d’identità attraverso la mediazione del pensiero di Ricoeur e l’immaginario narrativo di Gogol’. Può essere inserita all’interno di un’unità di apprendimento relativa a tema dell’identità e del soggetto nel Novecento. Può essere utile (ma non indispensabile) un’introduzione al pensiero di P. Ricoeur e alle opere di N. V. Gogol’. In questo caso, per Ricoeur, si consiglia di leggere in aula frammenti dell’intervista a Ricoeur del 1991 dal titolo Descrivere, raccontare, prescrivere.
SVOLGIMENTO: Prima Fase: L’insegnante introduce e spiega il racconto Il naso di Gogol’. Si consiglia di usare del materiale video o immagini ispirate all’opera, per aiutare i ragazzi a entrare nel vivo della narrazione. È importante sottolineare quei passi del racconto dove emerge lo sconforto del protagonista di fronte alla sciagura e spiegare (per la contestualizzazione) alcuni elementi della società borghese. Seconda fase: Ancora un momento di spiegazione. L’insegnante, terminata la lettura di Gogol’, introduce la differenza tra identità idem e identità ipse in Ricoeur (si può sfruttare l’intervista Descrivere, raccontare, prescrivere2). Emerge il problema del tempo come questione necessaria e imprescindibile in relazione all’identità dell’io. È come se l’io avesse due modi diversi di rapportarsi al tempo: uno che Ricoeur indica attraverso l’identità-d’immutabilità (idem), in cui identità stessa può essere ricondotta all’idea di sostanza, di durata nel tempo stesso. Un’altra modalità, invece, è quella per cui un soggetto è in grado di mantenere una promessa nel tempo attraversandolo e mutando con esso (identità-ipse). È ciò che Ricoeur chiama identità narrativa, quella del Seguiamo qui la tipologia delle schede ludiche proposte in A. Caputo (con la collaborazione di R. Baldassarra e A. Mercante), Philosophia ludens. 240 attività per giocare in classe con la storia della filosofia, La Meridiana, Molfetta (BA), 2011 (pp. 692 – con CD allegato). Rimandiamo a questo testo per un approfondimento della metodologia e per altre proposte di didattica ludica. 2 http://www.emsf.rai.it/Aforismi/aforismi.asp?d=138 1
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personaggio in una storia. Per il momento, è bene che i ragazzi lavorino solo sulla dicotomia idem e ipse. Terza fase: A partire dalla dicotomia si divideranno in ragazzi in due gruppi (o comunque in un numero pari di gruppi; si sconsiglia comunque di superare i quattro). A ciascun gruppo sarà chiesto di lavorare su un tipo d’identità, idem o ipse, elaborando una loro drammatizzazione in merito: o sotto forma di dialogo e come rappresentazione muta. Quarta fase: L’insegnante deciderà se creare un gioco a squadre e dunque dare un punteggio ai lavori, in base alla creatività e alla coerenza con i temi trattati, oppure se passare direttamente al debriefing finale, in cui i ragazzi dovranno confrontarsi rispetto a quanto vissuto e appreso 2) Presentazione dell’esperienza svolta Il presente laboratorio rappresenta il primo di una serie d’incontri legati a un percorso tematico sull’identità dal titolo Le immagini del Sé tra alienazione, identità e libertà. Il percorso è stato proposto durante alcuni incontri pomeridiani ai ragazzi dell’ultimo anno del Liceo Classico ‘A. Casardi’ di Barletta nel 2013. Abbiamo scelto di proporre il racconto de Il naso di Gogol’ per il modo curioso in cui è trattato il problema dell’identità: il racconto, con il suo immaginario potente, è utilissimo a nostro avviso, non solo a porre la questione della corporeità (il corpo che sono e che mi appartiene), ma soprattutto a porre la questione del corpo che ho, che gli altri guardano e identificano. Certo, anche una lettura sartriana a proposito non sarebbe andata male. Leggendo il racconto, infatti, si nota subito quanto la prima cosa che preoccupi il protagonista la mattina in cui il suo naso scompare, sia non tanto cosa gli fosse accaduto, quanto la vergogna di quanto fosse sconveniente, per un uomo nella sua posizione, perdere il naso. E per giunta, non perché ferito in battaglia - scusa accettabile e degna per i suoi pari - quanto perché semplicemente è accaduto. Accade che alcuni eventi ci cambino. Inevitabilmente. È questo anche il punto da cui sono partiti i ragazzi per le loro rappresentazioni. Si sono riuniti; hanno discusso; fatto prove e alla fine hanno proposto la loro versione de Il naso. I due gruppi formati in classe hanno lavorato dunque al tema dell’identità personale, ma è stato inevitabile per loro affrontare il problema da un punto di vista più ampio, ovvero dell’io in rapporto all’altro e agli altri. Un gruppo in particolar modo ha fatto un lavoro che merita di essere ricordato. Si è cimentato in una rappresentazione muta. Sei partecipanti, tutti vestiti in modo più o meno simile eccetto che per un particolare capo di abbigliamento o accessorio ben in mostra e una maschera fatta con semplice cartoncino con un bel sorriso stampato su. Cinque ragazzi in fila e uno in disparte, quasi spoglio di particolari in vista. Quest’ultimo, l’unico senza maschera, inizia una strana sfilata in cui di volta in volta prende uno degli accessorio degli altri e lo indossa: dapprima sono un paio di scarpe alla moda, poi una particolare borsa, poi ancora un paio di occhiali da sole. Al termine di questo turbinio di cambiamenti, i cinque vanno via dalla scena e resta solo l’ultimo ragazzo con indosso tutti gli elementi appartenenti agli altri. Come ultimo atto si copre il visto con una maschera, inquietante: ci sono ritagliati solo i fori per gli occhi, ma nessun sorriso. Ho chiesto al gruppo di raccontare a parole meglio che cosa volessero dimostrare, e la loro risposta è stata curiosa. Il confronto con gli altri, mi arricchisce, è vero, ma rischia di alienarmi quando copre ciò che sono. L’indossare i panni degli altri è stato visto come un elemento di omologazione e forzatura. Il primo protagonista senza maschera è alla ricerca di una sua identità, un suo 280
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volto, ma nell’incontro con l’altro si perde in tante imitazioni, fino a diventare un volto senza espressione. Rispetto a Gogol’, insomma, sembra quasi che qui i ragazzi abbiano attuato un processo inverso: nella loro rappresentazione non si è perso un pezzo di sé, del proprio corpo, ma si è cercato di riconoscere se stessi con l’altro e attraverso l’altro. Ma se questa ricerca è spinta solo da un desiderio di omologazione e accettazione, da parte della società (ecco la sconvenienza!), allora davvero si perde la propria identità.
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