Dark Moon, la farfalla di pietra (Bluenocturne N° 16)

Poison Study Study Trilogy 01

Condannata a morte per omicidio, Yelena ha un'unica possibilità: diventare l'assaggiatore ufficiale del Comandante Ambrose. Ma le torture subite sembrano averle rubato l'anima, facendo di lei un simulacro vuoto, una farfalla di pietra simile al ciondolo donatole dal suo salvatore. Emozioni e sentimenti sono banditi entro le severe mura dell'antico palazzo reale, dove nessuno, amico o nemico, è ciò che appare. Nemmeno Valek. Uomo affascinante e spietato assassino, maestro di veleni e raffinato scultore, sembra essere lui a possedere il cuore della fanciulla e l'antidoto al veleno mortale che le ha somministrato a tradimento. visitaci al sito www.eHarmony.it

La loro bellezza è incantevole. Il loro potere senza limiti. Per secoli la solitudine ha dato loro la caccia, ma all'improvviso un raggio di luce illumina le tenebre della loro esistenza con la promessa di un amore destinato a durare per l'eternità.

Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Poison Study Luna Books © 2005 Maria V. Snyder Traduzione di Gigliola Foglia Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

© 2010 Harlequin Mondadori S.pA. Milano Prima edizione Bluenocturne maggio 2010 Questo volume è stato impresso nel febbraio 2011 da Grafica Veneta SpA - Trebaseleghe (Pd) BLUENOCTURNE ISSN 2035 - 486X Periodico quindicinale n. 16 dell'28/05/2010 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 118 del 16/03/2009 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA

Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p A. Via Marco D'Aviano 2-20131 Milano

VOLUME 094

Capitolo 1 Rinchiusa nel buio che mi circondava come un sepolcro, non avevo nulla che potesse distrarmi dai ricordi. Vivide memorie erano in agguato, pronte ad assalirmi ogni volta che la mia mente vagava. Incorniciate dall'oscurità, rammentavo fiamme al calor bianco che mi dardeggiavano sul viso. Anche se le mani mi erano state legate a un pilastro che mi affondava tagliente nella schiena, ero riuscita a sfuggire all'assalto. Il fuoco si era allontanato appena prima di ustionarmi la pelle, ma ciglia e sopracciglia ormai erano irrimediabilmente bruciate. «Spegni le fiamme!» aveva ordinato la voce rude di un uomo. lo soffiavo sulla vampa tra le labbra screpolate. Prosciugata dal fuoco e dalla paura, la saliva era scomparsa dalla mia bocca e sentivo i denti irradiare calore come se fossero stati cotti in forno. «Idiota» imprecava lui. «Non con la bocca. Usa la mente. Estingui le fiamme con la mente.» Chiudendo gli occhi, cercavo di focalizzare i pensieri per far scomparire quell'inferno. Ero disposta a fare qualunque cosa, per quanto irrazionale potesse essere, pur di convincere quell'individuo a fermarsi. «Sforzati di più.» Un'altra volta il calore mi era passato vicino al viso, la viva luce delle fiamme che mi accecava malgrado le palpebre chiuse. «Dalle fuoco ai capelli» suggeriva una voce differente. Suonava più giovane e più impaziente di quella dell'altro uomo. «Quello dovrebbe sollecitarla. Qua, Padre, lascia fare a me.» Il mio corpo tremava di paura non appena riconoscevo la voce. Mi contorcevo nel tentativo di allentare i legami che mi trattenevano, mentre i miei pensieri si disperdevano in un brusio intontito. Poi un suono ronzante era scaturito dalla mia gola, aumentando fino a pervadere la stanza e a soffocare le fiamme. Il cigolio metallico della serratura mi strappò a quei ricordi da

incubo. Un cuneo di pallida luce gialla tagliò il buio, poi avanzò lungo la parete di pietra a mano a mano che la pesante porta della cella si apriva. Colpiti dalla luce della lanterna, gli occhi mi bruciarono per il bagliore. Li chiusi forte, rannicchiandomi nell'angolo. «Muoviti, pezzo di merda, o useremo la frusta!» Due guardie della prigione attaccarono una catena al collare metallico che portavo al collo e mi strattonarono per tirarmi in piedi. Inciampai in avanti, e il dolore mi fiammeggiò attorno alla gola. Mentre stavo ritta su gambe tremanti, le guardie mi incatenarono le mani dietro la schiena e mi misero i ferri ai piedi. Distolsi lo sguardo dalla luce tremolante mentre mi conducevano giù per il corridoio principale della segreta. Aria pesante, rancida, mi soffiò sul viso. I miei piedi nudi si trascinavano attraverso pozzanghere di sudiciume non identificabile. Ignorando i richiami e i gemiti degli altri prigionieri, le guardie non rallentarono di un passo, ma a me il cuore sobbalzava a ogni parola. «Oh, oh, oh... Qualcuno presto dondolerà dalla corda.»

«Snap! Crac! E poi il tuo ultimo pasto ti cola giù per le gambe!» «Un sorcio in meno da nutrire.» «Prendete me! Prendete me! Voglio morire anch'io!» Ci fermammo. Attraverso le palpebre socchiuse vidi una rampa di scale. Nello sforzo di posare il piede sul primo gradino, incespicai nelle catene e caddi. Le guardie mi tirarono su. Gli spigoli taglienti dei gradini di pietra mi affondarono nella pelle, sbucciandomi la carne esposta delle braccia e delle gambe. Dopo essere stata trascinata due volte attraverso i battenti di pesanti porte metalliche, fui lasciata cadere sul pavimento. La luce del sole mi trapassò gli occhi. Li serrai con forza mentre le lacrime mi colavano sulle guance. Era la prima volta che vedevo la luce del giorno da molte stagioni.

Ci siamo, pensai, sull'orlo del panico. Poi però la consapevolezza

che l'esecuzione avrebbe posto fine alla mia miserevole esistenza

nella prigione mi calmò. Strattonata di nuovo in piedi, seguii ciecamente le guardie. Il corpo mi prudeva, un po' per le punture di insetti e un po' per la paglia sudicia del mio giaciglio. Puzzavo di topo. Mi veniva elargita solo una piccola razione di acqua, e non la sprecavo certo in abluzioni. Quando gli occhi si abituarono alla luce, mi guardai attorno. Le pareti erano spoglie, senza i favoleggiati portatorce d'oro e gli elaborati arazzi che, mi era stato raccontato, un tempo decoravano i passaggi principali del castello. Il freddo pavimento di pietra era levigato dall'uso al centro. Probabilmente ci stavamo muovendo lungo corridoi nascosti usati unicamente dai servitori e dalle guardie. Mentre oltrepassavamo due finestre aperte, lanciai un'occhiata all'esterno con una brama che nessun cibo poteva soddisfare. Il colore smeraldo brillante dell'erba mi fece dolere gli occhi. Gli alberi erano ammantati di fogliame. Fiori orlavano i sentieri e traboccavano dai barili. La fresca brezza odorava come un profumo costoso, e io la respirai avidamente. Dopo gli effluvi acidi di escrementi e di odori corporali, il gusto dell'aria era paragonabile a quello di un vino pregiato. Il calore mi accarezzò la pelle. Un tocco consolante, paragonato alla segreta costantemente umida e fredda. Ritenni fosse l'inizio della stagione più calda, il che significava che ero rimasta chiusa in cella per cinque stagioni, una meno di un anno intero. Sembrava un tempo eccessivamente lungo per un candidato all'esecuzione capitale. Senza fiato per lo sforzo di marciare spedita con i piedi incatenati, fui condotta in uno spazioso ufficio. Mappe del Territorio di Ixia e delle regioni limitrofe coprivano le pareti. Pile di libri sul pavimento rendevano difficile camminarvi in linea retta. Candele a vari stadi di utilizzo erano sparpagliate qua e là nella stanza, e segni di bruciature erano evidenti su vari carteggi che erano finiti troppo vicini alla loro fiamma. Un grande tavolo di legno, ricoperto di documenti e circondato da una mezza dozzina di sedie, occupava il centro dell'ufficio. Sul fondo, un uomo sedeva a uno scrittoio. La brezza che entrava dalla finestra quadrata alle sue spalle gli scompigliava i capelli lunghi fino alle spalle.

Rabbrividii, facendo tintinnare le catene. Dalle conversazioni bisbigliate da una cella all'altra della prigione, avevo dedotto che i prigionieri condannati venivano condotti da un ufficiale per confessare i propri crimini prima di essere impiccati. L'uomo allo scrittoio indossava l'uniforme di consigliere del Comandante: calzoni neri e una camicia nera con due diamanti rossi ricamati sul colletto. Il suo volto pallido non aveva espressione. Mentre i suoi occhi blu zaffiro mi esaminavano, si spalancarono per la sorpresa. Improvvisamente consapevole del mio aspetto, chinai lo sguardo sulla cenciosa divisa rossa della prigione che avevo indosso e sui sudici piedi nudi induriti da callosità giallastre. Pelle striata di sudiciume trapelava dagli strappi della tela sottile. I miei lunghi capelli neri pendevano in grovigli untuosi. Madida di sudore, barcollai sotto il peso delle catene. «Una donna? Il prossimo prigioniero ad essere giustiziato è una donna?» La sua voce era di ghiaccio. Il mio corpo tremò nel sentir pronunciare la parola giustiziato. La calma che avevo raggiunto in precedenza mi abbandonò. Sarei piombata singhiozzando sul pavimento se non ci fossero state con me le guardie. Le guardie tormentavano chiunque mostrasse una qualsiasi debolezza. L'uomo giocherellò con i neri riccioli dei suoi capelli. «Avrei dovuto prendermi il tempo di rileggere il tuo fascicolo» borbottò. Poi congedò le guardie con un gesto brusco. «Potete andare.» Quando se ne furono andati, mi indicò una sedia davanti allo scrittoio. Le catene tintinnarono mentre mi sedevo in bilico sull'orlo. L'uomo aprì un raccoglitore sulla scrivania e ne scorse rapidamente le pagine. «Yelena, oggi potrebbe essere il tuo giorno fortunato» disse infine. Inghiottii una risposta sarcastica. Una lezione importante che avevo imparato durante la permanenza nella segreta era di non replicare mai. Invece chinai la testa, evitando di incontrare i suoi occhi. L'uomo restò in silenzio per un po'. «Beneducata e rispettosa. Inizi ad apparire come un buon candidato.»

Malgrado la baraonda della stanza, la scrivania era in ordine. Oltre al mio fascicolo e all'occorrente per scrivere, gli unici altri oggetti sullo scrittoio erano due piccole statue nere scintillanti di striature d'argento: una coppia di pantere scolpite, perfette come fossero vive. «Sei stata giudicata e riconosciuta colpevole di aver assassinato l'unico figlio del Generale Brazell, Reyad.» Fece una pausa, massaggiandosi le tempie con le dita. «Questo spiega perché Brazell è qui questa settimana, e perché si sia insolitamente interessato al calendario delle esecuzioni.» L'uomo parlava più a se stesso che a me. Nell'udire il nome di Brazell, la paura mi serpeggiò nello stomaco. Mi feci forza, rammentando a me stessa che presto sarei stata fuori della sua portata per sempre. I militari del Territorio di Ixia erano saliti al potere solo una generazione prima, ma il regime aveva prodotto severe leggi chiamate Codice di Comportamento. In tempo di pace (la maggior parte, cosa abbastanza insolita per un regime militare) una condotta adeguata non ammetteva la possibilità di togliere una vita umana. Se qualcuno commetteva omicidio, la pena era l'esecuzione. L'autodifesa o una morte accidentale non erano considerate scusanti accettabili. Una volta riconosciuto colpevole, l'assassino era inviato alle segrete del Comandante in attesa della pubblica impiccagione. «Immagino tu stia per contestare il verdetto. Per dire che sei stata incastrata o che hai ucciso per legittima difesa.» Si appoggiò allo schienale della sedia, aspettando con stanca pazienza. «No, signore» bisbigliai, tutto ciò che riuscii a ricavare da corde vocali poco usate. «L'ho ucciso io.» L'uomo in nero si raddrizzò sulla sedia, scoccandomi uno sguardo duro. Poi rise forte. «La cosa può funzionare meglio di quanto avessi progettato. Yelena, ti sto offrendo un'alternativa. Puoi essere giustiziata, oppure puoi diventare il nuovo assaggiatore del Comandante Ambrose. L'ultimo è morto di recente, e abbiamo bisogno di riempire il posto vacante.» Lo fissai a bocca aperta, con il cuore che danzava. Di certo stava

scherzando. Probabilmente si stava divertendo. Un modo grandioso di farsi una risata, osservare speranza e gioia brillare sul volto dei prigionieri, per poi infrangerle mandando l'accusato al patibolo. Decisi di stare al gioco. «Solo uno sciocco rifiuterebbe il lavoro.» Questa volta la mia voce gracchiò più forte. «Ebbene, è una sistemazione per tutta la vita. L'addestramento può essere letale. Dopotutto, come puoi identificare veleni nel cibo del Comandante se non sai che sapore hanno?» Sistemò le carte nel raccoglitore. «Avrai una stanza nel castello per dormire, ma per la maggior parte della giornata starai con il Comandante. Niente giorni liberi. Niente marito né figli. Alcuni prigionieri hanno preferito l'esecuzione: se non altro sanno esattamente quando stanno per morire, anziché chiedersi se la fine stia per arrivare con il prossimo morso.» Batté insieme i denti, un ghigno ferale sul viso. Diceva sul serio. Tremavo in tutto il corpo. Un'occasione per vivere! Il servizio al Comandante era meglio della segreta e infinitamente meglio del patibolo. Le domande si accavallavano nella mia mente: sono un'assassina rea confessa e già condannata, come possono fidarsi di me? Che cosa mi impedirebbe di uccidere il Comandante o di fuggire? «Chi assaggia il cibo del Comandante, al momento?» domandai invece, temendo che se avessi posto le altre domande lui si sarebbe reso conto del proprio errore e mi avrebbe mandato sulla forca. «Lo faccio io. Ecco perché sono ansioso di trovare un rimpiazzo. Inoltre il Codice di Comportamento afferma che il lavoro dev'essere offerto a qualcuno la cui vita sia spendibile.» Non più in grado di stare seduta, mi alzai e camminai per la stanza, trascinando con me le catene. Le mappe sulle pareti mostravano posizioni militari strategiche. I titoli dei libri avevano a che fare con la sicurezza e le tecniche di spionaggio. Lo stato della stanza e la quantità di candele suggeriva che qualcuno vi lavorava fino a tarda notte. Guardai di nuovo l'uomo in uniforme da consigliere. Doveva essere Valek, il capo della sicurezza personale del Co mandante

nonché vertice dell'ampia rete di servizi informati vi del Territorio di Ixia. «Che cosa devo dire al boia?» domandò Valek. «Non sono una stupida.»

Capitolo 2 Valek chiuse il fascicolo di scatto. Si diresse alla porta con passo aggraziato e leggero come un gatto delle nevi che attraversi del ghiaccio sottile. Le guardie in attesa nell'anticamera scattarono sull'attenti quando la porta si aprì. Valek parlò con loro e quelli annuirono. Una guardia venne verso di me. lo la fissai: tornare in prigione non aveva fatto parte dell'offerta di Valek. Potevo fuggire? Esaminai la stanza. La guardia mi fece girare e tolse le manette e le catene che mi erano state avvolte attorno fin da quando ero stata arrestata. Fasce di carne viva mi circondavano i polsi sanguinolenti. Mi toccai il collo, tastando pelle dove prima c'era metallo. Le dita vennero via appiccicose di sangue. Annaspai in cerca della sedia. Essere liberata dal peso delle catene mi diede una strana sensazione; mi sentivo come se stessi per veleggiare via, oppure per morire. Respirai a fondo finché il mancamento passò. Quando ritrovai la compostezza, notai che Valek, in piedi accanto allo scrittoio, stava versando due bevande. Uno stipetto di legno, aperto, rivelava file di bottiglie dalle forme bizzarre e anfore multicolori stipate all'interno. Valek sistemò nell'armadietto la bottiglia che teneva in mano e chiuse a chiave I'antina. «Mentre aspettiamo Margg, ho pensato che forse potrebbe farti bene qualcosa da bere.» Mi tese un alto bicchiere di peltro colmo di un liquido ambrato. Sollevando il proprio calice, fece un brindisi. «A Yelena, la nostra nuova assaggiatrice. Possa tu durare più a lungo del tuo predecessore.» Il mio bicchiere si fermò a poca distanza dalle labbra. «Rilassati» disse lui, «è un brindisi di rito.» Bevvi una lunga sorsata. Il gradevole liquido bruciò leggermente scivolandomi giù per la gola. Per un momento credetti che il mio stomaco stesse per rivoltarsi. Quella era la prima volta che bevevo qualcosa di diverso dall'acqua. Poi però la nausea si placò. Prima che potessi interrogarlo su cosa esattamente fosse accaduto

al precedente assaggiatore, Valek mi chiese di identificare gli ingredienti della bevanda. Sorbendone un sorso più piccolo, risposi: «Pesche addolcite con miele». «Bene. Adesso bevine un altro sorso. Stavolta rigirati il liquido attorno alla lingua prima di deglutire.» Eseguii, e fui sorpresa di percepire un lieve aroma di agrume. «Arancia?» «Giusto. Ora gargarizzalo.» «Gargarizzare?» domandai. Lui annuì. Sentendomi stupida, feci come lui mi aveva chiesto... e per poco non sputai la bevanda. «Arance marce!» La pelle attorno agli occhi di Valek formò una rete di minuscole rughe quando rise. Aveva un viso forte, angoloso, come se qualcuno l'avesse stampato da un foglio di metallo, ma si addolciva quando sorrideva. Porgendomi il suo bicchiere, mi chiese di ripetere l'esperimento. Con un po' di trepidazione, ne bevvi un sorso, individuando di nuovo il lieve gusto d'arancia. Preparandomi al retrogusto rancido, gargarizzai la bevanda di Valek e notai sollevata che questo si limitava a rafforzare l'aroma di agrume. «Meglio?» domandò Valek riprendendosi la coppa vuota. «Sì.» Valek tornò a sedersi dietro lo scrittoio, aprendo un'altra volta il mio fascicolo. Preso il calamo, mi parlò mentre scriveva. «Hai appena ricevuto la tua prima lezione di assaggio di cibi. La tua bevanda era addizionata di un veleno chiamato Polvere di Farfalla. La mia no. L'unico modo per individuare la Polvere di Farfalla in un liquido è gargarizzarlo. Quell'aroma di arance marce che hai sentito era appunto il veleno.» Mi alzai, con la testa che girava. «È letale?» «Una dose abbastanza massiccia ti ucciderebbe in due giorni. I sintomi non si avvertono fino al secondo giorno, e a quel punto è troppo tardi.» «Ho ricevuto una dose letale?» Trattenni il fiato.

«Naturalmente: qualcosa meno, e non avresti sentito il sapore del veleno.» Lo stomaco mi si rivoltò e cominciai ad avere violenti conati. Ricacciai in gola la bile, facendo tutto il possibile per evitare la vergogna di vomitare tutto sulla scrivania di Valek. Lui alzò lo sguardo dal blocco di carte e studiò il mio viso. «Ti ho avvertito che l'addestramento poteva essere pericoloso. Ma non ti darei un veleno che il tuo corpo dovrebbe combattere mentre soffri di malnutrizione. C'è un antidoto alla Polvere di Farfalla.» Mi mostrò una minuscola fiala che conteneva un liquido bianco. Crollando di nuovo sulla sedia, singhiozzai. La faccia di Valek era tornata inespressiva; mi resi conto che non mi aveva offerto l'antidoto. «In risposta alla domanda che non hai posto, ma che avresti dovuto, questo...» Valek sollevò la piccola fiala e la scosse, «...è il modo in cui impediamo all'assaggiatore del Comandante di fuggire.» Lo fissai, cercando di capire le implicazioni. «Yelena, tu hai confessato un omicidio. Saremmo folli a lasciare che tu serva il Comandante senza pretendere alcune garanzie. Delle guardie sorvegliano il Comandante in ogni momento ed è improbabile che riusciresti a raggiungerlo con un'arma. Per altre forme di ritorsione, usiamo la Polvere di Farfalla.» Valek raccolse la fiala di antidoto e la rigirò nella luce solare. «Ti occorre una dose quotidiana di questo per rimanere in vita. L'antidoto impedisce al veleno di ucciderti. Finché ti presenterai ogni mattina nel mio ufficio, io ti darò l'antidoto. Salta una mattina, e sarai morta entro la successiva. Commetti un crimine o un atto di tradimento, e verrai rispedita nella segreta finché il veleno non ti porterà via. Eviterei questa sorte, se fossi in te. Il veleno provoca violenti crampi allo stomaco e vomito incontrollabile.» Prima che potesse penetrarmi nel cervello la piena comprensione della mia situazione, gli occhi di Valek scivolarono al di là della mia spalla. Mi voltai e vidi una donna robusta in uniforme da governante aprire la porta. Valek la presentò come Margg, la persona che si sarebbe fatta carico dei miei bisogni primari.

Aspettandosi che la seguissi, Margg uscì dalla porta a passo di carica. lo lanciai un'occhiata alla fiala sulla scrivania di Valek. «Vieni nel mio ufficio domani mattina, Margg ti insegnerà la strada.» Era un evidente congedo, ma io mi fermai sulla porta con tutte le domande che avrei voluto porre sull'orlo delle labbra. Le ingoiai. Mi sprofondarono come pietre nello stomaco, poi chiusi la porta e rincorsi Margg, che non si era fermata ad aspettare. La donna non rallentò mai il passo, e in breve mi ritrovai ansimante per lo sforzo di tenerle dietro. Cercai di ricordare i vari corridoi e le svolte, ma presto rinunciai perché il mio intero mondo si restrinse alla vista dell'ampia schiena e della falcata efficiente di Margg. La sua lunga gonna nera sembrava galleggiare sopra il pavimento. L'uniforme da governante comprendeva una camicia nera e un grembiule bianco che la copriva dal collo fino alla caviglia ed era annodato stretto attorno alla cintura. Il grembiule aveva due file verticali di piccoli disegni rossi a diamante collegati da un'estremità all'altra. Quando finalmente Margg si arrestò davanti ai bagni, dovetti sedermi sul pavimento per schiarirmi la testa che mi girava. «Puzzi» disse Margg, il disgusto che le increspava la faccia larga. Additò l'estremità più lontana dei bagni con un fare che indicava come fosse abituata a essere obbedita. «Lavati due volte, poi stai a mollo per un po'. Ti porterò delle uniformi.» Lasciò la stanza. Il soverchiante desiderio di fare un bagno mi scoccò come un fulmine nella pelle. Elettrizzata, mi strappai di dosso l'abito della prigione e corsi nell'area per lavarsi. L'acqua calda si riversò in una cascata quando aprii il condotto sopra la mia testa. Il castello del Comandante era dotato di serbatoi d'acqua riscaldata situati un piano sopra i bagni, un lusso che neppure lo stravagante maniero di Brazell aveva. Rimasi lì per molto tempo, sperando che il tamburellare sulla mia testa cancellasse ogni pensiero di veleni. Obbediente, mi lavai due volte il corpo e i capelli. Collo, polsi e caviglie mi bruciavano per il sapone, ma non vi feci caso. Ripassai altre due volte, strofinando

forte sulle ostinate macchie di sudiciume che avevo sulla pelle, fermandomi soltanto quando mi resi conto che erano lividi. Mi sentivo come disconnessa dal corpo, sotto la doccia. Il dolore e l'umiliazione di essere arrestata e rinchiusa erano stati inflitti a quel corpo, ma la mia anima ne era stata scacciata da molto tempo, durante i due anni in cui avevo vissuto nel maniero di Brazell. Un'immagine del figlio di Brazell mi lampeggiò davanti all'improvviso. Il bel viso di Reyad distorto dalla rabbia. Indietreggiai d'istinto, sollevando di scatto le mani per bloccarlo. L' immagine scomparve, lasciandomi tremante. Fu uno sforzo uscire dall'acqua e avvolgermi in un asciugatoio. Cercai di concentrarmi sul trovare un pettine, anziché sui brutti ricordi che l'immagine di Reyad aveva richiamato. Anche se puliti, i miei capelli aggrovigliati resistevano al pettine. Mentre frugavo in cerca di un paio di forbici, con la coda dell'occhio individuai un'altra persona nei bagni. La fissai. Un cadavere mi guardava di rimando. Gli occhi verdi erano gli unici segni di vita nell'emaciato viso ovale. Gambe magre come stecchi sembravano incapaci di reggere il resto del corpo. La comprensione mi scattò dentro come una fredda ondata di paura. Era il mio corpo. Distolsi gli occhi dallo specchio, non avendo alcun desiderio di constatare il danno. Codarda, pensai, riportandovi lo sguardo con uno scopo. La morte di Reyad aveva liberato la mia anima da dove se n'era fuggita? Nella mia mente cercai di riconnettere il mio spirito al corpo. Perché pensavo che la mia anima sarebbe tornata, se il corpo era ancora non mio? Apparteneva al Comandante Ambrose, per essere usato come uno strumento per filtrare e provare veleni. Mi voltai. Strappando con il pettine ciuffi di capelli aggrovigliati, raccolsi il resto in un'unica lunga treccia lungo la schiena. Non molto tempo prima, tutto ciò in cui avevo sperato era un'uniforme carceraria pulita prima dell'esecuzione, e adesso ero sprofondata nei famosi bagni caldi del Comandante. «È più che abbastanza» abbaiò Margg, riscuotendomi da una leggera sonnolenza. «Ecco qui le tue uniformi. Vestiti.» Il suo volto

severo irradiava disapprovazione. Mentre mi asciugavo, percepii l'impazienza di Margg. Insieme a un po' di biancheria, l'uniforme da assaggiatore consisteva in calzoni neri, un'ampia cintura di raso arancione e una camicia di raso rosso con una riga di piccoli disegni neri a diamante collegati da cima a fondo su ciascuna delle maniche. Gli abiti ovviamente erano di misura per un uomo. Malnutrita e alta solo un paio di centimetri oltre il metro e sessanta, sembravo un bambino che gioca a fare l'adulto con gli abiti di suo padre. Mi girai tre volte la fascia attorno alla vita e rimboccai le maniche e le gambe dei calzoni. Margg sbuffò. «Valek mi ha detto soltanto di darti da mangiare e mostrarti la tua camera. Ma penso che ci fermeremo dalla cucitrice, prima.» Arrestandosi sulla soglia, Margg imbronciò le labbra e aggiunse: «Avrai bisogno anche di stivali». Obbediente, seguii la donna come un cucciolo smarrito. La cucitrice, Dilana, rise allegramente alla mia apparizione. Il suo viso a forma di cuore era incorniciato da un'aureola di biondi capelli ricci. Occhi color miele e lunghe ciglia accrescevano la sua bellezza. «I mozzi di stalla portano gli stessi calzoni e le sguattere di cucina hanno le camicie rosse» disse Dilana quando ebbe soffocato le risa. Rampognò Margg per non aver perso tempo a cercarmi uniformi di una taglia più adatta. Margg serrò le labbra in una linea sottile. Le attenzioni di Dilana, che si affaccendava attorno a me come una nonnina anziché una giovane donna, mi riscaldarono, spingendomi verso di lei. Probabilmente aveva molte conoscenze e corteggiatori che venivano a crogiolarsi nelle sue attenzioni come abitatori di una caverna attratti da un fuoco divampante. Mi scoprii bramosa di protendermi verso di lei. Dopo essersi scritta le mie misure, Dilana frugò nelle pile di indumenti rossi, neri e bianchi sistemate in giro per la stanza. Ogni persona che lavorava a Ixia indossava un'uniforme. I servitori e le guardie del castello del Comandante portavano abiti nelle varianti di colore nero, bianco e rosso con file verticali di

diamanti che correvano lungo le maniche delle camicie o lungo i fianchi dei calzoni. Consiglieri e ufficiali d'alto rango di solito vestivano completamente in nero con piccoli diamanti rossi cuciti sul colletto per mostrare il grado. Il sistema delle uniformi era divenuto obbligatorio quando il Comandante aveva preso il potere, così che tutti sapessero alla prima occhiata con chi avevano a che fare. Nero e rosso erano i colori del Comandante Ambrose. Il Territorio di Ixia era stato diviso in otto Distretti Militari, ciascuno governato da un Generale. Le uniformi degli otto distretti erano identiche a quella del Comandante, tranne che per il colore. Una governante che vestisse di nero con piccoli disegni a diamante viola sul grembiule lavorava pertanto nel Distretto Militare 3, o DM-3. «Penso che questi dovrebbero andarti meglio.» La cucitrice mi tese alcuni capi, indicando la tenda-camerino in fondo alla stanza. Mentre mi stavo cambiando, udii Dilana dire: «Avrà bisogno di stivali». Sentendomi meno stupida nei nuovi abiti, raccolsi la vecchia uniforme e la consegnai a Dilana. «Questi devono essere appartenuti a Oscove, il vecchio assaggiatore» commentò lei. Un'espressione triste le contrasse il viso per un istante prima che scuotesse la testa come per liberarsi di un pensiero sgradito. Tutte le mie fantasie di fare amicizia mi abbandonarono quando mi resi conto che essere amici dell'assaggiatore del Comandante era un grosso rischio emotivo. Mi si formò un vuoto nello stomaco mentre il calore di Dilana si dileguava, lasciandosi dietro una fredda amarezza. Una fitta acuta di solitudine mi colpì mentre un'immagine non richiesta di May e Carra, che vivevano ancora al maniero di Brazell, mi lampeggiò davanti agli occhi. Le mie dita si protesero a sistemare le trecce arricciate di Carra e a raddrizzare la gonna di May. Ma invece dei serici capelli color zenzero di Carra, tra le mani tenevo una pila di abiti. Dilana mi guidò a una sedia. Inginocchiandosi sul pavimento, mi mise dei calzini ai piedi e poi un paio di stivaletti di morbida pelle nera. Mi arrivavano sopra la caviglia fino a metà polpaccio, dove il cuoio si risvoltava in fuori.

Dilana mi infilò le gambe dei calzoni negli stivali e mi aiutò a rimettermi in piedi. Non avevo portato calzature per stagioni intere e mi aspettavo che sfregassero, invece gli stivaletti mi riparavano i piedi e calzavano bene. Sorrisi alla cucitrice, banditi temporaneamente i pensieri di May e Carra. Quello era il miglior paio di stivali che avessi mai indossato. Lei ricambiò il sorriso e disse: «Riesco sempre a trovare gli stivali della grandezza giusta senza dover misurare». Margg borbottò. «Non hai dato gli stivali giusti al povero Rand. È troppo preso di te per lamentarsi. Adesso zoppica in giro per la cucina.» «Non prestarle attenzione» mi consigliò Dilana. «Margg, non hai del lavoro da fare? Fila via o mi intrufolerò in camera tua e ti accorcerò tutte le gonne.» Dopodiché ci spinse amabilmente fuori dalla porta. Margg mi condusse al refettorio dei servitori e mi servì piccole porzioni di zuppa e di pane. La zuppa aveva un sapore divino. Dopo aver divorato il cibo, ne chiesi dell'altro. «No. Troppo ti farebbe venire la nausea» rispose Margg. Con riluttanza lasciai la ciotola sul tavolo e la seguii fino alla mia stanza. «Al sorgere del sole sii pronta per lavorare.» Una volta ancora guardai la sua schiena che si allontanava. La mia stanzetta conteneva un letto angusto con un unico materasso macchiato sopra una rigida intelaiatura metallica, un semplice scrittoio di legno con la sua sedia, un vaso da notte, un armadio, una lanterna, una minuscola stufa a legna, e un'unica finestra scrupolosamente chiusa. Le pareti di Pietra grigia erano disadorne. Provai il materasso; cedette appena. Era un enorme miglioramento rispetto alla mia cella nella segreta, tuttavia mi scoprii in un certo senso insoddisfatta. Niente nella stanza suggeriva morbidezza. Con la mente e gli occhi riempiti dal viso metallico di Valek e dalla disapprovazione di Margg, e il taglio e i colori decisi dell'uniforme, bramavo un cuscino

o una coperta. Mi sentivo come un bambino smarrito in cerca di qualcosa a cui aggrapparsi, qualcosa di cedevole che non avrebbe finito per farmi male. Dopo aver appeso le uniformi di riserva nell'armadio, mi diressi alla finestra. C'era un davanzale abbastanza largo per sedermi. Le imposte erano chiuse, ma i chiavistelli erano all'interno. Con mani tremanti, sganciai e spalancai le imposte, battendo le palpebre nell'improvvisa luce. Schermandomi gli occhi, scrutai da sotto la mano, e fissai incredula lo scenario che si apriva davanti alla mia finestra. Ero al primo piano del castello! Cinque piedi più sotto c'era il terreno. Tra la mia camera e le stalle c'erano i canili del Comandante e il campo da esercitazione per i cavalli. I mozzi di stalla e gli addestratori di cani non se ne sarebbero curati se avessi tentato la fuga. Potevo lasciarmi cadere giù senza sforzo e filarmela. Un'idea allettante, tranne per il fatto che sarei morta entro due giorni. Forse un'altra volta, pensai, quando due giorni di libertà sarebbero valsi il prezzo. Potevo sperare.

Capitolo 3 La frusta di Reyad mi affondò nella pelle, incidendomi la carne con un dolore bruciante. «Muoviti» ordinò. lo cercai invano di scansarmi, ostacolata dalla corda legata al polso, che mi ancorava a un pilastro al centro della stanza. «Muoviti più in fretta, continua a muoverti!» urlò Reyad. La frusta scattò ancora e ancora. La mia camicia a brandelli non offriva protezione contro il cuoio tagliente. Una fredda voce cullante mi penetrò nel cervello. «Va' via» bisbigliò. «Manda la tua mente in un posto lontano, un caldo amorevole luogo. Lascia andare il tuo corpo.» La voce di seta non apparteneva a Reyad o a Brazell. Un salvatore, forse? Facile modo di sfuggire al tormento, una tentazione, ma io mi aggrappai a un'altra opportunità. Determinata, rimasi lì in piedi, concentrandomi sull'evitare lo staffile. Quando lo sfinimento mi vinse, il mio corpo prese a vibrare da solo. Come un colibrì fuori controllo, schizzavo qua e là per la stanza, evitando la frusta. Mi svegliai nel buio madida di sud ore, l'uniforme spiegazzata rigirata stretta attorno al corpo, la vibrazione del mio sogno sostituita da un bussare. Prima di cadere addormentata, avevo incuneato la sedia sotto la maniglia della porta per impedire a chiunque di intrufolarsi non invitato. La sedia si scuoteva a ogni colpo. «Sono sveglia» gridai. Il fracasso cessò. Quando aprii la porta, Margg era lì in piedi, accigliata, con una lanterna. Mi affrettai a cambiarmi l'uniforme e la raggiunsi nel corridoio. «Credevo avessi detto al sorgere del sole.» La sua occhiata di disapprovazione mi richiuse le labbra. «È il sorgere del sole.» Seguii Margg per il labirinto dei corridoi nascosti del castello mentre il giorno cominciava a illuminarsi. La mia camera guardava a

ovest, schermandomi il sole nascente. Margg spense la lanterna proprio quando il profumo di biscotti dolci riempì l'aria. Inspirando le domandai: «Colazione?». Una nota speranzosa, quasi implorante si insinuò nella mia voce, irritandomi. «No. Valek ti darà da mangiare.» L'immagine di una colazione condita con veleno fece meraviglie nel togliermi l'appetito. Mi si strinse lo stomaco non appena mi tornò alla mente l'indesiderato ricordo della Polvere di Farfalla di Valek. Quando raggiungemmo il suo ufficio, ero ormai persuasa di essere sul punto di crollare, per esser presto vinta dal veleno se non avessi ricevuto l'antidoto. Quando entrai nella stanza, Valek stava preparando piatti di cibo fumante. Aveva liberato una parte del tavolo. I documenti spostati stavano in equilibrio instabile in pile disordinate. Accennò a una sedia; io sedetti, scrutando il tavolo in cerca della fialetta di antidoto. «Spero che tu stia...» Valek studiò il mio viso, io lo fissai di rimando, cercando di non ritrarmi sotto il suo scrutinio. «È sorprendente quale differenza possano fare un bagno e un'uniforme pulita» continuò, masticando distrattamente una fetta di pancetta. «Devo ricordarmene. Potrebbe essere utile in futuro.» Piazzandomi davanti due piatti di una mistura di uova e prosciutto, disse: «Cominciamo». Sentendomi stordita e fremente, sbottai: «Preferirei iniziare con l'antidoto». Un'altra lunga pausa da parte di Valek mi fece agitare sulla sedia. «Non dovresti avvertire nessun sintomo. Non arriveranno fino a più tardi, nel pomeriggio.» Scrollò le spalle e andò al suo stipetto. Usò una pipetta per estrarre una dose del liquido bianco da una bottiglia, poi richiuse nuovamente a chiave l'antidoto dentro l'armadietto. Il mio interesse per la collocazione della chiave doveva essere stato evidente, perché Valek usò una qualche specie di gioco di mano per far sparire la chiave. Porgendomi la pipetta, sedette al lato opposto del tavolo. «Bevi, così possiamo cominciare la lezione di oggi» mi invitò.

lo mi spremetti il contenuto in bocca, trasalendo al sapore amaro. Valek mi prese la pipetta dalle mani e la sostituì con una brocca azzurra. «Annusa.» La brocca conteneva una polvere bianca che sembrava zucchero ma odorava di palissandro. Indicando i due piatti che si stavano raffreddando davanti a me, Valek mi chiese di individuare quello cosparso di veleno. Annusai il cibo come un cane da pista in cerca di preda. Un lieve odore di palissandro emanava dal piatto a sinistra. «Bene. Se dovessi individuare questo aroma in uno dei cibi del Comandante, rifiutalo. Il veleno si chiama Tigtus e un solo grano di polvere uccide entro un'ora.» Valek spostò il cibo contaminato. «Mangia la colazione.» Indicò l'altro piatto. «Avrai bisogno di energie.» Trascorsi il resto della giornata ad annusare veleni fino ad avere mal di testa e capogiri. La moltitudine di nomi e di aromi cominciava a confondermi, così chiesi a Valek della carta, calamo e inchiostro. Lui si immobilizzò. «Non so perché, ma continui a sorprendermi. Avrei dovuto ricordare che il Generale Brazell fa istruire i suoi orfani.» Valek mi fece scivolare davanti un blocco di carta, un calamo e dell'inchiostro. «Portateli in camera tua. Abbiamo fatto abbastanza per oggi.» In silenzio mi maledissi per aver ricordato a Valek perché dovevo essere giustiziata, mentre raccoglievo il quaderno e l'attrezzatura per scrivere. La dura, implacabile espressione di Valek rivelava i suoi pensieri. Presa dalla strada, nutrita ed educata da Brazell, avevo ripagato la sua bontà assassinando il suo unico figlio. Sapevo che Valek non avrebbe mai creduto alla verità su Brazell e Reyad. L'orfanotrofio del Generale Brazell era motivo d'ilarità tra gli altri Generali. Pensavano che si fosse rammollito dopo il colpo di stato di Ixia, quindici anni prima. Quell'impressione a Brazell stava bene: visto come un vecchio, gentile benefattore, poteva continuare indisturbato ad amministrare il Distretto Militare 5. Esitai all'ingresso dell'ufficio di Valek, notando per la prima volta le tre complicate serrature sulla spessa porta di legno. Toccando

distrattamente i meccanismi di chiusura, mi trattenni sulla soglia finché lui non domandò: «Che c'è adesso?». «Non sono sicura di dove sia la mia stanza.» Valek parlò come se si rivolgesse a un bambino tardo di comprendonio. «Chiedi alla prima governante o sguattera di cucina che incontri, sono sempre a correre in giro a quest'ora del giorno. Di' che stai nell'ala ovest dei servitori, a piano terra. Ti mostreranno la strada.» La sguattera di cucina che indussi ad aiutarmi era più loquace di Margg e io approfittai appieno del suo buon carattere. Mi guidò alla lavanderia per ottenere un po' di biancheria per il letto. Poi le chiesi di mostrarmi la strada per i bagni e per l'area di lavoro della cucitrice. Le pile di uniformi di Dilana potevano venire utili un giorno o l'altro. Arrivata in camera mia, aprii le imposte per lasciar entrare la luce morente del sole al tramonto. Seduta allo scrittoio, tracciai appunti esaustivi su ciò che avevo imparato quel giorno, includendo una mappa approssimativa dei corridoi di servizio. Presi in considerazione l'idea di esplorare ulteriormente il castello, ma Valek aveva ragione, avevo bisogno delle mie energie. Sperai che avrei avuto tempo di farlo più avanti. Durante le due settimane successive, l'addestramento procedette in modo così simile al primo giorno che caddi nella routine, arrivando ogni mattina da Valek per essere istruita. Dopo quindici giorni ad annusare veleni, scoprii che il mio senso dell'olfatto si era amplificato. Ma allora Valek annunciò che ero abbastanza forte per cominciare ad assaggiare veleni. «Cominceremo con il più letale» disse. «Se non muori con questo, non ti uccideranno nemmeno gli altri veleni. Non voglio sprecare tutto il mio tempo ad addestrarti solo per vederti morire alla fine.» Posò sulla sua scrivania un'esile bottiglia rossa. «È tremendo. Attacca il corpo immediatamente.» Gli occhi di Valek si accesero mentre contemplava l'ampolla. «Si chiama Bevi Qualcosa. Amor Mio; oppure Amor Mio per brevità, perché questo veleno ha fama di essere usato dalle mogli disperate.» Spremette due gocce della sostanza in una tazza fumante. «Una dose maggiore ti ucciderebbe

senz'altro. Con una dose più piccola c'è una possibilità che tu sopravviva, ma diventerai allucinata, paranoica e completamente disorientata per i prossimi giorni.» «Valek, perché devo provare Amor Mio se ha risultati immediati? Non è a questo che serve un assaggiatore? Assaggio il cibo del Comandante, e piombo giù, morta. Fine della storia.» Cercavo di infilarmi da qualche parte in giro per la stanza, ma continuavo a imbattermi in blocchi di libri. Frustrata, spinsi con un piede due pile contro quelle vicine, sparpagliando i libri in un mucchio disordinato sul pavimento. Lo sguardo di Valek mi trapassò, prosciugando lo strano senso di soddisfazione che avevo ricavato dal prendere a calci i libri. «Il lavoro di un assaggiatore è molto più complesso di così» spiegò Valek, spingendosi indietro i capelli dal viso. «Essere in grado di identificare quale veleno contamina il cibo del Comandante può condurmi all'avvelenatore.» Valek mi tese la tazza. «Anche se tu avessi solo un secondo per urlare Amor Mio! prima di schiattare, ciò restringerebbe la lista dei sospettati. C'è un certo numero di assassini che sono affezionati a questa sostanza. Il veleno viene prodotto a Sitia, nelle terre meridionali. Era facile da ottenere prima del colpo di stato. Ora, con la chiusura del confine meridionale, solo una manciata di persone ha denaro sufficiente per acquistarlo illegalmente.» Valek si avvicinò al disastro sul pavimento e cominciò a reimpilare i libri. I suoi movimenti erano così aggraziati che mi chiesi se fosse stato un ballerino, ma le sue parole mi rivelavano che i suoi gesti fluidi erano quelli di un sicario ben addestrato. «Yelena, il tuo lavoro è molto importante. Ecco perché passo così tanto tempo ad addestrarti. Un astuto assassino può osservare un assaggiatore per giorni per scoprire uno schema di comportamento.» Valek continuò la sua lezione dal pavimento. «Per esempio, l'assaggiatore potrebbe tagliare un pezzo di carne sempre dal lato sinistro, oppure non mescolare mai le bevande. Alcuni veleni precipitano su! fondo della tazza. Se l'assaggiatore si limita a sorbire dalla superficie, allora l'assassino sa esattamente dove piazzare il veleno per uccidere la sua vittima designata.» Finì di raccogliere i

libri. Le nuove pile erano più ordinate del resto dei blocchi sul pavimento. Sembrava un invito a Valek a continuare a sistemare i volumi. Liberò un passaggio più ampio attraverso il suo ufficio. «Una volta che avrai bevuto il veleno, Margg ti aiuterà a raggiungere la tua stanza e si prenderà cura di te. Le darò la tua dose quotidiana di antidoto alla Polvere di Farfalla.» Fissai il vapore che si levava dal tè. Raccolsi la tazza, e il calore mi riscaldò le mani ghiacciate. Quando Margg entrò nella stanza, mi parve come un boia appena salito sul patibolo con la mano sulla leva della botola. Avrei dovuto sedermi o sdraiarmi? Mi guardai intorno, senza vedere niente. Cominciavano a informicolarmisi le braccia quando mi resi conto che avevo trattenuto il respiro. Sollevai la tazza in un brindisi beffardo, poi vuotai il contenuto. «Mele inacidite» sentenziai. Valek annuì. Ebbi appena il tempo di posare la tazza sul tavolo prima che il mondo cominciasse a confondersi. Il corpo di Margg ondeggiava davanti a me. La sua grossa testa mise fiori dalle orbite. Un momento più tardi il suo corpo riempì la stanza mentre la testa si accartocciava. Percepii del movimento. Le pareti grigie diventarono gambe e braccia che si protendevano verso di me, cercando di usarmi nel loro combattimento contro il pavimento. Spiriti grigi si levarono da sotto i miei piedi. Si tuffavano, si sporgevano verso di me e sghignazzavano. Erano la libertà. Cercai di spingere via la cosa che era Margg, ma quella si aggrappò e si avvolse attorno a me, affondandomi nelle orecchie e pulsandomi nella testa. «Assassina» bisbigliava. «Vile cagna. Probabilmente gli hai tagliato la gola mentre dormiva. Modo facile per uccidere. Ti è piaciuto guardare il suo sangue inzuppare le lenzuola? Non sei altro che un sorcio.» Abbrancai la voce, cercando di farla smettere, ma si trasformò in due soldatini giocattolo verdi e neri che mi tennero stretta. «Morirà per il veleno. Se no, potete prendercela» disse la cosa che era Margg ai soldati. Quelli mi spinsero in un pozzo buio. Sprofondai nella tenebra

nera. Un tanfo di vomito ed escrementi mi salutò quando ripresi conoscenza. Erano gli inconfondibili odori della segreta. Chiedendomi come fossi finita di nuovo nella mia vecchia cella, mi rizzai a sedere. Un'ondata di nausea richiese la mia attenzione. Brancolai attorno in cerca del secchio che fungeva da pitale e incontrai la gamba di metallo di un letto, che strinsi mentre mi scuotevano conati a vuoto. Quando cessarono, mi appoggiai contro il muro, grata di essere sul pavimento della mia camera e non di nuovo nella segreta. I letti erano un lusso non incluso negli alloggi sotterranei. Raccogliendo l'energia per alzarmi in piedi, localizzai la lanterna e l'accesi. Vomito seccato mi incrostava la faccia. Camicia e calzoni erano zuppi e maleodoranti. I contenuti liquidi del mio corpo si erano raccolti in una pozza sul pavimento. Margg si era presa buona cura di me, pensai sarcastica. Quantomeno era una donna pratica. Se mi avesse scaricato sul letto avrei rovinato il materasso. Ringraziai la sorte di essere sopravvissuta al veleno e di essermi svegliata nel mezzo della notte. Incapace di sopportare oltre la sensazione dell'uniforme fradicia, mi diressi ai bagni. Sulla via del ritorno, delle voci mi bloccarono prima che raggiungessi il corridoio che conduceva alla mia stanza. Spegnendo la lanterna con un unico, rapido movimento, sbirciai dietro l'angolo. Davanti alla mia porta stavano due soldati. La morbida luce della loro lanterna si rifletteva sul nero e verde delle loro uniformi... i colori di Brazell.

Capitolo 4 «Secondo te, dovremmo controllare se è morta?» domandò uno dei soldati di Brazell. Sollevò la lanterna verso la mia porta, e il cinturone sovraccarico d'armi tintinnò al movimento. «No. La governante controlla ogni mattina e le dà una pozione. Lo sapremo ben presto. E poi, puzza, lì dentro.» L'altro soldato si agitò la mano davanti alla faccia. «Già. Se l'odore non ti fa passare la voglia, toglierle quell'uniforme zuppa di vomito farebbe venire il voltastomaco a qualsiasi uomo. Tuttavia...» La mano del soldato con la lanterna toccò brevemente le manette che gli pendevano dalla cintura. «Potremmo trascinarla giù ai bagni, ripulirla e divertirci un po' prima che muoia.» «No, qualcuno potrebbe vederci. Se sopravvive, avremo tempo in abbondanza per sfilarle l'uniforme. Sarà proprio come aprire un regalo, e decisamente più divertente mentre sarà sveglia.» Lanciò all'altro un'occhiata maliziosa. Risero entrambi. Proseguirono lungo il corridoio e furono presto fuori vista, lo mi tenni rasente il muro e mi chiesi se ciò a cui avevo appena assistito fosse reale. Avevo ancora delle allucinazioni Paranoiche? Mi sentivo la testa come se fosse stata a mollo troppo a lungo in una vasca d'acqua. Stordimento e nausea mi scossero. I soldati se n'erano andati da un pezzo prima che trovassi la calma sufficiente per tornare in camera mia. Spalancai la porta e tesi la lanterna che avevo riacceso davanti a me, facendo luce in ogni angolo e sotto il letto. Un violento odore acre fu l'unica cosa ad assalirmi. Con un urto di vomito, sganciai le imposte e le spalancai, prendendo profonde boccate della fredda aria purificatrice. Guardai la stomachevole pozza sul pavimento. L'ultima cosa che avevo voglia di fare era ripulire quella schifezza, ma sapevo che non sarei mai riuscita a dormire respirando quel cattivo odore. Dopo aver fatto razzia di arnesi casalinghi, e fermandomi agli occasionali attacchi di nausea, riuscii a pulire il pavimento senza svenire.

Esausta, mi allungai sul letto. Lo sentii pieno di bitorzoli. Mi rigirai tra le coperte, sperando di trovare una posizione confortevole. E se i soldati di Brazell fossero tornati? A letto addormentata, sarei stata un facile bersaglio. Per giunta mi ero ripulita, così non ci sarebbe stato bisogno di trascinarmi ai bagni. La stanza odorava di disinfettante, e avevo dimenticato di appoggiare la sedia sotto il pomello della porta. L'immaginazione si fece strada, una vivida scena di me ammanettata al letto, impotente mentre i soldati mi spogliavano lentamente per accrescere la loro eccitazione e assaporare la mia paura. Le pareti della stanza parvero animarsi e pulsare. Schizzai fuori nel corridoio, aspettandomi di scorgere i soldati di Brazell appostati presso la porta. Il corridoio era buio e deserto. Quando cercai di rientrare in camera, mi sentii come se qualcuno mi premesse un cuscino sul viso. Non riuscivo a convincere i miei piedi a oltrepassare la soglia. Quella stanza era una trappola. Era la paranoia conseguente all'assunzione di Amor Mio, oppure semplice buonsenso?, mi chiesi. L'indecisione mi tenne lì in piedi nel corridoio finché il mio stomaco gorgogliò. Guidata dalla fame, andai in cerca di cibo. Sperando di trovare vuota la cucina, fui delusa di vedere un uomo alto che indossava un'uniforme bianca con due diamanti neri stampati sul davanti della camicia, borbottare a se stesso mentre si aggirava attorno ai forni. La sua gamba sinistra non si piegava. Cercai di svignarmela, ma lui mi individuò. «Stai cercando me?» domandò. «No» risposi, «stavo... cercando qualcosa da mangiare.» Alzai il capo per vedere il suo viso. L'uomo si accigliò e spostò il peso sulla gamba buona mentre esaminava la mia uniforme. Troppo magro per un cuoco, pensai, tuttavia indossava gli abiti giusti e solo un cuoco sarebbe stato in piedi così presto. Era attraente in un certo qual modo, con occhi marrone chiaro e corti capelli castani. Mi chiesi se fosse il Rand di Dilana di cui aveva parlato Margg.

«Serviti.» Gesticolò verso due pagnotte fumanti. «Mi hai appena fatto guadagnare la paga di una settimana.» «Scusami» dissi tagliandomi un grosso pezzo di pane. «Come ho potuto farti guadagnare dei soldi?» «Tu sei la nuova assaggiatrice. Giusto?» Annuii. «Tutti sanno che Valek ti ha dato una dose di Amor Mio. Ho colto l'occasione e ho scommesso il salario di una settimana che saresti sopravvissuta.» S'interruppe per togliere dal forno altre tre forme di pane. «Un bel rischio, dal momento che sei il più piccolo e ossuto assaggiatore che abbiamo mai avuto. Quasi tutti gli altri avevano scommesso che non te la saresti cavata, inclusa Margg.» Il cuoco frugò in uno degli armadietti. «Ecco.» Mi porse del burro. «Ti preparerò qualche frittella dolce.» Abbrancando vari ingredienti da uno scaffale, procedette a miscelare una pastella. «Quanti assaggiatori ci sono stati, prima di me?» gli domandai tra un morso e l'altro di pane imburrato. Lavorare da solo non sembrava piacergli. Pareva lieto di avere un po' di compagnia. Con le mani in costante movimento, rispose: «Cinque, da quando il Comandante Ambrose è salito al potere. Valek ama i suoi veleni. Ha avvelenato molti dei nemici del Comandante, e gli piace tenersi in esercizio. Capisci, mettendo alla prova gli assaggiatori di tanto in tanto per assicurarsi che non si siano impigriti». Le parole del cuoco mi si arrampicarono su per la spina dorsale. Mi sentii come se il mio corpo si fosse liquefatto colando in una gigantesca terrina. Ero solo una poltiglia di ingredienti da sbattere, mescolare e usare. Quando il cuoco versò la pastella sulla teglia rovente, il sangue mi si rapprese insieme alle frittelle. «Il povero Oscove, a Valek non è mai piaciuto. Lo metteva alla prova in continuazione, finché non è più riuscito a reggere la pressione. La causa ufficiale della morte è stata suicidio, ma io penso che Valek l'abbia ucciso.»

Flip. Fissai il cuoco mentre girava agilmente il polso, rivoltando le

paste. I miei muscoli tremarono in sincronia col suono di frittelle che

friggevano. Eccomi a preoccuparmi di Brazell, quando un solo passo falso con Valek e... flip, sarei stata spacciata. Probabilmente teneva un paio di veleni di riserva giusto in caso decidesse di sostituire l'assaggiatore. Lanciandomi un'occhiata da sopra la spalla, immaginai Valek che arrivava nelle cucine per avvelenare la mia colazione. Non potevo neppure godermi una conversazione con un cuoco chiacchierone senza che mi venisse rammentato che assaggiare cibo potenzialmente avvelenato non era l'unico rischio del mio nuovo lavoro. Il cuoco mi porse un piatto carico di frittelle dolci, tolse altre tre cassette di pane dal forno e riempì nuovamente di pasta cruda le forme. Le frittelle bollenti erano una leccornia così rara che le divorai malgrado avessi lo stomaco sottosopra. «Oscove era mio amico. Era il migliore degli assaggiatori del Comandante. Era solito venire ogni mattina nella mia cucina dopo colazione e aiutarmi a inventare nuove ricette. Devo mantenere le cose interessanti, o il Comandante comincerà a cercarsi un nuovo cuoco. Sai che significa?» Annuii, asciugandomi il burro dal mento. Lui tese la mano. «Mi chiamo Rand.» Gli strinsi la mano. «Yelena.» Mi fermai a una finestra aperta lungo il tragitto per l'ufficio di Valek. Il sole nascente stava appena spuntando dalle Montagne dell'Anima, a est del castello. I colori nel cielo assomigliavano a un dipinto rovinato, come se un bambino piccolo avesse versato acqua sulla tela. Lasciai banchettare i miei occhi con quella vibrante esplosione di vita mentre inspiravo l'aria fresca. Ogni cosa era in pieno rigoglio, e presto la fredda brezza del mattino si sarebbe riscaldata a un livello piacevole. La stagione torrida era ancora ai suoi primi passi. Il caldo afoso e le notti fiacche, umide, erano lontani ancora alcune settimane. Mi ero addestrata con Valek per una quindicina di giorni, e mi chiedevo quanto a lungo Amor Mio mi avesse tenuto incosciente. Strappandomi dalla finestra, camminai verso l'ufficio di Valek,

arrivando alla sua porta proprio mentre lui stava uscendo. «Yelena! Ce l'hai fatta.» Valek sorrise. «Sono passati tre giorni. Stavo cominciando a preoccuparmi.» Esaminai il suo viso. Sembrava sinceramente lieto di vedermi. «Dov'è Margg?» chiese. «Non l'ho vista.» Per fortuna, pensai. «Allora avrai bisogno del tuo antidoto» disse Valek tornando verso il suo stipetto. Una volta che ebbi inghiottito il liquido, Valek si diresse alla porta. Quando non lo seguii, mi fece cenno. «Devo assaggiare la colazione del Comandante» disse, prendendo un'andatura rapida. Io gli tenni dietro sbuffando. «È tempo che tu incontri il Comandante e osservi come dev'essere assaggiato il cibo.» Svoltammo nel corridoio principale del castello. Valek non perse un passo, ma io incespicai e soffocai un'esclamazione. I famosi arazzi dell'epoca del Re erano laceri e macchiati di vernice nera. Nell'orfanotrofio di Brazell ci avevano insegnato che ogni arazzo rappresentava una provincia dell'antico regno. Trapuntati a mano con fili d'oro nel corso di molti anni, i riquadri di seta colorata narravano eventi della storia di ogni provincia. Ora a brandelli, raccontavano ancora una sintesi potente del regime del Comandante. Il disprezzo del Comandante per l'opulenza, gli eccessi e le ingiustizie del precedente governante e della sua famiglia era ben noto in tutta Ixia. Dalla monarchia al regime militare, i cambiamenti erano stati drastici, e mentre alcuni cittadini avevano abbracciato le semplici ma severe regole del Codice di Comportamento, altri si erano ribellati rifiutando di indossare le uniformi, non chiedendo il permesso di viaggiare, e fuggendo verso il sud. Basata sull'offesa, la punizione dei ribelli si accordava esattamente a ciò che era scritto nel Codice. Niente uniforme significava due giorni incatenati nudi sulla piazza cittadina. Non aveva importanza

se il colpevole aveva un motivo legittimo; la punizione era sempre la stessa. La gente di Ixia scoprì che non poteva esserci nessun dubbio circa la punizione. Niente corruzione né favoritismi; il Comandante faceva sul serio. Vivi secondo il Codice o affronta le conseguenze. Distolsi gli occhi dagli arazzi in tempo per vedere Valek sparire oltre l'arcata di una porta decorata da una profusione di rilievi di pietra. Battenti di legno scheggiati pendevano storti dai cardini, ma gli intricati intrecci di vegetali e uccelli esotici erano ancora visibili. Un'altra vittima del colpo di stato, e un altro memento dell'intento del Comandante. Mi fermai sbalordita appena dentro le porte malconce. Quella era la sala del trono del castello. All'interno c'era un mare di scrivanie occupate da numerosi consiglieri e ufficiali dell'esercito di ogni Distretto Militare del Territorio. La sala ronzava di attività. Era difficile distinguere gli individui nella confusione, ma infine individuai la morbida falcata di Valek mentre oltrepassava una porta aperta in fondo alla sala. Trovare un passaggio nel labirinto di scrivanie richiese del tempo. Quando arrivai alla porta, udii una voce maschile lamentarsi di frittelle dolci ormai fredde. Il Comandante Ambrose sedeva dietro un semplice scrittoio di legno. Il suo ufficio era severo a paragone di quello di Valek, e mancava di decorazioni personalizzate. L'unico oggetto nella stanza che non avesse uno scopo specifico era una statua delle dimensioni di una mano, raffigurante un nero gatto delle nevi. Gli occhi del felino lampeggiavano d'argento, e lucidi granelli di quel metallo disseminavano il possente dorso dell'animale. L'uniforme nera del Comandante era di taglio perfetto e immacolata, indistinguibile da quella di Valek tranne che per il fatto che i diamanti appuntati sul suo colletto erano veri. Scintillavano nella luce del mattino. I capelli neri del Comandante erano spruzzati di grigio e tagliati così corti che le ciocche stavano ritte. Nella scuola di Brazell avevo imparato che il Comandante evitava di apparire in pubblico e di farsi fare ritratti. Meno gente sapeva che aspetto avesse, minori erano le probabilità che venisse assassinato. Alcuni pensavano che fosse paranoico, ma io ritenevo che, dal momento che aveva preso il potere servendosi di assassini e di

guerriglia nascosta, fosse niente più che realista. Quello non era il Comandante che mi ero immaginata: robusto, barbuto e carico di armi e medaglie. Era sottile, sbarbato, con lineamenti delicati. «Comandante, questa è Yelena, la vostra nuova assaggiatrice» annunciò Valek, spingendomi nella stanza. I dorati occhi a mandorla del Comandante incontrarono i miei. Il suo sguardo aveva l'acutezza della punta di una spada. Mi premeva contro la gola e mi inchiodava al pavimento. Mi sentii trascinata allo scoperto ed esaminata. Quando guardò Valek, mi accasciai per il sollievo. «Da quel che Brazell ha urlato ai quattro venti, mi aspettavo sputasse fuoco» commentò il Comandante. Mi irrigidii udendo il nome di Brazell. Se lui si era lamentato con il Comandante, avrei potuto tornare in lista per l'esecuzione. «Brazell è un idiota» sentenziò Valek. «Voleva il dramma di una pubblica impiccagione per l'assassina di suo figlio, lo personalmente mi sarei occupato di lei all'istante. Dopotutto, sarebbe stato nei suoi diritti.» Valek assaggiò il tè del Comandante e annusò le frittelline dolci. Mi sentii serrare il petto. Facevo fatica a respirare. «Inoltre, è scritto chiaramente nel Codice di Comportamento che il lavoro deve essere proposto al primo a dover essere impiccato. E Brazell è stato uno degli autori.» Tagliando da una delle frittelle un pezzo dal centro e un altro di lato, Valek li mise in bocca entrambi, masticando lentamente. «Ecco.» Consegnò il piatto al Comandante. «Brazell ha le sue ragioni» disse il Comandante. Prese il suo tè e ne fissò il contenuto. «Quando comincia? Mi sto stancando di cibo freddo.» «Pochi giorni ancora.» «Bene» disse il Comandante a Valek, poi si rivolse a me. «Arriverai col mio cibo e lo assaggerai in fretta. Non voglio starti ad aspettare. Intesi?» Sentendomi mancare, risposi: «Sì, Signore».

«Valek, sto perdendo peso a causa tua. Il pranzo è in sala tattica. Non fare tardi.» «Sì, Signore» rispose Valek e si diresse alla porta, io lo seguii. Ci facemmo strada serpeggiando nel labirinto di scrivanie. Quando Valek si fermò per consultarsi con un altro consigliere, mi guardai attorno. Una manciata dei consiglieri del Comandante erano donne, e notai due Capitani e un Colonnello femmine. I loro nuovi ruoli erano uno dei vantaggi del colpo di stato. Il Comandante assegnava gli incarichi basandosi sulle capacità e l'intelligenza, non sul genere sessuale. Mentre la monarchia preferiva vedere le donne lavorare come cameriere, sguattere e mogli, il Comandante aveva dato loro la libertà di scegliere quello che volevano fare. Alcune donne avevano preferito mantenere le loro occupazioni precedenti, mentre altre si erano gettate sull'opportunità di fare qualcos'altro, e la più giovane generazione era stata pronta ad avvantaggiarsi delle nuove opportunità. Quando finalmente raggiungemmo l'ufficio di Valek, Margg stava spolverando attorno alle pile di carte di Valek sulla scrivania. Mi sembrò stesse passando più tempo a leggere i documenti che a sistemarli. Valek non lo notava? Mi chiesi che cosa facesse Margg per Valek oltre a pulire. La governante mostrò a Valek un viso amabile, ma non appena lui si allontanò mi squadrò con sguardo feroce. Deve aver perso un sacco di soldi scommettendo contro la mia sopravvivenza, pensai. Le sorrisi. Lei riuscì a controllare l'espressione offesa prima che Valek alzasse gli occhi su di noi dalla sua scrivania. «Yelena, hai l'aria esausta. Mi metti stanchezza solo a guardarti. Va' a riposare. Torna dopo pranzo e continueremo con l'addestramento.» Non mi sentivo realmente stanca, però riposare suonava un'idea eccellente. Mentre mi muovevo lungo il corridoio, il commento di Valek lavorò come un tarlo nella mia mente. Rallentai il passo e trascinai i piedi verso la mia camera. Ero così impegnata nello sforzo fisico di camminare che andai a sbattere contro due delle guardie di Brazell.

«Guarda qui, Wren, ho trovato il nostro sorcio!» esclamò una guardia, afferrandomi il polso. Allarmata, fissai i diamanti verdi sull'uniforme della guardia. «Buon per te» rispose Wren. «Facciamo vedere che cosa hai acchiappato al Generale Brazell.» «Il Generale non va pazzo per i sorci vivi. Specialmente per questo.» La guardia mi scosse con violenza. Il dolore mi percorse il braccio fino alla spalla e al collo. In preda al panico, scrutai il corridoio in cerca di aiuto. Era deserto. «Giusto, li preferisce scorticati vivi.» Avevo sentito abbastanza. Feci ciò che qualunque buon ratto avrebbe fatto: morsi la mano della guardia fino a sentire il sapore del sangue. Strillando e imprecando per la sorpresa, l'uomo allentò la stretta, lo strappai il braccio alla presa e mi misi a correre.

Capitolo 5 Mi trovavo solo a un paio di passi dalle guardie di Brazell quando si ripresero dalla sorpresa e cominciarono a inseguirmi. Essendo terrorizzata e senza il peso delle armi, avevo un lieve vantaggio, ma sapevo che non sarebbe durato. Stavo già ansimando per lo sforzo. I corridoi erano misteriosamente vuoti mentre li percorrevo di corsa. Se avessi trovato qualcuno, non ero effettivamente certa che avrebbe voluto o potuto aiutarmi. Come un sorcio, la mia unica speranza di salvezza era trovare un buco in cui nascondermi. Correvo senza un piano, curandomi soltanto di restare in vantaggio sulle guardie. I corridoi presero un aspetto confuso, tanto che a un certo punto ebbi la sensazione di correre sul posto e che fossero le pareti a muoversi. Rallentai un istante per orientarmi. Dov'ero? La luce nel corridoio stava diminuendo. I miei passi cadenzati sollevavano polvere dal suolo. Mi ero diretta verso una parte isolata del castello, un posto perfetto per un assassinio silenzioso. Silenzioso perché non avrei avuto aria a sufficienza nei polmoni per urlare. Svoltai rapidamente a destra in un passaggio che si addentrava nelle tenebre. Momentaneamente fuori vista delle guardie, spinsi la prima porta che incontrai. Gemendo e cigolando, l'uscio cedette lievemente sotto il mio peso e poi si bloccò. Dannazione, lo spiraglio era grande abbastanza per il mio corpo, ma non per la testa! Udendo le guardie svoltare nel corridoio, mi scagliai contro la porta. Si mosse di un altro pollice. Piombai testa in avanti in una stanza buia, e atterrai sul pavimento. Le guardie trovarono la porta. Osservai inorridita mentre cercavano di aprirla a forza di braccia. La fessura cominciò ad allargarsi. Mi guardai freneticamente intorno mentre i miei occhi si abituavano alla penombra. Barili vuoti e sacchi di granaglie ormai marci coprivano il pavimento. Una pila di stracci era appoggiata contro la parete più lontana, sotto una finestra. La porta cedette un altro paio di pollici sotto gli sforzi delle

guardie prima di incastrarsi di nuovo. Mi misi in piedi e impilai i barili sopra il mucchio di stracci. Arrampicandomici sopra, raggiunsi la finestra, solo per scoprire che era troppo piccola per passarci attraverso. La porta cigolò minacciosamente. Usai il gomito per infrangere il pannello della finestra. Strappando i frammenti frastagliati di vetro dalla cornice, li lanciai sul pavimento. Il sangue mi scorreva lungo il braccio. Incurante del dolore, saltai giù, mi addossai alla parete adiacente alla porta, e lottai per soffocare il rumore aspro del mio respiro. Con un alto gemito la porta si fermò a pochi pollici dalla mia faccia mentre le guardie irrompevano nel magazzino. «Controlla la finestra, lo mi occuperò della porta» disse Wren. Sbirciai da dietro lo spigolo del battente. Il compagno di Wren si diresse alla pila di stracci e barili, schiacciando pezzi di vetro sotto gli stivali. Capii che il mio piano non avrebbe funzionato: Wren bloccava l'unica via di fuga; la finestra rotta avrebbe soltanto ritardato l'inevitabile. «Troppo piccola, è ancora qui» gridò la guardia da là sopra. Il mio respiro affannoso era accelerato in rapidi ansimi. Mi sentivo mancare. La trappola per topi era scattata. Ero immobilizzata nelle sue fauci di metallo. I miei pensieri si mescolarono alla rinfusa in una nuvola di immagini. Mi afferrai alla porta, cercando di non cadere. Un suono vibrante mi esplose incontrollato dalla gola. Fui incapace di soffocare il ronzio. Provarci più intensamente riuscì solo a far aumentare il suono. Uscii barcollando da dietro la porta. Con tutto il rumore che facevo, le guardie non avevano lanciato neppure un'occhiata nella mia direzione. Sembravano congelate sul posto. I miei polmoni si contrassero in cerca d'aria. Ero ormai prossima al punto di non ritorno, ma proprio allora il ronzio mi lasciò. Il rumore risuonava ancora nella stanza, tuttavia non proveniva più da me.

Le guardie continuavano a non reagire. Dopo aver preso vari profondi respiri, schizzai fuori dalla stanza. Non avevo intenzione di sprecare tempo cercando di capire. Il suono ronzante mi seguì mentre ripercorrevo a ritroso la strada da cui eravamo arrivati. L'alto brusio cessò non appena cominciai a vedere altri servitori che si affrettavano per il corridoio. Mi lanciavano sguardi strani e mi resi conto di dover essere un bello spettacolo. Mi costrinsi a smettere di correre mentre cercavo di calmare il cuore che mi martellava nel petto. Mi bruciava la gola per l'affanno, avevo l'uniforme macchiata, il dolore pulsava nel gomito e perle di un rosso vivo mi gocciavano giù dalle dita. Guardandomi le mani, vidi profondi tagli provocati dai vetri rotti. Fissai il sangue sul pavimento. Voltandomi, scorsi una fila di gocce cremisi che spariva giù per il corridoio. Mi serrai le braccia al petto, ma era troppo tardi: avevo lasciato una pista di sangue, e c'erano le guardie di Brazell, come cani addestrati, a seguirla. Stavano arrivando da dietro l'angolo in fondo al corridoio. Finora non individuata, sapevo che qualsiasi movimento brusco avrebbe attirato la loro attenzione. Mi unii a un gruppo di servitori, sperando di confondermi tra loro. Il dolore pulsava in armonia con il battito faticoso del mio cuore. Quando raggiunsi una svolta, arrischiai un'occhiata alle mie spalle. Le guardie stavano nel punto in cui la traccia di sangue terminava. Wren gesticolava discutendo con il compagno. Sgusciai dietro l'angolo inosservata... e andai a sbattere dritta contro Valek. «Yelena! Che cosa ti è successo?» Valek mi afferrò il braccio. Trasalii. Mi lasciò andare. «lo... sono caduta... su dei vetri.» Era debole, come scusa, mi resi conto. Mi precipitai a rinforzarla. «Sto andando a farmi dare una ripulita.» Quando feci per sorpassare Valek, lui mi afferrò la spalla, facendomi girare. «Devi farti vedere da un medico.» «Ah... d'accordo.» Cercai un'altra volta di superarlo.

«Il medico è da questa parte.» Valek mi tirò per la spalla, costringendomi a seguirlo di nuovo nel corridoio in direzione delle guardie. Scioccamente, sperai non mi vedessero, ma mentre li superavamo sorrisero, mettendosi al nostro passo dietro di noi. Lanciai un'occhiata a Valek. Non c'era espressione alcuna sul suo viso. La sua presa sulla mia spalla si rafforzò. Mi stava conducendo in qualche recesso remoto dove tutti e tre avrebbero potuto uccidermi indisturbati?, mi chiesi. Dovevo cercare di scappare? Ma se Valek mi avesse voluta morta, avrebbe soltanto dovuto negarmi l'antidoto alla Polvere di Farfalla. Quando il corridoio si svuotò, Valek mi lasciò andare la spalla e girò su se stesso per affrontare le due guardie, lo gli restai vicina, dietro di lui. «Vi siete persi?» domandò alle guardie. «No, signore» rispose Wren. Una trentina di centimetri più alto di Valek, aveva mani delle dimensioni della mia testa. «Vogliamo soltanto reclamare la nostra prigioniera.» Wren cercò di protendersi oltre Valek per afferrarmi. Valek gli deviò la mano. «La vostra prigioniera?» La sua voce affettò l'aria come una lama d'acciaio. Le guardie si guardarono l'un l'altra, incredule. Valek non aveva armi. Anche se l'altra guardia era più bassa di Wren, tuttavia era più massiccia degli altri due uomini. Identici sorrisetti arroganti aleggiarono sulle facce delle due guardie. Mi chiesi se fare smorfie e squadrare la gente fosse parte del loro addestramento. Rand il cuoco probabilmente avrebbe scommesso la paga di una settimana che i soldati di Brazell avrebbero vinto quella contesa. «In effetti è la prigioniera del Generale Brazell, signore. Ora, se lei volesse...» Wren accennò a Valek di farsi da parte. «Dite al vostro capoccia che Valek non apprezza che si dia la caccia alla nuova assaggiatrice in giro per il castello. E che gradirei fosse lasciata in pace.» Le guardie si guardarono di nuovo. Iniziavo a sospettare che avessero un solo cervello in due. Osservando Valek con espressione

più concentrata, cambiarono la propria postura in una posizione di combattimento. «Ci è stato ordinato di portare al Generale la ragazza, Non dei messaggi» rispose Wren, sfilandosi la spada dalla cintura. Con un suono di metallo rintoccante, anche la seconda guardia sguainò la spada. Wren chiese di nuovo a Valek di farsi da parte. Davanti a due spade, che cosa poteva fare Valek? Mettermi a correre per salvarmi la vita era quello che potevo fare io, così spostai il peso sulle piante dei piedi, preparandomi a fuggire. La mano destra di Valek sparì alla vista muovendosi con due rapidi scatti del polso, come se avesse salutato le due guardie. Prima che quelle potessero reagire, lui era in mezzo ai due, troppo vicino perché potessero usare le spade. Si chinò, posò le mani sul pavimento e fece una ruota. Mulinando le gambe, Valek gettò a terra entrambe le guardie. Udii un clangore di metallo, uno sbuffo d'aria proveniente da Wren e una bestemmia dall'altro, prima che entrambi giacessero immobili. Sconcertata, guardai Valek scostarsi con movimenti aggraziati dagli avversari abbattuti. Contava sottovoce. Quando arrivò a dieci, si chinò sui due uomini estraendo dal collo dell'uno e poi dell'altro un minuscolo dardo. «È un modo sporco di combattere, ma sono in ritardo per il pranzo.»

Capitolo 6 Scavalcando le forme prone dei soldati addormentati, Valek mi prese il braccio ferito e lo esaminò. «Non è brutto come sembra. Sopravviverai. Prima vedremo il Comandante, poi il medico.» Valek mi fece attraversare il castello a passo di marcia. Il braccio cominciò a pulsarmi. Restai indietro: il pensiero di affrontare lo sguardo di pietra del Comandante mi appesantiva le gambe. Trovare il medico e poi infilarsi in un bagno bollente era senza alcun dubbio più attraente. Entrammo in una spaziosa stanza rotonda che serviva da sala tattica del Comandante. Sottili finestre dai vetri colorati si allungavano dal pavimento al soffitto per tre quarti della sala. Il caleidoscopio di colori mi fece sentire come se fossimo all'interno di una trottola. Stordita, avrei perso l'equilibrio se non avessi colto con lo sguardo qualcosa che mi inchiodò al pavimento. Un lungo tavolo di legno occupava il centro della stanza. Seduto a capotavola con due guardie in piedi dietro di lui c'era il Comandante. Le sue sopracciglia sottili si toccavano per l'irritazione. Accanto a lui stava un vassoio di cibo, intatto. Seduti attorno al tavolo c'erano tre dei Generali del Comandante. Due di loro erano impegnati a consumare il pasto, mentre la forchetta del terzo era levata a mezz'aria. Mi con-centrai sulla mano; nocche bianche equivalevano a rabbia al calor bianco. Con riluttanza incontrai lo sguardo del Generale Brazell. Brazell abbassò la forchetta, la faccia tirata. I suoi occhi contenevano lampi, lo ero il bersaglio, e come un coniglio colto allo scoperto ero troppo terrorizzata per muovermi. «Valek, sei...» iniziò il Comandante Ombrose. «... in ritardo» finì Valek per lui. «Lo so. C'è stata una piccola discussione» aggiunse tirandomi più vicino a sé. Incuriositi, gli altri due Generali smisero di mangiare, lo arrossii, soffocando un violento desiderio di schizzare fuori dalla stanza. Non avendo mai avuto alcun contatto con ufficiali di alto rango,

riconobbi i Generali soltanto dai colori delle loro uniformi. Il viaggio verso il carcere era stato la prima volta che avevo varcato i confini del DM-5. Anche durante i primi dieci anni in cui avevo vissuto all'orfanotrofio di Brazell non avevo visto che brevemente e di sfuggita lui e la sua famiglia. Disgraziatamente, dopo che avevo compiuto i sedici anni la vista di Brazell e di suo figlio Reyad era diventata il mio incubo quotidiano. Dapprima mi ero sentita lusingata dalle attenzioni del mio benefattore; i suoi capelli grigi e la corta barba incorniciavano un viso squadrato, gradevole, che proclamava rispettabilità. Tarchiato e robusto, mi era parso la perfetta immagine della figura paterna. Brazell mi disse che io ero la più sveglia dei suoi figli adottivi e che gli occorreva il mio aiuto per certi esperimenti. Acconsentii con prontezza a partecipare. Il ricordo di quanto fossi stata riconoscente e ingenua mi diede la nausea. Era successo tre anni prima, quando ero ancora un cucciolo. Un cucciolo che agitava la coda anche quando i cordoni della borsa venivano stretti. Avevo sopportato quella situazione per due anni. La mia mente rifuggì dai ricordi. Fissai Brazell nella sala tattica. Le sue labbra erano serrate e la mascella vibrava. Stava combattendo per contenere il suo odio. Debole per lo sfinimento, vidi lo spettro di Reyad apparire dietro di lui. La gola tagliata di Reyad era spalancata, e ne colava sangue che gli macchiava la camicia da notte. La lontana reminiscenza di un racconto circa le vittime di assassinio che venivano a tormentare i loro uccisori finché non avessero avuto giustizia, filtrò nella mia mente. Mi stropicciai gli occhi. Qualcun altro vedeva lo spettro? Se sì, lo nascondevano bene. Il mio sguardo scivolò su Valek. Lui era tormentato dai fantasmi? Se si doveva credere a quella vecchia storia, doveva esserne sommerso. Mi pulsò dentro il rammarico di non essermi potuta liberare completamente di Reyad, ma non avvertii la minima traccia di rimorso. L'unica cosa di cui ero dispiaciuta era non aver avuto il coraggio di uccidere Brazell quando ne avevo avuto l'occasione. Dispiaciuta di non essere stata in grado di salvare i miei fratelli e sorelle dell'orfanotrofio di Brazell dal traguardo dei sedici anni.

Dispiaciuta di non aver potuto avvertire May e Carra e di non averle aiutate a fuggire. La voce del Comandante riportò la mia attenzione alla sala tattica. «Discussione, Valek?» Sospirò come un genitore indulgente. «Quanti morti?» «Nessuno. Non potrei giustificare il fatto di aver ucciso soldati che eseguivano semplicemente gli ordini del Generale Brazell di dare la caccia e uccidere il nostro nuovo assaggiatore. Inoltre, non erano molto svegli. Sembra che lei fosse sul punto di seminarli quando si è imbattuta in me. Buona cosa comunque, o avrei potuto non venire a sapere dell'incidente.» Il Comandante mi studiò per un poco prima di rivolgersi a Brazell. A Brazell era tutto ciò che occorreva. Balzando dalla sedia urlò: «Dovrebbe essere morta! La voglio morta! Ha ucciso mio figlio!». «Ma il Codice di Comportamento...» obiettò Valek. «Il Codice un accidente, lo sono un Generale. Lei ha ucciso il figlio di un Generale ed eccola qui...» L'emozione soffocò la voce di Brazell. Le sue dita si torsero come se volesse mettermi le mani attorno al collo in quel preciso momento. Lo spettro di Reyad fluttuò dietro il padre, un sorrisetto sul viso. «È un disonore per me che lei sia viva» continuò Brazell. «Un insulto. Addestrate un altro prigioniero. La voglio morta!» Istintivamente mi riparai dietro Valek. Gli altri Generali stavano annuendo, d'accordo. Ero troppo terrorizzata per guardare il Comandante. «Ha un argomento valido» disse il Comandante senza una traccia di emozione a corrompere la sua voce. «Non avete mai derogato da ciò che è scritto nel Codice di Comportamento» contestò Valek. «Cominciate ora, e costituirete un pericoloso precedente. Inoltre, ucciderete il più brillante assaggiatore che abbiamo mai avuto. È praticamente addestrata.» Accennò al vassoio di cibo freddo accanto al Comandante.

Lanciai un'occhiata da dietro Valek per vedere l'espressione del Comandante. Meditabondo, Ambrose imbronciò le labbra considerando le argomentazioni del suo consigliere, lo incrociai le braccia, affondandomi le unghie nella carne. Brazell, percependo un mutamento di opinione, fece un passo verso il Comandante. «È sveglia perché l'ho educata io. Non posso credere che vorrete dare ascolto a questo connivente, infido ladro venuto dal nulla...» Brazell s'interruppe. Aveva detto troppo. Aveva insultato Valek, e perfino io sapevo che il Comandante nutriva un affetto speciale per il suo consigliere. «Brazell, lasci in pace il mio assaggiatore.» Tirai rumorosamente il fiato per il sollievo. Brazell tentò di discutere, ma il Comandante lo zittì. «È un ordine. Vada avanti a costruire la sua nuova fabbrica. Consideri la sua licenza approvata.» Stava facendo ciondolare una carota davanti a Brazell. Una nuova fabbrica valeva più della mia morte? Cadde il silenzio, tutti attendevano che Brazell commentasse. Lui mi rivolse un'occhiata piena d'odio. Lo spettro di Reyad ghignò, e io compresi da quel suo sorriso da gatto che ha acchiappato il topo che l'approvazione della licenza era molto importante per Brazell. Più importante di quanto avesse lasciato intendere al Comandante Ambrose. La sua rabbia e l'indignazione per il fatto che io avessi evitato la forca erano genuine, ma poteva costruirsi la sua fabbrica adesso, e uccidermi in seguito. Sapeva dove trovarmi. Brazell lasciò la stanza senza dire un'altra parola. Il fantasma divertito sillabò con le labbra le parole Ci vediamo la prossima volta, prima di seguire suo padre. Quando gli altri Generali cominciarono a contestare l'approvazione della licenza, il Comandante ascoltò le loro argomentazioni in silenzio. Momentaneamente dimenticata, io studiai i due Generali. Le loro uniformi erano simili a quella del Comandante, solo che indossavano giubbe nere con bottoni d'oro. Invece di diamanti veri sul colletto, ogni Generale aveva cinque diamanti ricamati sulla giacca, a sinistra sul petto. Nessuna medaglia o decorazione adornava le loro uniformi. Le truppe del Comandante

indossavano soltanto ciò che era indispensabile per il riconoscimento e per la battaglia. I diamanti del Generale seduto vicino al Comandante erano azzurri. Era Hazal, incaricato del Distretto Militare 6, subito a ovest del DM-5 di Brazell. I diamanti del Generale Tesso erano argentei a indicare il DM-4. che confinava con quello di Brazell a nord. Se un distretto metteva in cantiere un grosso progetto, come costruire una nuova fabbrica o disboscare terra da coltivare, era obbligatoria una licenza approvata dal Comandante. Progetti minori, come installare un nuovo forno in un panificio o costruire una casa all'interno del distretto, necessitavano soltanto dell'approvazione del Generale di quel distretto. La maggior parte dei Generali avevano degli incaricati che si occupavano delle procedure per la richiesta di nuove licenze. Era evidente dalle lamentele dei presenti che la licenza di Brazell era agli stadi iniziali della procedura. Erano cominciate le discussioni con i distretti confinanti, ma lo staff del Comandante non aveva ancora visionato e vidimato i progetti della fabbrica. Di solito, una volta che i consiglieri suggerivano l'approvazione, Ambrose firmava la richiesta. Il Codice di Comportamento stabiliva soltanto che doveva essere ricevuto il permesso prima di costruire, e che se il Comandante voleva scavalcare la procedura poteva farlo. Ci era stato insegnato il Codice di Comportamento, all'orfanotrofio. Chi ambisse l'onore di andare a fare commissioni in città doveva memorizzare e recitare il Codice alla perfezione prima di guadagnarsi il privilegio. Oltre a leggere e scrivere, l'educazione che avevo ricevuto da Brazell includeva anche la matematica e la storia della presa di potere del Comandante a Ixia. Dal colpo di stato, l'istruzione era accessibile a tutti e non soltanto un privilegio per i maschi delle classi più abbienti. La mia istruzione tuttavia aveva avuto una svolta, in peggio, quando avevo cominciato ad aiutare Brazell. I ricordi minacciarono di sopraffarmi. La pelle, caldissima, mi si accapponò. Tremavo, costringendo la mia mente a concentrarsi sul presente. I Generali avevano terminato la contestazione alla decisione del Comandante. Valek assaggiò il cibo freddo di Ambrose, e glielo spinse più vicino. «Le vostre preoccupazioni sono registrate. Il mio ordine rimane

valido» sentenziò il Comandante. Si rivolse a Valek. «La tua assaggiatrice farà meglio a tener fede alle tue lodi. Una mancanza, e dovrai addestrare il suo sostituto prima della tua riassegnazione. Sei congedato.» Valek mi prese per un braccio e mi trascinò fuori dalla stanza. Camminammo lungo il corridoio fino a che la porta della sala tattica si chiuse con uno scatto. Allora Valek si fermò. I lineamenti del suo viso si erano induriti in una maschera di porcellana. «Yelena...» «Non dire niente. Non minacciarmi, non intimidirmi, non tiranneggiarmi. Ho già avuto abbastanza di tutto ciò da Brazell. Farò ogni sforzo per essere il migliore degli assaggiatori, perché mi sto abituando all'idea di vivere. E non voglio dare a quell'uomo la soddisfazione di vedermi morta.» Stanca di esaminare ogni espressione facciale di Valek e di sforzarmi di cogliere ogni minima sfumatura nella sua voce per avere indizi del suo umore, mi scostai da lui. Mi seguì. Quando raggiungemmo un incrocio, la mano di Valek mi afferrò il gomito. Lo udii pronunciare la parola medico mentre mi guidava verso sinistra. Senza guardarlo una sola volta in faccia, mi lasciai trascinare da lui in infermeria. Mentre venivo guidata verso un lettino da visita vuoto, socchiusi gli occhi abbagliata dall'uniforme tutta bianca del medico. L'unica macchia di colore sul camice erano due piccoli diamanti rossi ricamati sul colletto. La mia mente era così impastata di stanchezza che mi ci volle un certo tempo per realizzare che il medico dai capelli corti era una donna. Con un grugnito, mi allungai sul lettino. Quando la donna si allontanò per prendere i suoi strumenti, Valek disse: «Piazzerò due guardie fuori dalla porta, nel caso Brazell cambi idea». Prima di lasciare l'infermeria, lo vidi parlare con il medico. La donna annuì e mi lanciò un'occhiata. Poco dopo tornò con un vassoio carico di lucenti strumenti chirurgici che includevano una caraffa di una sostanza che sembrava gelatina. Mi strofinò il braccio con l'alcol, facendo sanguinare e pizzicare le ferite. Mi morsi il labbro per non gridare. «Sono tutte superficiali, tranne questa» disse il medico indicando il gomito che avevo usato per rompere il vetro. «Questa ferita

dev'essere sigillata.» «Sigillata?» Suonava una cosa dolorosa. Il medico prese il vaso di gelatina. «Rilassati. È un nuovo metodo per trattare le lacerazioni profonde. Usiamo questa specie di colla per sigillare la pelle. Una volta che la ferita guarisce, la colla viene assorbita dall'organismo.» Ne raccolse una dose generosa con le dita e l'applicò sul taglio. Trasalii al dolore. La donna tirò assieme i labbri della ferita, stringendo forte. Le lacrime mi rotolarono giù per le guance. «È stata inventata dal cuoco del Comandante, proprio lui fra tutta la gente... Non ci sono effetti collaterali ed è ottima nel tè.» «Rand?» domandai sorpresa. Lei annuì. Tenendo ancora assieme la pelle, continuò: «Dovrai portare una fasciatura per qualche giorno, e tenere il taglio asciutto». Soffiò sulla colla per un po' prima di lasciar andare la presa. Mi bendò il braccio. «Valek vuole che tu resti qui stanotte. Ti porterò la cena. Puoi riposarti un po'.» Pensai che mangiare avrebbe richiesto uno sforzo eccessivo, ma quando lei portò il cibo caldo, mi resi conto che morivo di fame. Uno strano sapore nel tè mi fece perdere l'appetito in un istante. Qualcuno aveva avvelenato il mio tè.

Capitolo 7 Chiamai il medico con un cenno. «C'è qualcosa nel tè» gridai. Cominciavo a sentirmi svaporata. «Chiama Valek.» Forse lui aveva un antidoto. Lei mi fissò con i grandi occhi marroni. Il suo viso era allungato e magro. Capelli più lunghi le avrebbero addolcito i lineamenti, e invece l'acconciatura corta la faceva solo sembrare un furetto. «Sono gocce per dormire. Ordini di Valek» spiegò. Tornai a respirare, sentendomi meglio. Il medico mi lanciò uno sguardo divertito prima di andarsene. L'appetito ormai rovinato, spinsi da parte il cibo. Non avevo bisogno di sonniferi per cedere allo sfinimento che mi succhiava le energie rimanenti. Quando mi svegliai, il mattino seguente, c'era un'indistinta macchia bianca ai piedi del mio letto. Si mosse. Battei le palpebre e strizzai gli occhi finché l'immagine non si mise a fuoco nella figura della dottoressa dai capelli corti. «Hai passato una buona nottata?» «Sì» risposi. La prima notte dopo lungo tempo libera da incubi, anche se mi sentivo la testa come se fosse imbottita d'ovatta, e avevo un sapore acido in bocca che non prometteva una buona mattinata. Il medico mi controllò le fasciature, emise un suono non compromettente e mi disse che la colazione sarebbe arrivata presto. Mentre aspettavo, esaminai l'infermeria. Il locale, rettangolare, conteneva dodici letti, sei su ogni lato, distanziati in modo da formare un'immagine speculare. Le lenzuola dei letti liberi erano tirate come corde d'arco. Ordinata e precisa, la stanza mi irritò, lo mi sentivo come delle lenzuola stazzonate, non più in controllo della mia anima, del mio corpo, o del mio mondo. Essere circondata da quel nitore mi offendeva, ed ebbi un improvviso desiderio di saltare sui letti vuoti, sparigliando la fila. Ero la più lontana dalla porta. Due letti vuoti stavano tra me e gli

altri tre pazienti sul mio lato dello stanzone. Stavano dormendo. Non avevo nessuno con cui parlare. Le pareti di pietra erano nude. Diavolo, la mia cella nella prigione aveva decorazioni più interessanti. Ma quantomeno qui c'era un odore migliore. Trassi un profondo respiro. L'odore pungente, pulito, di alcol misto a disinfettante mi riempì il naso, così diverso dall'aria fetida della segreta. Molto meglio. Ma davvero? C'era un altro sentore mischiato agli aromi medicali. Un'altra zaffata e mi resi conto che l'odore rancido di un'antica paura emanava da me. Non sarei sopravvissuta, il giorno prima. Le guardie di Brazell mi avevano preso in trappola. Non avevo via di scampo. Eppure ero stata salvata da uno strano rumore ronzante che era eruttato dalla mia gola come un indebito, incontrollabile risultato. Un primitivo istinto di sopravvivenza che aveva echeggiato nei miei incubi. Evitavo di pensare a quel ronzio perché era una mia vecchia conoscenza, ma i ricordi continuavano a invadermi la mente. Esaminando i tre anni precedenti, mi costrinsi a concentrarmi su quando e dove il ronzio fosse sgorgato, e ad ignorare le emozioni. Il primo paio di mesi degli esperimenti di Brazell avevano puramente testato i miei riflessi. Quanto rapidamente sapessi schivare una palla o evitare un bastone che veniva roteato, un esercizio tutto sommato abbastanza innocuo fino a quando la palla non si era trasformata in un coltello e il bastone in una spada. Il cuore mi cominciò a battere forte. Con mani sudate mi toccai una cicatrice sul collo. Niente emozioni, mi dissi severamente, agitando le mani come se potessi spinger via la paura. Fingi di essere tu il medico, pensai, ponendo domande per avere informazioni. Mi immaginai vestita di bianco, tranquillamente seduta accanto a una paziente febbricitante che farfugliava.

Che cos'è venuto poi?, domandai alla paziente. Prove di [orza e di resistenza, rispose lei. Compiti semplici come sollevare pesi si

erano mutati nel sorreggere pesanti pietre sopra la testa per minuti, poi per ore. Se lei lasciava cadere la pietra prima che il tempo fosse scaduto, veniva frustata. Le veniva ordinato di afferrare delle catene appese al soffitto, sorreggendo il proprio peso a vari pollici sopra il pavimento, finché Brazell o Reyad non le davano il permesso di

lasciarsi andare.

Quando è stata la prima volta che hai udito il ronzio?, incalzai la

paziente. Aveva lasciato andare le catene troppo presto per troppe volte e Reyad si era infuriato, rispose lei. Così l'aveva costretta a penzolare fuori da una finestra a sei piani da terra, lasciandola a reggersi al davanzale con le mani. «Proviamo di nuovo» aveva detto Reyad. «Adesso che abbiamo alzato la posta, magari reggerai per l'intera ora.»

La paziente smise di parlare. Vai avanti, raccontami che cosa accadde, la stimolai. Le sue braccia erano indebolite dopo aver passato la maggior parte della giornata appesa alle catene. Le dita erano scivolose di sudore; i muscoli le tremavano di fatica. Il panico l'aveva assalita. Quando le mani le erano scivolate dal davanzale, aveva vagito come un neonato. L'urlo era cambiato e si era trasformato in una sostanza. Che si era espansa, avviluppando e carezzando la sua pelle da ogni parte. Lei si era sentita come fosse accoccolata in una calda pozza d'acqua. La cosa che ricordava subito dopo, era di essere seduta a terra. Aveva guardato in su, verso la finestra. Reyad la osservava con il viso alterato. I suoi perfetti capelli biondi erano insolitamente scompigliati. Deliziato, le aveva inviato un bacio. L'unico modo in cui poteva essere sopravvissuta alla caduta era la magia. No. Assolutamente no, insistette. Doveva essere stata una strana corrente del vento, o forse era semplicemente atterrata nel modo giusto. Non poteva essere magia. Magia, una parola proibita a Ixia dall'ascesa al potere del Comandante Ambrose. I maghi erano stati trattati come insetti diffusori di malattie. Erano stati cacciati, intrappolati e sterminati. Ogni indizio o suggerimento che qualcuno possedesse la magia era una sentenza di morte. L'unica possibilità di sopravvivere era fuggire a Sitia. La paziente si stava facendo sempre più agitata, e gli altri occupanti della stanza la stavano fissando... Stavano fissando me. Piccole dosi, mi dissi. Potevo maneggiare i miei ricordi in modeste quantità. Dopotutto, non ero rimasta ferita nella caduta, e Reyad era

stato dolce con me per un po'. Ma la sua gentilezza era durata solo fino a quando non avevo iniziato a fallire i suoi esperimenti. Per distrarmi dai ricordi, contai le crepe nel soffitto. Ero arrivata a cinquantasei quando entrò Valek. Reggeva un vassoio di cibo in una mano e un raccoglitore di documenti nell'altra. Adocchiai con sospetto l'omelette fumante. «Che cosa c'è dentro?» domandai. «Altri sonniferi? O un altro nuovo veleno?» Ogni muscolo del mio corpo si era irrigidito. Cercai senza successo di rizzarmi a sedere. «Che ne dici di darmi qualcosa per farmi sentire bene, tanto per cambiare?» «Che ne dici di qualcosa per tenerti in vita?» ribatté lui. Mi tirò su in posizione seduta e mi offrì una pipetta riempita del mio antidoto. Poi mi posò in grembo il vassoio di cibo. «Non c'è bisogno di gocce per dormire. Il medico mi ha detto che ne hai percepito il sapore, ieri sera.» La voce di Valek conteneva una nota di approvazione. «Assaggia la tua colazione e dimmi se permetteresti al Comandante di mangiarla.» Valek non aveva esagerato quando aveva detto che non avrei avuto giorni liberi. Sospirando, annusai l'omelette. Niente odori insoliti. La tagliai in quattro quarti, esaminando ciascuno di essi in cerca di materiali estranei. Prendendo un pezzettino da ogni porzione, me li misi in bocca uno alla volta e masticai lentamente. Deglutendo, attesi di percepire un qualsiasi retrogusto. Annusai il tè e lo mescolai col cucchiaino prima di sorbirne un sorso. Rigirandomi il liquido attorno alla lingua, individuai un gusto dolce prima di deglutire. «A meno che al Comandante non piaccia il miele nel tè, io non rifiuterei questa colazione.» «Allora mangiala.» Esitai. Valek stava cercando di giocarmi? A meno che non avesse usato un veleno che io non avevo ancora imparato a riconoscere, la colazione era pulita. Ne mangiai ogni briciola, e poi prosciugai il tè mentre Valek osservava.

«Non male» commentò. «Niente veleni... per oggi.» Uno dei medici portò un altro vassoio per Valek. Conteneva quattro tazze bianche con un liquido color oliva che odorava di menta. Sostituendo il vassoio della mia colazione con quello nuovo, Valek disse: «Voglio affrontare alcune tecniche di assaggio. Ciascuna di queste tazze contiene tè alla menta. Assaggiane una». Afferrando la ciotola più vicina, bevvi un sorso. Un aroma soverchiarne di menta mi pervase la bocca. Tossii. Valek sogghignò. «Senti qualcos'altro?» Azzardai un'altra boccata. La menta dominava. «No.» «Benissimo. Adesso turati il naso e riprova.» Dopo aver pasticciato un po' con il braccio fasciato, riuscii a inghiottire il tè tenendomi il naso. Sentii le bolle nelle orecchie. Sbalordii al gusto. «Dolce. Niente menta.» La mia voce suonava stupida, così lasciai la presa. Immediatamente la menta eclissò la dolcezza. «Esatto. Ora prova le altre.» La seguente tazza di tè di menta celava un gusto rancido, la terza aveva un aroma amarognolo, e la quarta era salata. «Questa tecnica funziona per qualsiasi cibo o bevanda. Bloccare il senso dell'olfatto elimina ogni sapore tranne il dolce, l'acido, l'amaro e il salato. Alcuni veleni sono riconoscibili da uno di questi sapori.» Valek sfogliò il fascicolo. «Eccoti qui una lista completa di sostanze tossiche per l'uomo e i loro distinti sapori da imparare a memoria. Ci sono cinquantadue veleni diversi.» Diedi un'occhiata all'inventario di veleni. Alcuni li avevo già individuati. Amor Mio era in cima alla lista. L'elenco mi avrebbe salvato da stordimento, nausea, mal di testa e occasionali effetti allucinogeni. Brandii nell'aria il foglio. «Perché non mi hai semplicemente dato questa lista invece di farmi provare Amor Mio?» Valek smise di sfogliare il raccoglitore. «Che cosa impareresti da un semplice elenco? Kattsgut ha un sapore dolce. Ma di cosa sa questo dolce? Di miele? Di mela? Ci sono varie gradazioni di dolcezza e l'unico modo per impararle è assaggiarle. l'unica ragione

per cui ti sto dando questa lista è che il Comandante ti vuole in servizio il più presto possibile.» Valek chiuse di scatto il raccoglitore. «Solo perché non devi assaggiare quei veleni adesso, non significa che tu non debba farlo in futuro. Memorizza questa lista. Una volta che il medico ti dimetterà dall'infermeria, metterò alla prova le tue conoscenze. Se passerai l'esame, potrai cominciare a lavorare.» «E se dovessi fallire?» «Allora addestrerò un nuovo assaggiatore.» La sua voce era piatta, monocorde, ma la forza che vi stava dietro mi serrò il cuore. Valek continuò. «Brazell sarà al castello per altre due settimane. Ha altre faccende da sbrigare. Non posso farti sorvegliare tutto il giorno, così Margg ti sta allestendo una camera nei miei appartamenti. Tornerò più tardi per vedere quando sarai dimessa.» Guardai Valek dirigersi alla porta. Scivolava attraverso la stanza, equilibrato e atletico. Scossi il capo. Fantasticare su Valek era la cosa peggiore in assoluto che potessi fare, così mi concentrai sulla lista di veleni che avevo in mano. Lisciai il foglio e sperai che il mio sudore non avesse fatto sbavare l'inchiostro. Sollevata che lo scritto fosse leggibile, cominciai a studiare. Lo notai appena quando il medico venne a controllare il mio braccio. Doveva aver portato via il vassoio con le tazze, perché mi era sparito dal grembo. Avevo escluso dalla mia mente tutto il rumore e l'andirivieni dell'infermeria, cosicché sobbalzai quando un piatto contenente un tortino rotondo mi fu infilato sotto il naso. Il braccio che lo reggeva conduceva a Rand. Il suo sogghigno era gioioso. «Guarda che cosa ho portato di contrabbando sotto il naso di Dottor Mammina! Avanti. Mangialo prima che torni.» Il dolce caldo profumava di cannella. Una bianca glassa fusa colava giù dai lati, facendomi appiccicare il pasticcino alle dita quando lo presi. Lo esaminai attentamente, aspirandone l'aroma in cerca di un odore estraneo. Un piccolo morso rivelò strati multipli di pasta e cannella.

«Dio mio, Yelena, non penserai che l'abbia avvelenato?» Il viso di Rand era contratto, come se soffrisse. Era esattamente quel che avevo pensato, ma ammetterlo l'avrebbe offeso. Le motivazioni per cui si trovava lì erano poco chiare. Pur sembrando gentile e amichevole, avrebbe potuto covare risentimenti a motivo del suo amico Oscove, il precedente assaggiatore. Ma poteva anche essere un potenziale alleato. Chi era meglio avere al mio fianco? Rand, il cuoco, il cui cibo avrei mangiato quotidianamente, o Valek, l'assassino, che aveva una perversa inclinazione ad avvelenare i miei pasti? «Deformazione professionale» azzardai. Lui grugnì, ancora contrariato. Presi un gran morso del pasticcino. «Fantastico» dissi, facendo leva sul suo ego perché mi desse un'altra occasione. Il viso di Rand si ammorbidì. «Buono, vero? La mia ultimissima ricetta. Prendo una lunga striscia di pasta dolce, la ricopro di cannella, la arrotolo in tondo, cuocio in forno, e poi ci spalmo sopra la glassa mentre è calda. Tuttavia ho qualche problema con il nome. Torta alla cannella? Rotolo? Girella?» Rand smise di girovagare per cercarsi una sedia. Dopo un bel po' a torcersi per compensare il problema della gamba sinistra rigida, finalmente si sistemò in una posizione comoda. Mentre finivo il pasticcino, Rand continuò. «Non dire al Dottor Mammina che ti ho dato quello. Non le piace che i suoi pazienti mangino qualcosa di diverso da una farinata molle. Dice che la pappetta favorisce la guarigione. Ebbene, certo che ha effetto!» Alzò le braccia, mostrando le cicatrici di varie bruciature attorno ai polsi. «Ha un sapore così tremendo che chiunque starebbe meglio, pur di ottenere un pasto decente!» Il gesto brusco indusse gli altri pazienti a guardare dalla nostra parte. Rand si chinò più vicino e disse con voce tranquilla: «Allora, Yelena, come ti senti?». Mi guardò come se stesse valutando un taglio di carne, decidendo quale sarebbe diventato l'arrosto migliore. Lo osservai, cauta. Perché gliene importava? «Ancora scommesse?» domandai.

Lui si appoggiò allo schienale. «Scommettiamo sempre. Scommettere e spettegolare è tutto quello che facciamo noi domestici. Che altro c'è? Avresti dovuto vedere l'eccitazione e le puntate, quando hanno scoperto gli scagnozzi di Brazell che ti inseguivano.» «Nessuno è venuto ad aiutarmi. I corridoi erano deserti» dissi sgomenta. «Avrebbe significato impicciarsi in una situazione che non ci tocca direttamente. I servitori non lo fanno mai. Siamo come scarafaggi che scorrazzano nel buio.» Le dita magre di Rand oscillarono. «Accendi una luce... puff!» Schioccò le lunghe dita a sottolineare l'effetto. «Scompariamo.» Io mi sentii come lo scarafaggio sfortunato sorpreso dalla luce, sempre ad arrabattarsi per restare un passo avanti mentre s'appressa l'ombra di uno stivale. «Comunque, le probabilità erano contro di te. Quasi tutti hanno perso alla grande, mentre pochi...» Rand indugiò in modo teatrale, «...hanno vinto alla grande.» «Dal momento che sei qui, deduco che tu abbia vinto alla grande.» Lui sorrise. «Yelena, io scommetto sempre su di te. Sei come uno dei terrier del Comandante Ambrose: un cagnetto uggiolante che non degneresti di un secondo sguardo, ma una volta che ti abbranca la gamba dei calzoni, non molla.» «Avvelenagli il cibo e il cane non ti darà più fastidio.» Il mio tono acido smorzò il sorriso di Rand. «Problemi?» Sorpresa che la rete di pettegolezzi del castello non avesse già cominciato a lanciare puntate sul test di Valek, esitai. A Rand piaceva chiacchierare, e poteva mettermi nei guai. «No. È solo il fatto di essere l'assaggiatore ufficiale e tutto...» Sperai che questo lo soddisfacesse. Rand annuì. Trascorse il resto del pomeriggio alternandosi tra reminiscenze di Oscove e digressioni su potenziali nuove ricette. Quando comparve Valek, Rand smise di parlare, facendosi pallido, e

borbottò qualcosa a proposito di dover preparare la cena. Balzò in piedi barcollando dalla sedia e per poco non cadde nella fretta di lasciare la stanza. Valek lo osservò mentre usciva zoppicando dall'infermeria. «Che cosa ci faceva qui?» L'espressione di Valek restò neutra, ma la rigidità del suo corpo mi indusse a chiedermi se fosse in collera. Scegliendo con cura le parole, gli spiegai che Rand era venuto a farmi visita. «Quando l'hai conosciuto?» Una domanda casuale, ma di nuovo c'era una tensione sottesa alle sue parole. «Dopo che mi sono ripresa da Amor Mio, sono andata a cercare da mangiare e ho incontrato Rand in cucina.» «Bada a ciò che dici quando è nei paraggi. Non c'è da fidarsi di lui. Avrei voluto riassegnarlo, ma il Comandante ha insistito perché restasse. In effetti è un genio in cucina. Una specie di protetto del Comandante. Cominciò a cucinare per il Re in età giovanissima.» Valek mi fissava con i suoi freddi occhi blu, ammonendomi di stare alla larga dal cuoco. Forse era per questo che a Valek non piaceva Oscove. Essere legata a qualcuno che era stato fedele al Re poteva gettare ulteriori sospetti su di me. Ma permettere a Valek di spaventarmi mi bruciava. Lo guardai di rimando con uno sguardo, sperai, indifferente. Valek distolse gli occhi. Esultai. Nella mia mente, avevo infine vinto una partita. «Lascerai l'infermeria domani mattina» Valek disse brusco. «Datti una ripulita e presentati nel mio ufficio per sottoporti all'esame, lo non riterrò che tu sia pronta neppure se lo passi, ma il Comandante mi ha ordinato di renderti disponibile per pranzo.» Scosse la testa con fastidio. «È una scorciatoia, lo odio le scorciatoie.» «Perché? Non dovrai più rischiare di persona.» Rimpiansi le parole non appena mi furono uscite di bocca. Lo sguardo di Valek fu mortale. «Nella mia esperienza, le scorciatoie solitamente portano alla morte.» «È quello che è successo al mio predecessore?» domandai,

incapace di reprimere la curiosità. Valek avrebbe confermato o negato le teorie di Rand? «Oscove?» Valek fece una pausa. «Non aveva lo stomaco per questo lavoro.»

Capitolo 8 Quando mi svegliai, il mattino seguente, la lista di veleni di Valek era ancora stretta nella mia mano. Ripassai l'inventario fino a quando il medico non mi dimise. I muscoli ammaccati protestavano a ogni movimento mentre mi dirigevo alla porta. Avrei dovuto essere contenta di lasciare l'infermeria, ma ero preoccupata per la tensione nervosa a cui ero sottoposta. Mi sentivo lo stomaco come se ci fosse dentro un topo vivo, che cercava di aprirsi la strada a morsi. Le guardie stanziate fuori dall'infermeria mi fecero trasalire. Tuttavia non portavano i colori di Brazell, e tardivamente ricordai che Valek li aveva assegnati a proteggermi fino a quando non mi fossi presentata nel suo ufficio. Mi guardai intorno per orientarmi, ma non avevo idea di quale direzione conducesse alla mia camera. Vivevo nel castello da appena diciotto giorni, e non ero ancora sicura della disposizione interna dei locali. La forma basilare del castello stesso mi sfuggiva, non avendolo mai visto dall'esterno. Il carro prigione che mi aveva trasportata fin lì era un cassone quadrato con qualche foro per l'aria, e io mi ero rifiutata di sbirciare fuori come se fossi un animale in gabbia. Quando avevo raggiunto il castello, avevo chiuso gli occhi nel tentativo di tener fuori l'angoscia di essere incatenata e trascinata brancolante nella segreta. Immagino che avrei potuto concentrarmi su potenziali vie di fuga, ma avevo accettato la mia punizione quando avevo ucciso Reyad. Per quanto detestassi l'idea di chiedere alle guardie indicazioni per la mia camera, non avevo scelta. Senza una parola, mi guidarono attraverso il castello. Uno camminava davanti, l'altro seguiva. Solo dopo che l'uomo davanti ebbe ispezionato la stanza mi fu permesso di entrare. Le mie uniformi erano appese nell'armadio. Ma invece di essere nascosto in un cassetto, il mio quaderno stava aperto sul piano dello scrittoio. Qualcuno aveva letto i miei appunti sui veleni e le altre

informazioni. Il senso di nausea che mi tormentava le viscere venne sostituito da una sensazione fredda, dura. Il topo era morto, riflettendo alla perfezione il mio umore aspro. Sospettai che fosse stato Valek: era abbastanza sfrontato da aver sfogliato i miei documenti personali. Probabilmente aveva perfino riflettuto sul fatto che era suo dovere assicurarsi che non stessi complottando qualcosa. Dopotutto, ero solo l'assaggiatore ufficiale, e non avevo diritto ad alcuna riservatezza. Afferrando il diario e l'uniforme, lasciai la stanza e mi diressi ai bagni. Le guardie attesero fuori mentre restavo immersa nell'acqua. Mi presi il mio tempo. Valek e il suo esame potevano aspettare; non avevo intenzione di eseguire i suoi ordini come una sorta di stupido fuco. Essere inseguita dalle guardie di Brazell, trovare veleno praticamente in ogni pasto, ed essere oggetto di scommesse come un dannato cavallo da corsa non mi faceva andare in collera tanto quanto lo ero con Valek per aver letto il mio diario. Arrivando all'ufficio di Valek, prevenni qualunque osservazione potesse fare domandando: «Dov'è il tuo test?».

acuta

Il divertimento sfiorò il viso di Valek. Si alzò da dietro la scrivania. Aprendo il braccio con gesto teatrale, indicò due infilate di cibi e bevande sul tavolo da conferenza. «Soltanto uno non è avvelenato. Trovalo. Poi mangia o bevi la tua scelta.» Assaggiai ogni portata. Annusai. Gargarizzai. Mi tenni il naso. Presi bocconcini. Sputai. Parte del cibo si era raffreddata. Perlopiù i piatti erano insipidi, rendendo il veleno facile da individuare, mentre le bevande alla frutta mascheravano il veleno. Finendo con l'ultima vivanda, mi voltai verso Valek. «Razza di bastardo. Sono tutti avvelenati.» Che scherzo perverso; avrei dovuto sospettarlo che avrebbe preparato un trabocchetto del genere. «Ne sei sicura?» «Certo. Non toccherei niente su quel tavolo.» Lo sguardo di Valek era di pietra quando avanzò verso di me. «Mi dispiace, Yelena. Hai fallito.»

Il cuore mi si inabissò nello stomaco. Il topo morto resuscitò e cominciò a perforarmi le viscere a morsi. Scrutai il tavolo. Che cosa mi era sfuggito? Niente. Avevo ragione. Sfidai Valek a provare che avevo torto. Senza esitazione lui sollevò una coppa. «Questo è pulito.» «Allora bevilo.» Ricordavo quella bevanda. Era addizionata con un veleno amaro. La mano di Valek ondeggiò un tantino. Bevve. Mi morsi il labbro. Forse avevo torto. Forse era la tazza successiva. Valek resse il mio sguardo rigirandosi il liquido attorno alla lingua. Sputò. Avrei voluto saltare, gridare, ballargli attorno in cerchio. Invece dissi: «Veleno di Moranera». «Sì» rispose Valek. Alternativamente esaminava la coppa che aveva in mano e fissava assente le file di cibi freddi. «Ho passato l'esame?» Lui annuì, ancora distratto. Poi si diresse allo scrittoio, e con delicatezza vi posò la coppa. Scuotendo il capo, raccolse alcune carte solo per posarle di nuovo senza leggerle. «Avrei dovuto immaginarlo che avresti cercato di imbrogliarmi.» Il mio tono accalorato attirò il suo sguardo. Allora desiderai essere rimasta zitta. «Sei tutta una furia. E non è a causa dell'esame. Spiegati.» «Spiegare? Perché io devo spiegare? Forse tu dovresti spiegare a me perché hai letto il mio diario.» Ecco, l'avevo detto. «Diario?» Valek mi fissò perplesso. «Non ho letto un bel niente di tuo. Ma se anche l'avessi fatto, sarebbe stato nei miei diritti.» «Perché?» domandai. Sul viso di Valek comparve un'espressione incredula. Aprì e richiuse la bocca varie volte prima di riuscire a esprimere i propri pensieri. «Yelena, sei rea confessa di omicidio. Sei stata sorpresa a cavalcioni del corpo di Reyad con un coltello insanguinato in mano. Ho studiato il tuo fascicolo in cerca di una motivazione. Non ne ho trovata nessuna. Solo un accenno al fatto che rifiutavi di rispondere

alle domande.» Valek avanzò, facendosi più vicino. Abbassò la voce. «Dal momento che non so che cosa ti spinga a uccidere, non posso predire se lo farai di nuovo o che cosa potrebbe accendere la miccia. Sono legato al Codice di Comportamento, così ho dovuto offrirti l'opportunità di diventare il nuovo assaggiatore.» Tirò un profondo respiro e continuò: «Sarai molto vicina al Comandante, quotidianamente. Fino a quando non avrò la certezza di potermi fidare di te, ti terrò d'occhio». La mia rabbia svanì. Perché avrei dovuto aspettarmi che Valek si fidasse di me quando io stessa non mi fidavo di lui? Ritrovai la compostezza. «Come posso guadagnarmi la tua fiducia?» «Dimmi perché hai ucciso Reyad.» «Non sei pronto per credermi.» Valek deviò lo sguardo verso il tavolo da conferenza. Mi coprii la bocca con la mano. Perché avevo usato la parola pronto? Pronto implicava che lui mi credesse in una certa misura. Pura illusione da parte mia. «Hai ragione» rispose. Sembrò ci trovassimo a un punto di stallo. «Ho passato l'esame. Voglio il mio antidoto.» Spinto all'azione, Valek tirò fuori una dose e me la porse. «E adesso?» domandai. «A pranzo! Siamo in ritardo.» Mi spinse fuori dalla porta. Inghiottii il liquido bianco mentre ci muovevamo. Via via che ci avvicinavamo alla sala del trono, il suono di molte voci che parlavano tutte assieme echeggiava nei corridoi. Due dei consiglieri del Comandante stavano discutendo. Ufficiali e soldati si accalcavano dietro i consiglieri. Il Comandante Ambrose stava appoggiato a una scrivania lì vicino, ascoltando con attenzione. Il gruppo dibatteva sul modo migliore di localizzare e riprendere un fuggitivo. Quelli sulla destra insistevano sul fatto che si dovesse

usare un grosso distaccamento di soldati e di cani da pista, mentre gli altri, sulla sinistra, proclamavano che pochi soldati svegli sarebbero bastati. Forza bruta contro intelligenza. Nello scambio, benché animato, non c'era rabbia. Le guardie stanziate in giro per la stanza rimanevano rilassate. Deducendo che quel tipo di dibattito fosse usuale, mi chiesi se il fuggitivo fosse una persona reale o solo parte di un'ipotetica esercitazione. Valek si avvicinò al Comandante, lo rimasi in piedi dietro di loro. Il dibattito mi faceva fremere perché non potevo non immaginarmi come la povera anima che veniva inseguita. Mi raffigurai mentre correvo tra i boschi, senza fiato, sforzandomi di udire i rumori dell'inseguimento, non essendo in grado di confondermi tra gli abitanti di una città perché una faccia nuova avrebbe allertato i soldati di pattuglia. Soldati annoiati il cui unico impegno era osservare, e che conoscevano tutti gli abitanti della cittadina. Ogni cittadino del Territorio di Ixia aveva un lavoro specifico. Dopo il colpo di stato, a ciascuno era stata assegnata un'occupazione. Era permesso spostarsi in una diversa città o Distretto Militare, ma erano richieste precise formalità. Una richiesta di trasferimento compilata doveva essere approvata dal supervisore, e occorreva la prova che al nuovo indirizzo lo attendeva un lavoro. Senza gli idonei documenti, un civile sorpreso nel luogo sbagliato veniva arrestato. Visitare altri distretti era accettabile, ma soltanto nella misura in cui si ottenevano le idonee documentazioni e le si esibivano ai soldati all'arrivo. Mentre lavoravo in isolamento con Brazell e Reyad avevo pensato ossessivamente alla fuga. Sognare la libertà era stato meglio che indugiare sulla mia vita da cavia da laboratorio. Senza famiglia né amici fuori dal maniero a nascondermi, tuttavia, le terre meridionali erano la scelta migliore per me, supponendo di poter superare il ben sorvegliato confine. Avevo creato elaborate fantasie su come me la sarei svignata a Sitia, dove avrei trovato una famiglia adottiva e mi sarei innamorata. Sdolcinata spazzatura sentimentale, ma era il mio unico elisir. Ogni giorno, quando iniziavano gli esperimenti, la mia mente si

concentrava su Sitia, trovando vivaci colori, gesti amorevoli, calore. Cullando quelle immagini nella mia mente, sopportavo gli esperimenti di Reyad. Ma se anche mi fosse stata data l'opportunità di fuggire, non so se l'avrei colta. Benché non rammentassi niente dei miei genitori naturali, avevo una famiglia che viveva dentro il maniero: gli altri bambini abbandonati che vi erano stati accolti. Le mie sorelle. I miei fratelli. I miei bambini. Imparavo con loro. Giocavo con loro, e mi prendevo cura di loro. Come potevo abbandonarli? Pensare a May o Carra che prendevano il mio posto era troppo doloroso. Mi morsi un dito fino a sentire il sapore del sangue, e riportai a forza i miei pensieri al presente. Ero sfuggita a Brazell. Avrebbe lasciato il castello entro due settimane e sarebbe tornato a casa, probabilmente alla prossima serie di esperimenti con un diverso topo da laboratorio. Il cuore mi si strinse per lei, chiunque fosse. Brazell era brutale. La ragazza aveva davanti un brutto periodo. Ma almeno io l'avevo salvata da Reyad. Scostandomi la mano dalla bocca, esaminai il segno del morso. Non era troppo profondo, non avrebbe lasciato cicatrice. Seguii la rete di cicatrici semicircolari che mi coprivano le dita e le nocche. Quando alzai lo sguardo, sorpresi Valek che mi fissava le mani. Le allacciai dietro la schiena. Il Comandante alzò la mano, e il silenzio calò in un istante. «Eccellenti argomentazioni da ambo le parti. Metteremo alla prova le vostre teorie. Due squadre.» Indicando i due principali sostenitori delle opposte tesi, il Comandante sentenziò: «Voi sarete i Capitani. Assemblate le vostre squadre e organizzate un piano d'assalto. Reclutate chi vi serve. Valek fornirà un fuggitivo scegliendolo tra i suoi uomini. Avete due settimane per prepararvi». Il livello di rumore salì mentre il Comandante si dirigeva verso il proprio ufficio con Valek e me dietro. Valek chiuse la porta dell'ufficio, attutendo il frastuono. «La fuga di Marrok a Sitia vi disturba ancora?» chiese. Il Comandante si accigliò. «Sì. Lavoro sciatto, quell'inseguimento. Marrok doveva sapere che tu eri nel DM-8. C'è davvero bisogno che

tu addestri un paio di tuoi accoliti.» Valek lo fissò con simulato, burlesco orrore. «Ma allora non sarei più indispensabile.» Un fuggevole sorriso addolcì il viso del Comandante, prima che mi individuasse a ballonzolare in un angolo. «Ebbene, Valek, avevi ragione su questa qui. È sopravvissuta al tuo test.» Poi, rivolto a me, ordinò: «Vieni qui». I miei piedi obbedirono malgrado l'isteria del mio cuore. «Come mio assaggiatore ufficiale, devi presentarti a me con la colazione. Ti darò il mio itinerario giornaliero e mi aspetterò che tu sia presente a ogni pasto. Non accetterò ritardi. Intesi?» «Sì, Signore.» Lanciò un'occhiata a Valek. «Ha l'aria fragile. Sei sicuro che sia abbastanza forte?» «Sì, Signore.» Il Comandante non pareva convinto. I suoi occhi dorati scivolavano da me a Valek mentre ci osservava. Sperai con disperazione che non stesse cercando una scusa per licenziarmi. «D'accordo. Dal momento che ho saltato il pranzo, Valek, ti unirai a me per una cena anticipata. Yelena, tu comincerai come mio assaggiatore domani mattina.» «Sì, Signore» rispondemmo all'unisono Valek e io. Tornammo all'ufficio di Valek per recuperare le mie uniformi di ricambio e il diario, poi lui mi scortò ai suoi alloggi, situati nel settore centrale del castello. Mentre percorrevamo i corridoi principali, notai che le zone chiare di pietra sulle pareti superavano le aree più scure: doveva esserne stata staccata una corposa collezione di dipinti. Oltrepassammo anche svariate stanze ampie e prive di colori che erano state riassegnate o come uffici o come alloggi per i soldati. Mi venne da pensare che lo stile funzionale e i modi rigidi del Comandante avevano derubato il castello della sua anima. Tutto quello che restava era un morto edificio di pietra convertito a scopi puramente utilitaristici.

Ero troppo piccola per ricordare come fosse la vita prima del colpo di stato, ma nell'orfanotrofio di Brazell mi era stato insegnato che la monarchia era corrotta e i suoi cittadini infelici. Il colpo di stato era stato soltanto quello; chiamarlo guerra sarebbe stato inesatto. La gran parte dei soldati del Re aveva dato la propria fedeltà al Comandante, probabilmente perché erano stati disgustati da promozioni basate su imbrogli o legami di sangue anziché su duro lavoro e capacità. Gli ordini di uccidere persone per infrazioni minime poiché un membro della nobiltà era in collera causavano malumori tra gli uomini. Anche donne erano state reclutate alla causa del Comandante, e si erano rivelate eccellenti spie. Valek aveva assassinato i sostenitori chiave del Re, così che quando questi aveva cercato di raccogliere un esercito per contrastare l'armata del Comandante, non aveva trovato difensori. Il Comandante si era così impadronito del castello senza colpo ferire, e poco sangue era stato versato. Gran parte della nobiltà era stata uccisa, e solo qualcuno era fuggito a Sitia. Valek e io giungemmo a due massicci battenti di legno, sorvegliati da guardie. Valek parlò con loro, informandole che mi doveva essere permesso di entrare perché richiesta. Entrammo in un breve corridoio con due porte alle opposte estremità. Valek aprì con la chiave quella sulla destra spiegandomi che l'altra conduceva all'appartamento del Comandante. Gli alloggi di Valek si rivelarono un'ampia successione di locali. Arrivando dal corridoio semibuio, fui colpita dalla luminosità dell'area principale di soggiorno, a forma di L. Finestre sottili come striature di una tigre permettevano alla luce solare di riversarsi dentro. Pile di libri occupavano ogni angolo e il piano di ogni tavolo. Rocce grigie delle dimensioni di una mano, striate di bianco, e cristalli multicolori erano sparsi dappertutto. Nere statuette di animali e di fiori scintillavano d'argento. Le statue punteggiavano la stanza. Delicate e dai dettagli minuziosi, erano analoghe alle pantere sulla scrivania dell'ufficio di Valek, ed erano l'unica decorazione della sala. Una considerevole collezione di armi pendeva dalle pareti.

Alcune erano vecchie, antichità coperte di polvere che non erano state usate per anni, mentre altre lampeggiavano. Un lungo, sottile coltello aveva ancora sangue fresco sulla lama. Il liquido cremisi scintillò al sole, facendomi serpeggiare un brivido per tutto il corpo. Mi chiesi chi vi fosse stato all'estremità sbagliata di quella lama. Alla sinistra dell'ingresso c'era una rampa di scale, e tre porte si allineavano sulla parete destra del soggiorno. Valek puntò alla prima sulla destra. «Quella stanza è tua finché Brazell non lascerà il castello. Ti suggerisco di riposare un po'.» Raccolse tre libri da un tavolo da parete. «Tornerò più tardi. Ti porterò la cena.» Valek uscì, ma tornò indietro prima che l'uscio si chiudesse. «Chiudi a chiave la porta dietro di me. Dovresti essere al sicuro qui dentro.»

Al sicuro, pensai girando il pomolo, era l'ultima cosa che potessi

mai sentirmi lì. Chiunque sapesse maneggiare una serratura poteva introdursi in quella stanza, abbrancare un'arma e assalirmi. Esaminai le spade appese alla parete e sospirai con un certo sollievo. Le armi erano fissate saldamente. Tirai forte una mazza, tanto per essere sicura. Il disordine che circondava la mia porta era più fitto che attorno alle altre due, e scoprii perché quando entrai. Nette aree a forma di cassa erano delineate dalla polvere spessa che ancora ricopriva pavimento, letto, comò e scrittoio. La stanza era stata usata come ripostiglio. Invece di pulirla, Margg doveva aver semplicemente portato fuori le casse e considerato terminato il suo compito. Il lavoro minimale di Margg era un indizio non così sottile dell'enorme antipatia che nutriva nei miei confronti. Forse sarebbe stato meglio evitarla per un po'. Dentro la stanza la biancheria del letto era sudicia. Un odore di muffa impregnava tutto. Starnutii. C'era una finestrella, e dopo una lotta con le imposte riuscii ad aprirla. Il mobilio era di costoso ebano. Complicati intagli di fogliame e tralci si attorcigliavano lungo le gambe delle sedie e i cassetti. Quando spazzai via la polvere dal piano del mobile, rivelai una delicata scena di giardino con fiori e farfalle.

Dopo aver strappato via dal letto le lenzuola sudice ed essermi sdraiata sul materasso, la mia impressione di Margg come di un'innocua bisbetica invidiosa evaporò. In quel momento vidi che nella polvere sullo scrittoio era stato scritto un messaggio. Lessi: «Assassina. La forca attende».

Capitolo 9 Rotolai giù dal letto. Il messaggio scomparve alla vista, ma non per questo mi sentii meglio. Minuscoli dardi di paura mi pulsavano nel cuore mentre la mia mente saltava da un pauroso scenario all'altro. Margg mi stava avvertendo o minacciando? Progettava di riguadagnare il denaro perduto scommettendo contro di me consegnandomi dietro ricompensa agli scagnozzi di Brazell? Ma perché avvertirmi? Mi tranquillizzai. Ancora una volta avevo reagito in modo eccessivo. Da ciò che avevo visto e sentito di Margg, il suo messaggio probabilmente era per la soddisfazione di vedermi trasalire. Un gesto di dispetto perché era arrabbiata di dover fare del lavoro aggiuntivo per me. Decisi che sarebbe stato meglio non darle alcuna indicazione di aver visto o di essere rimasta turbata dal suo messaggio infantile. Ripensandoci, avrei scommesso che era stata lei anche a leggere il mio diario, lasciandolo spalancato sullo scrittoio giusto per stuzzicarmi. Valek mi aveva suggerito di riposare, ma avevo i nervi a fior di pelle. Andai nel soggiorno. L'appunto di Margg mi aveva ricordato di seguire l'istinto e di non fidarmi di anima viva. Allora le mie preoccupazioni si sarebbero ridotte ad assaggiare in cerca di veleni e a evitare Brazell. Se solo fosse stato così semplice, o fossi stata io così forte. Ingenuità e cieca fiducia potevano essermi state strappate da Brazell e Reyad, eppure giù nel profondo, negli angoli remoti del mio cuore, mi aggrappavo ancora alla speranza di poter trovare un vero amico. Perfino un ratto ha bisogno di altri ratti. Avrei potuto simpatizzare con loro: anch'io, dopotutto, scorrazzavo in giro guardandomi dietro le spalle e annusando in cerca di trappole avvelenate. In quel momento mi arrabattavo solo per restare viva fino al giorno dopo, ma un giorno avrei cercato una via d'uscita. Sapere

significava potere, così decisi di stare seduta composta, ascoltare e imparare tutto ciò che potevo. Iniziai con il soggiorno di Valek. Sollevando un pezzo di pietra da uno dei tavoli, cominciai a farmi strada attraverso il disordine dei suoi appartamenti, spiando solo in superficie poiché sospettavo che avesse messo delle trappole nei cassetti. Trovai un paio di testi sui veleni che mi interessarono, ma il loro contenuto aveva a che fare in massima parte con complotti e omicidi. Alcuni dei libri erano rilegati in pelle consunta ed erano scritti in una lingua arcaica che non sapevo decifrare. O Valek era un collezionista, oppure aveva rubato i libri dalla biblioteca del defunto Re. Ero all'inizio delle scale quando notai un diagramma della pianta del castello. Era stato infilato nell'angolo della cornice di un dipinto sulla parete destra della scala. Finalmente qualcosa che potevo utilizzare. Mentre esaminavo la mappa, sentii come se una maschera traslucida mi fosse stata tolta dal viso, permettendomi di vedere il castello con chiarezza. Rimandando a un altro momento l'esplorazione dei locali al piano di sopra, recuperai il mio quaderno. La piantina era spiegata in bella vista. Valek non si sarebbe seccato che l'avessi vista. Probabilmente sarebbe stato contento che non avessi bisogno di chiedere indicazioni ogni volta che dovevo andare in qualche posto nuovo. Liberai spazio sul divano, mi accoccolai in posizione comoda e cominciai a copiare la mappa. Mi svegliai di soprassalto. Il quaderno cadde rumorosamente sul pavimento. Battendo le palpebre alla luce della candela, scrutai la stanza. Avevo sognato topi. Si riversavano dalle pareti, sgorgavano dal pavimento e mi sciamavano contro. Un mare di feroci roditori che serravano abiti, pelle e capelli tra i loro dentini aguzzi. Un brivido mi scosse. Sollevai i piedi dal pavimento mentre esaminavo la camera. Niente topi, a meno che non includessi Valek. Si aggirava per la stanza, accendendo le lanterne. Mentre lo osservavo terminare, immaginai Valek come un

compagno topo. No. Decisamente no. Un gatto. E non un comune gatto domestico, bensì un gatto delle nevi. Il predatore più efficiente del Territorio di Ixia. Bianco come il latte, il gatto delle nevi era delle dimensioni di due cani massicci fusi insieme. Rapido, agile e mortale, uccideva prima ancora che la sua preda sospettasse il pericolo. Risiedevano soprattutto nel nord, dove la neve non si scioglie mai, ma alcuni si erano avventurati a sud quando il cibo scarseggiava. Nessuno nella storia di Ixia aveva mai ucciso un gatto delle nevi. Il predatore o fiutava, o udiva, o vedeva il cacciatore prima che potesse arrivargli abbastanza vicino da colpire con un'arma stretta in mano. Scattavano come lampi all'udire il ronzio di una corda d'arco. Il massimo che la gente del nord poteva fare era nutrirli, sperando di trattenerli sulla banchisa e lontano dalle aree abitate. Dopo aver acceso l'ultima lanterna, Valek si voltò verso di me. «Qualcosa non va nella tua camera?» Raccolse un vassoio e me lo tese. «No. Non riuscivo a dormire.» Valek sbuffò divertito. «Vedo.» Accennò al vassoio. «Spiacente che la tua cena sia fredda. Sono stato trattenuto.» Cercando automaticamente veleni, presi un paio di piccoli assaggi con il cucchiaio. Lanciai un'occhiata a Valek per vedere se fosse offeso dal gesto. Non lo era. Il suo viso ancora conservava un'espressione divertita. Tra un boccone e l'altro, gli chiesi se qualcun altro avesse la chiave dei suoi alloggi. «Solo il Comandante e Margg. Questo ti aiuterà a dormire meglio?» Ignorando la domanda, chiesi: «Margg è la tua governante personale?». «Mia e del Comandante. Volevamo qualcuno di cui poterci fidare. Qualcuno che fosse immediatamente riconoscibile. Stava con noi già prima del colpo di stato, per cui la sua lealtà è fuori discussione.» Valek sedette allo scrittoio, ma voltò la sedia verso di me. «Ricordi quando stavi nella sala tattica?» Confusa dal cambio di argomento, annuii.

«C'erano tre Generali nella stanza. Brazell lo conoscevi: sai identificare gli altri due?» «Tesso e Hazal» risposi, fiera di essermene ricordata. «Puoi descriverli? Colore dei capelli? Occhi?» Esitai, ripensandoci. Indossavano uniformi da Generali, e stavano pranzando. Scossi la testa. «Credo che il Generale Tesso avesse la barba.» «Li hai identificati dalle loro uniformi e non hai guardato le loro facce. Esatto?» «Sì.» «È quel che pensavo. Questo è il problema con l'obbligo dell'uniforme. Rende la gente pigra. Una guardia vedrà un'uniforme da governante e si limiterà a supporre che quella persona appartenga al castello. È troppo facile per chiunque intrufolarsi, ecco perché tengo il Comandante circondato in ogni momento da gente fedele. E perché Margg è l'unica governante a cui sia permesso fare le pulizie negli appartamenti e negli uffici miei e del Comandante.» Il tono di Valek mi fece sentire come se fossi stata trasportata in un'aula scolastica. «Perché non congedare tutti i servitori del castello e usare i tuoi uomini?» «I soldati compongono la maggioranza della nostra armata. I civili che si sono uniti a noi prima del colpo di stato sono stati nominati consiglieri oppure hanno ricevuto altre posizioni di prestigio. Alcuni dei servitori del Re erano già sul nostro libro paga, e gli altri li abbiamo pagati il doppio di quanto guadagnavano lavorando per il Re. Domestici ben pagati sono domestici contenti.» «L'intera servitù del castello viene pagata?» «Sì.» «Incluso l'assaggiatore?» «No.» «Perché no?» Non avevo neppure pensato di ricevere uno stipendio finché Valek non ne aveva parlato. «L'assaggiatore è pagato in anticipo. Quanto vale la tua vita?»

Capitolo 10 Non aspettandosi una risposta, Valek ruotò di nuovo verso il suo scrittoio. Ebbene, non aveva tutti i torti. Finii il cibo freddo. Quando spinsi da parte il vassoio per tornare in camera mia, Valek si girò verso di me. «Che cosa compreresti con quel denaro?» Mi uscì rapidamente di bocca un elenco, sorprendendo perfino me. «Una spazzola, camicie da notte, e spenderei qualcosa alla festa.» Volevo delle camicie da notte perché ero stufa di dormire con l'uniforme. Non osavo dormire con la sola biancheria per paura di dover scappare per salvarmi la vita nel bel mezzo della notte. E l'annuale Festa del Fuoco si avvicinava. Era una specie di anniversario per me. Era stato durante la precedente Festa del Fuoco che avevo ucciso Reyad. Benché il Comandante avesse messo fuori legge ogni forma di religione pubblica, incoraggiava le festività come un modo per sollevare il morale della popolazione. Erano concesse solo due feste l'anno. Mi trovavo nella segreta durante la precedente Festa del Ghiaccio, così mi ero persa gli spettacoli al coperto dove artisti e artigiani esibivano il proprio lavoro. La Festa del Ghiaccio si teneva sempre durante la stagione fredda quando non c’era niente da fare se non rannicchiarsi accanto al fuoco e fare lavoretti. Era un evento locale, con ciascuna cittadina che ospitava la propria festa. La Festa del Fuoco, invece, era un enorme carnevale che viaggiava di città in città durante la stagione torrida. Le celebrazioni cominciavano nell'estremo nord, dove il tempo caldo durava poche, brevi settimane, e poi si spostava verso sud. Tradizionalmente, ulteriori spettacoli e concorsi erano messi in calendario per i festeggiamenti di una settimana al castello, nel cuore della stagione torrida, e io speravo che mi sarebbe stato permesso di assistervi.

Valek mi aveva informato di volermi insegnare tecniche aggiuntive di assaggi durante i pomeriggi, ma il resto del tempo tra un pasto e l'altro era stato fino a quel momento tutto mio. Avevo sempre adorato partecipare alla Festa del Fuoco. Brazell aveva dato ai bambini del suo orfanotrofio una piccola diaria, così potevamo andarci tutti gli anni. Era sempre stato l'evento più atteso al maniero di Brazell. Ci esercitavamo tutto l'anno per qualificarci per i vari concorsi, e risparmiavamo ogni centesimo possibile per la tassa d'iscrizione. La voce pratica di Valek interruppe i miei pensieri. «Puoi avere della biancheria da notte dalla cucitrice, Dilana. Avrebbe dovuto dartela insieme alle uniformi. Quanto al resto, dovrai cavartela con ciò che riuscirai a trovare.» Le parole di Valek mi riportarono alla realtà della mia vita; voleva dire che le Feste del Fuoco non erano incluse. Potevo avere l'opportunità di vedere la festa, ma non sarei stata in grado di assaggiare le bistecchine di pollo alle spezie o di gustare il vino. Sospirando, raccolsi il quaderno e andai in camera mia. Una brezza asciutta e calda mi carezzò il viso. Pulii il resto della polvere, ma cancellai solo metà del messaggio di Margg. Aveva avuto ragione, in un certo senso: la forca mi attendeva. Una vita normale non era nel mio futuro. Il suo messaggio mi sarebbe servito come ammonimento a non mettermi troppo comoda e tranquilla. Avrei trasgredito e sarei stata sostituita come assaggiatore ufficiale, oppure avrei sventato un tentativo di assassinio con la mia morte. Non potevo, tecnicamente, morire con il collo spezzato, tuttavia l'immagine minacciosa di una forca vuota mi avrebbe tormentato sempre. Il mattino seguente mi fermai fuori dal laboratorio di Dilana. La cucitrice sedeva in una piccola chiazza di sole, canticchiando e cucendo. I suoi riccioli dorati scintillavano. Non volendo disturbarla, mi voltai per andarmene. «Yelena?» chiamò. Tornai indietro.

«Caspita, ragazza, vieni dentro. Sei sempre la benvenuta.» Dilana posò il suo lavoro di cucito, e batté la mano sulla sedia accanto a sé. Quando la raggiunsi al sole, esclamò: «Sei sottile come il mio filo più fine. Siedi. Siedi. Lascia che ti dia qualcosa da mangiare». Le mie proteste non le impedirono di portarmi una gran fetta di pane imburrato. «Il mio Rand mi manda una pagnotta fumante di pane al miele ogni mattina.» I suoi occhi marrone chiaro luccicavano di affetto. Sapevo che mi sarebbe stata addosso finché non ne avessi preso un morso. Non volendo ferire i suoi sentimenti, soffocai il desiderio di assaggiare il pane in cerca di veleni. Solo quando ebbi la bocca piena fu soddisfatta. «Come posso aiutarti?» domandò. Tra un boccone e l'altro, le chiesi se potevo avere delle camicie da notte. «Caspita! Come ho potuto dimenticarmene? Povera cara.» Corse in giro per la stanza, mettendo insieme una vera collezione. «Dilana» dissi per fermarla. «Mi servono solo poche cose.» «Perché non sei venuta prima? Margg avrebbe dovuto dirmi qualcosa.» Sembrava sinceramente dispiaciuta. «Margg...» cominciai, poi lasciai perdere. Non ero sicura dei sentimenti di Dilana verso la governante. «Margg è una meschina, vecchia bisbetica, una megera sprezzante e una spaccona fuori taglia» dichiarò Dilana. lo battei le palpebre per la sorpresa. «Prende istantaneamente in antipatia ogni persona nuova, ed è essenzialmente una peste con il resto di noi.» «Ma era gentile con te.» «Mi è stata alle calcagna per settimane appena dopo il mio arrivo. Poi mi sono infilata nel suo guardaroba e le ho stretto tutte le gonne. Le ci sono volute due settimane di scomodità fisica per rendersi conto di cosa stesse accadendo.» Dilana sciamò di nuovo accanto a me, sorridendo. «Margg non sa dare un punto, così ha

dovuto inghiottire il suo orgoglio e chiedere il mio aiuto. Da allora mi ha sempre trattata con rispetto.» La cucitrice mi afferrò la mano tra le sue. «Disgraziatamente tu sei il suo nuovo bersaglio. Ma non permetterle di metterti i piedi in testa. Se Margg è cattiva, ricambiala allo stesso modo. Quando vedrà che non sei una facile preda, perderà interesse.» Mi riusciva difficile credere che quella donna adorabile fosse capace di simili sotterfugi, ma il suo sorriso conteneva un barlume di malizia. Mi drappeggiò sulle braccia una pila di camicie da notte, e aggiunse una fornitura di nastri a colori vivaci. «Per la festa, mia cara» spiegò, rispondendo al mio sguardo interrogativo. «Per mettere in risalto i tuoi bellissimi capelli scuri.» «Hai trovato un fuggitivo per l'esercitazione?» domandò il Comandante non appena Valek arrivò nel suo ufficio per il pranzo. Stavo assaggiando il cibo del Comandante Ambrose quando ancora una volta Valek distrusse la mia nascente sensazione di benessere. Certo, avevo lavorato come assaggiatore ufficiale negli ultimi dieci giorni, tuttavia il mio stomaco aveva infine desistito dalle dolorose contrazioni che mi tormentavano ogniqualvolta mi trovavo vicino al Comandante. «Sì. Conosco la persona ideale per quel compito.» Valek si sistemò nella sedia di fronte al Comandante. «Chi?» «Yelena.» «Cosa?!» Smettendo la finta di pensare ai fatti miei, la mia esclamazione fece eco a quella del Comandante. «Spiega» ordinò Ambrose. Valek sorrise alla sua reazione come se avesse sempre saputo quello che il Comandante avrebbe detto. «La mia gente è addestrata a evitare la cattura. Assegnare uno di loro non sarebbe onesto verso il gruppo di ricerca. Pertanto ci serve una persona non pratica dell'arte dell'evasione, che tuttavia sia abbastanza intelligente da introdurre una certa sfida nell'esercitazione.»

Valek si alzò in piedi per continuare la sua dissertazione. «Il fuggitivo ha bisogno di un incentivo per una buona caccia, però deve tornare al castello. Non posso usare un vero prigioniero, e nessuno dei domestici ha un minimo d'immaginazione. Ho preso brevemente in considerazione il medico, ma ci serve qui in caso di emergenze. Stavo per assegnare uno dei vostri soldati, quando mi è venuta in mente Yelena.» Valek mi indicò. «È intelligente.» Contò sulle dita per enfatizzare le proprie parole. «Avrà un incentivo per interpretare bene la parte, e un incentivo per tornare.» «Incentivi?» Il viso del Comandante si aggrondò. «L'assaggiatore non riceve stipendio, ma per questo lavoro extra, e altri come questo in futuro, può essere pagata. Più a lungo eviterà la cattura, più alto sarà il pagamento. Quanto all'incentivo per tornare, quello dovrebbe essere ovvio.» Lo era, per me. Era l'antidoto quotidiano alla Polvere di Farfalla che mi teneva in vita. Se non fossi tornata al castello entro il mattino seguente, avrebbero dovuto cercare un cadavere. «E se io rifiutassi?» chiesi a Valek. «Recluterò uno dei soldati. Ma resterò deluso. Ho pensato che avresti apprezzato la sfida.» «Forse io non...» «Basta.» La voce del Comandante era brusca. «È assurdo, Valek.» «Proprio questo è il punto. Un soldato farebbe mosse prevedibili. Lei invece è una sconosciuta.» «Tu potresti prevenire il nostro fuggitivo, ma le persone che ho assegnato alla nostra esercitazione non sono così brillanti. Spero di trovare qualcuno che possa essere addestrato come tuo assistente. Capisco che cosa stai aspettando, però non credo che accadrà tanto presto. Ci serve qualcuno adesso.» Il Comandante sospirò. Era il massimo dell'emozione di cui avesse mai dato prova davanti a me. «Valek, perché eludi costantemente i miei ordini di istruire un assistente?» «Perché fino ad ora non mi sono trovato d'accordo con nessuna

delle vostre scelte. Quando comparirà il candidato adatto, allora saranno pienamente dispiegati tutti gli sforzi per addestrarlo.» Il Comandante lanciò un'occhiata al vassoio tra le mie mani. Prendendo il cibo, mi ordinò di trovargli del tè. Un trucco miseramente dissimulato per liberarsi di me mentre loro discutevano. Fui più che felice di eseguire. Lungo il tragitto verso la cucina, meditai sulla possibilità di interpretare il fuggitivo per Valek. La mia prima reazione era stata negativa: non avevo proprio bisogno di ulteriori problemi. Ma mentre consideravo la sfida di eludere degli inseguitori, combinata con l'occasione di guadagnare un po' di soldi, l'esercitazione cominciò ad apparirmi come un'eccellente opportunità. Ora che ebbi raggiunto la cucina, speravo che Valek l'avesse vinta. Specialmente dal momento che sarei stata fuori dal castello per un giorno, e che ogni tecnica che avessi imparato dall'interpretare il ruolo di fuggitivo si sarebbe potuta rivelare assai utile in futuro. «Qualcosa non va nel pranzo?» domandò Rand, affrettandosi incontro a me, gli angoli della bocca irrigiditi dalla preoccupazione. «No. Ho solo bisogno di un po' di tè bollente.» Il sollievo gli addolcì il viso. Mi chiesi perché fosse così preoccupato che il pranzo fosse stato insoddisfacente. L'immagine di un giovane Rand che si ribellava al Comandante rovinando il cibo quale forma di sabotaggio mi penetrò nella mente. Liquidai il pensiero: Rand non avrebbe servito cibo di scarsa qualità; il suo ego si concentrava sulle creazioni mangerecce. Doveva esserci qualcos'altro tra lui e il Comandante. Incerta se il nostro recente legame sarebbe sopravvissuto al fare domande personali e forse delicate, trattenni la lingua. Conoscevo il cuoco da circa due settimane ormai, ma ancora non mi ero fatta un'idea precisa di lui. Il suo umore copriva tutta la scala cromatica e mutava senza preavviso. Rand amava chiacchierare. Dominava gran parte delle conversazioni e poneva solo poche domande personali. Dubitavo che udisse realmente le mie risposte prima di divagare di nuovo. «Intanto che sei qui» disse Rand estraendo una torta bianca da una

delle rastrelliere che stavano appese al muro come scaffali, dov'era a raffreddare, «puoi provare questa? Fammi sapere che cosa ne pensi.» Me ne tagliò una fetta. Glassati con panna montata, gli strati di torta alla vaniglia erano separati da una mistura di fragole e panna. Cercai di mascherare il fatto che il mio primo morso era destinato a individuare un potenziale veleno. «Buona combinazione di sapori» sentenziai. «Non è perfetta, ma non riesco a inquadrare il problema.» «La panna è un tantino troppo dolce» dissi, prendendone un altro morso. «E la pasta è leggermente asciutta.» «Riproverò. Tornerai stasera?» «Perché?» «Mi serve l'opinione di un esperto. È la mia opera per il concorso di cucina della Festa del Fuoco. Ci andrai?» «Non ne sono sicura.» Quando avevo menzionato la festa. qualche sera prima, Valek non aveva detto che non potevo andarci. «Una manciata di noi delle cucine ci andrà. Puoi venire con noi se vuoi.» «Grazie. Ti farò sapere.» Sulla via del ritorno all'ufficio del Comandante, uno spiacevole pensiero si fece strada nella mia mente. Ero rimasta vicina a Valek perché Brazell si trovava ancora al castello e non era in programma che partisse fin dopo la festa. Facendo io il fuggitivo, che cosa sarebbe accaduto se Brazell l'avesse saputo? E se incidentalmente l'avessi incontrato alla festa? Giungendo alla conclusione di essere al sicuro dentro le mura del castello finché Brazell non fosse partito, decisi di declinare entrambe le offerte, di Valek e di Rand. Ma quando infine consegnai il tè al Comandante, Valek aveva già vinto la sua battaglia. Mi enumerò una serie di incentivi economici prima che potessi dire una parola. La somma per restare in libertà un giorno intero era un bel gruzzolo. «L'esercitazione è in calendario durante la Festa del Fuoco. Un

periodo assai denso per i soldati. Credete che dovremmo rinviarla fino a dopo i festeggiamenti?» domandò Valek al Comandante. «No. La confusione in più aumenterà il livello di difficoltà per gli inseguitori.» «Bene, Yelena, questo ti dà soltanto pochi giorni per prepararti. Abbastanza giusto, dal momento che alcuni prigionieri pianificano una via di fuga, mentre altri vedono un'opportunità e la colgono al volo. Sei interessata alla sfida?» domandò Valek. «Sì.» La parola mi balzò dalle viscere prima che il razionale no nella mia mente potesse farsi strada. «A condizione, però, che Brazell non sia informato della mia partecipazione.» «Avere una camera nei miei alloggi personali non è un'indicazione sufficiente che io sono opportunamente attento al tuo benessere?» La voce di Valek suonò stizzosa. Mi resi conto di averlo insultato. Quando avevo offeso Rand, avevo cercato rapidamente di fare ammenda. Con Valek, cercai di pensare a un altro commento per irritarlo ulteriormente, ma non riuscii a trovarlo così in fretta. «Parlando di Brazell» intervenne il Comandante. «Mi ha fatto un regalo. Un nuovo dessert che ha inventato il suo chef. Ha pensato potesse piacermi.» Il Comandante Ambrose ci mostrò una scatola di legno piena di spessi cubetti marroni impilati uno sopra l'altro come mattonelle. Erano lisci e lucidi, ma gli angoli sembravano tagliati con un coltello poco affilato, perché non erano netti e perdevano minuscoli fiocchi marroni. Valek ne prese uno e lo annusò. «Spero non li abbiate provati.» «Troppo plateale, perfino per Brazell, perché sia avvelenato. Tuttavia, no. Non l'ho fatto.» Valek mi tese il contenitore. «Yelena, togline alcuni pezzi a caso e assaggiali.» Scelsi tra i cubetti e ne selezionai quattro. Erano delle dimensioni dell'unghia del mio pollice e mi stavano tutti e quattro sul palmo della mano. Se non mi fosse stato detto che erano dolciumi, probabilmente avrei immaginato fossero dei pezzi di cera marrone

per candele. La mia unghia lasciò un'impressione sulla superficie, e sentii i polpastrelli lievemente untuosi dopo averli maneggiati. Esitai. Venivano da Brazell, e non ricordavo che il suo cuoco fosse particolarmente estroso. Scacciai la trepidazione con un'alzata di spalle. Non avevo scelta. Pensando alla cera, mi aspettavo di sentir sapore di cera. Addentai il duro cubetto attendendomi che mi si sbriciolasse tra i denti. Dovette essere stata l'espressione della mia faccia a far alzare il Comandante, perché non dissi una parola. Le sensazioni nella mia bocca mi avevano rapito. Anziché sbriciolarsi come mi aspettavo, il dolce si sciolse, ricoprendomi la lingua di una cascata di aromi. Dolce, amaro, sapori di noci e di frutti si susseguivano gli uni agli altri. Proprio quando pensavo di poter dire che era uno solo, li sentivo di nuovo tutti. Quel dolce era diverso da qualsiasi cosa in cui mi fossi mai imbattuta. Prima di rendermene conto, tutti e quattro i cubetti erano spariti. Ne volevo ancora. «Incredibile! Che cos'è?» Valek e il Comandante si scambiarono sguardi perplessi. «Brazell l'ha chiamato Creolo. Perché? C'è dentro del veleno?» rispose Ambrose. «No. No, niente veleni. È solo che...» Mi mancarono le parole adeguate per descriverlo. «Provatelo» fu tutto quel che riuscii a dire. Osservai il viso del Comandante mentre dava un morso a uno dei quadretti. Spalancò gli occhi e inarcò le sopracciglia per la sorpresa. Passò la lingua sulle labbra e sui denti cercando di succhiarne tutto il sapore restante. E ne afferrò subito un altro pezzo. «È dolce. Diverso. Eppure non ci sento nessun gusto incredibile» commentò Valek, pulendosi le scaglie marroni dalle mani. Fu il mio turno di scambiare occhiate con il Comandante Ambrose. Diversamente da Valek, lui aveva il gusto della cucina raffinata. Riconosceva l'eccellenza quando l'assaggiava. «Scommetto che quel piccolo sorcio non durerà un'ora» disse la

voce soffocata di Margg attraverso la porta della cucina. Ero sul punto di entrare, quando l'avevo udita. «lo darò cinquanta a uno a chiunque sia abbastanza stupido da pensare che il sorcio durerà tutto il giorno. E cento a uno all'idiota che crede che non sarà catturata.» Dopo che Margg ebbe dichiarato le probabilità, la stanza eruttò delle grida delle puntate. Ascoltai con crescente orrore. Non era possibile che Margg stesse parlando di me. Perché Valek le avrebbe detto dell'esercitazione? Sarebbe stato sulla bocca di tutto il castello per l'indomani, e Brazell l'avrebbe scoperto. «lo scommetto lo stipendio di un mese che Yelena resterà libera tutta la giornata» rimbombò la voce di Rand. Il resto della brigata di cucina si zittì. Le mie emozioni andavano e venivano come una marea tra orgoglio e tradimento. Stavano scommettendo su di me, e non riuscivo a credere che Rand avesse puntato addirittura lo stipendio di un mese. Aveva più fiducia lui in me di quanta ne avessi io. Tendevo a essere d'accordo con Margg, su questo. La risata della governante echeggiò sulle pareti piastrellate. «Sei rimasto in cucina troppo a lungo, Rand. Il calore deve averti ridotto il cervello in pappa. Credo che il piccolo sorcio stia cominciando a piacerti. Ti consiglio di mettere sotto chiave i tuoi coltelli quando lei è qui, o potrebbe...» «D'accordo, basta così» rispose il cuoco. «La cena è finita. Fuori tutti dalla mia cucina.» Mi spostai in fondo al corridoio, rimanendo nascosta. Poiché avevo promesso a Rand che avrei assaggiato la sua torta, sgattaiolai di nuovo in cucina dopo che tutti se ne furono andati. Quando entrai era seduto a uno dei tavoli a tritare nocciole. C'era una fetta della sua torta di fragole e panna sul tavolo. Spinse il piatto verso di me. Lo assaggiai. «Molto meglio. La pasta è incredibilmente morbida. Che cosa c'è di diverso?» domandai. «Ho aggiunto della fecola all'impasto.»

Rand era insolitamente silenzioso. Non fece menzione delle scommesse. Né io avrei chiesto. Terminò di tritare le nocciole. Dopo aver pulito, disse: «Farò meglio a dormire un po'. Andiamo alla festa, domani sera. Vieni?». «Chi ci sarà?» tergiversai. Detestavo perdermi la prima notte della festa. Detestavo permettere a Brazell di rovinarmi l'unico svago che avrei avuto. Tuttavia, se fosse venuta anche Margg, mi sarei attenuta alla mia decisione originaria. «Porter, Sammy, Liza e forse Dilana.» Gli occhi stanchi di Rand si illuminarono, sia pure lievissimamente, quando pronunciò il nome della cucitrice. «Perché?» «Quando partite?» Di nuovo il mio cuore era pronto a prendere il sopravvento sulla scelta più logica e sicura. «Dopo cena. È l'unico orario in cui siamo tutti liberi. Il Comandante ordina sempre un pasto leggero per la prima sera di festa, così la brigata di cucina può andarsene presto. Se vuoi venire, semplicemente vieni qui da noi.» Rand si diresse ai suoi alloggi, che erano adiacenti alla cucina, e io tornai alla suite di Valek. L'appartamento buio era vuoto. Aperta la porta, entrai e procedendo a tentoni cercai un acciarino. Mentre accendevo le lanterne, passai davanti alla scrivania di Valek e notai una carta che vi giaceva sopra. Guardandomi attorno per assicurarmi che lui non fosse nascosto tra le ombre, esaminai il foglio. C'erano scritti dei nomi, poi cancellati. Il mio era stato circondato da un circoletto. Sotto c'era il commento che sarei stata il perfetto fuggitivo per l'esercitazione. Era così, probabilmente, che Margg l'aveva saputo, riflettei. Ricordai di averla già vista leggere le carte sulla scrivania di Valek in altre occasioni. Dipendeva da quanto tempo quelle carte si trovavano lì, se lei poteva aver saputo da un pezzo. Quella donna mi avrebbe fatto ammazzare. Se fossi sopravvissuta abbastanza a lungo, avrei dovuto affrontarla. Disgraziatamente, questo avrebbe dovuto aspettare fino a dopo aver recitato la parte del fuggitivo per Valek.

Quanto al mio piano di fuga, cercai nelle pile di libri di Valek. Ricordavo di aver visto dei titoli confacenti, e fui ricompensata dal trovarne due sulle tecniche di inseguimento, e uno sui sistemi migliori per evitare la cattura. Nessuno aveva detto che non potevo fare una piccola ricerca. Prendendo in prestito i libri, raccolsi una lanterna e mi ritirai nella mia stanza. Studiai finché non mi si confuse la vista per la stanchezza. Allora mi infilai una delle nuove camicie da notte, spensi la lanterna e crollai nel letto. Fui svegliata di soprassalto dalla spaventosa consapevolezza che c'era qualcuno in camera mia. Mi strinse una subitanea paura, che mi inzuppò di sudore freddo. Un'ombra nera incombeva su di me. Schizzando fuori dal letto, sbattei contro la parete. Uno, due, tre ansimanti respiri passarono. Non successe nient'altro. L'attacco si era interrotto, ma io rimasi inchiodata dov'ero. I miei occhi si abituarono al buio. Riconobbi il viso del mio assalitore. «Valek?»

Capitolo 11 Il viso di Valek, a poche dita di distanza dal mio, assomigliava a quello di una statua, silenzioso, freddo e privo di qualunque emozione. La mia porta era stata lasciata accostata, e neppure il fievole barbaglio della luce di una lanterna che filtrava dalla fessura sulla soglia riusciva a conferire un po' di calore ai suoi occhi blu. «Valek, che cosa c'è che non va?» Senza preavviso, lui mi lasciò andare. Troppo tardi mi resi conto che mi aveva tenuta sollevata dal pavimento. Atterrai in un fagotto ai suoi piedi. Senza una parola, Valek lasciò la mia stanza, lo mi alzai barcollando, sentendomi goffa e impacciata come se avessi gambe e braccia troppo lunghe, e riuscii a raggiungerlo nel soggiorno. Stava in piedi davanti alla scrivania. «Se è per i libri...» dissi alla sua schiena, ipotizzando che fosse arrabbiato con me perché avevo preso in prestito i suoi manuali senza chiedere. Lui si voltò. «Libri? Pensi che si tratti di Libri?». La sua voce espresse stupore per un breve momento prima di diventare secca e tagliente. «Sono stato uno stupido. Per tutto questo tempo ho ammirato il tuo istinto di sopravvivenza e la tua intelligenza. Ma adesso...» Fece una pausa, poi si guardò attorno come se stesse cercando le parole giuste. «Ho sentito per caso dei domestici che parlavano di te come del fuggitivo» proseguì dopo un poco. «Stavano facendo delle puntate. Come puoi essere stata così stupida, così indiscreta? Ho preso in considerazione l'idea di ucciderti adesso per risparmiarmi il disturbo di cercare il tuo cadavere più tardi.» «lo non l'ho detto ad anima viva.» Permisi alla rabbia di colorare la mia voce. «Come puoi pensare che metterei a repentaglio la mia stessa vita?» «Perché dovrei crederti? L'unica altra persona che ne era al corrente è il Comandante.» «Ebbene, Valek, sei tu il maestro spione. Qualcuno non potrebbe aver origliato la conversazione? Chi altri ha accesso a questa stanza?

Dopotutto, hai lasciato i tuoi appunti in bella vista sulla scrivania.» Prima che potesse balzare a un'altra conclusione sbagliata, lo prevenni. «Erano evidenti. Se a me è bastata appena un'occhiata di sfuggita per notarli, vuol dire che gridavano per farsi guardare da chiunque cercasse informazioni.» «Che cosa stai dicendo? Chi stai accusando?» Un cipiglio si sollevò sopra il naso di Valek quando le sue sopracciglia si unirono corrugandosi. L'allarme gli lampeggiò sul viso prima di venir estinto dal solito contegno di pietra. La sua fuggevole espressione tuttavia mi disse molto. O Valek era così convinto che io avessi spettegolato con i domestici da non aver preso in considerazione altre opzioni, oppure non sapeva accettare la possibilità di una falla nel suo servizio di sicurezza. Per una volta lo avevo spiazzato, sia pure solo per un secondo. Un giorno mi sarebbe piaciuto un sacco vederlo in un misero fagotto ai miei piedi. «Ho i miei sospetti» risposi. «Tuttavia non accuserò nessuno senza prove. Non sarebbe giusto... e poi chi mi crederebbe?» «Nessuno.» Valek afferrò una pietra grigia dalla sua scrivania e la scagliò verso di me. Attonita, mi raggelai mentre la pietra mi oltrepassava sibilando ed esplodeva contro la parete dietro di me. Frammenti grigi mi picchiettarono la spalla e piovvero sul pavimento. «Tranne me.» Si lasciò cadere in una sedia. «O io ho fatto l'abitudine al rischio, oppure tu stai cominciando a capire e noi abbiamo una falla. Un informatore, un pettegolo, una talpa. Chiunque sia, dobbiamo trovarlo.» «O trovarla.» Valek si accigliò. «Dobbiamo andare sul sicuro e trovare un altro fuggitivo? Oppure annullare l'esercitazione? O continuare come progettato e fare di te fuggitivo ed esca, attirando così il nostro spione a scoprirsi?» Fece una smorfia. «O la nostra spiona.» «Non pensi che Brazell mi verrà dietro?» «No. È troppo presto. Non mi aspetto che il generale tenti di ucciderti prima che la sua fabbrica sia in piedi e funzionante. Una

volta ottenuto ciò che vuole, allora la faccenda si farà interessante.» «Oh, benone. Riesco appena a stare sveglia, adesso, con tutta questa noia.» La mia voce grondava sarcasmo. Soltanto Valek avrebbe considerato un attentato alla mia vita un affascinante diversivo. Lui ignorò il mio commento. «È una scelta tua, Yelena.» Solo che la mia scelta non era contenuta in una delle prospettive presentate da Valek. La mia scelta era di essere da qualche parte dove la mia vita non fosse in pericolo. La mia scelta era di essere dove non avessi un assassino come principale, e qualche persona sconosciuta che cercasse di rendere ancor più complicata la mia vita già intensa. La mia scelta era la libertà... Sospirai. La linea d'azione più sicura era senza dubbio la più accattivante, però non avrebbe risolto alcunché. Avevo imparato con le cattive che evitare i problemi non funzionava. Scappare e nascondermi erano i miei istinti distintivi, che tuttavia conducevano soltanto a venire intrappolata in un angolo senza alcun altro ricorso se non colpire alla cieca. I risultati non erano sempre favorevoli. La mancanza di controllo era snervante. Il mio istinto di sopravvivenza sembrava dotato di un intelletto suo proprio. Magia. La parola fluttuò sull'orlo della mia mente. No. Qualcuno l'avrebbe notato ormai. Qualcuno mi avrebbe fatto rapporto. Tuttavia... se quel qualcuno fosse stato Brazell, o Reyad, l'avrebbe fatto davvero? Scossi la testa, bandendone i pensieri. Quello era il passato. Avevo preoccupazioni più immediate. «D'accordo. Dondolerò dall'amo per vedere che pesce viene a nuotare vicino. Ma chi terrà pronta la rete?» «lo.» Esalai un lento respiro. La stretta attorno al mio stomaco si allentò. «Non cambiare i tuoi piani. Mi occuperò io di tutto.» Valek raccolse il foglio con il mio nome sopra, poi immerse l'angolo della pagina in una lanterna, incendiandola. «Dovrei probabilmente seguirti alla Festa del Fuoco domani sera. A meno che la logica non

ti abbia fatto decidere di declinare l'offerta di Rand e restare al castello.» Lasciò cadere ondeggiando sul pavimento il foglio in fiamme. «Come hai...» Mi interruppi, non volevo chiederlo. Era noto a tutti che Valek non si fidava di Rand, dunque non avrebbe dovuto sorprendermi che avesse un informatore nelle cucine. Tuttavia non aveva detto che non potevo andare. Presi una decisione improvvisa. «D'accordo, ci andrò. È un rischio. E allora? Corro un rischio ogni volta che assaggio il tè del Comandante. Almeno questa volta potrei avere l'occasione di divertirmi.» «È dura divertirsi alla festa senza soldi.» Valek schiacciò sotto lo stivale le ceneri morenti del documento. «Ne farò a meno.» «Ti piacerebbe un anticipo sul tuo appannaggio come fuggitivo?» «No. Mi guadagnerò il denaro.» Non volevo che Valek mi facesse favori. Ero impreparata a quelle premure da parte sua. Se Valek si fosse ammorbidito anche solo un poco, probabilmente il nostro strano rapporto da tiro alla fune si sarebbe guastato, e io ero riluttante a permettere che mutasse. Inoltre, indugiare in dolci pensieri sul capo della sicurezza poteva essere estremamente rischioso. Potevo ammirare le sue capacità, ed essere sollevata all'idea di averlo al mio fianco in uno scontro. Ma un ratto, aver simpatia per il gatto? Quello scenario finiva in un unico modo: con un ratto morto. «Fa' come ti pare» disse Valek. «Ma fammi sapere se cambi idea. E non preoccuparti per i libri. Leggi tutti quelli che vuoi.» Dirigendomi di nuovo in camera mia, mi fermai con la mano posata sul pomello della porta. «Grazie.» Parlai alla porta, non volendo guardare Valek. «Per i libri?» «No. Per l'offerta.» I miei occhi seguirono la venatura del legno. «Non c'è di che.»

Il castello era un brusio di attività. Domestici sorridenti si affrettavano per i corridoi, risate echeggiavano dalle pareti di pietra. Era il primo giorno della Festa del Fuoco, e la servitù del castello si affannava a completare le proprie faccende così da poter assistere alla cerimonia di apertura. L'eccitazione era contagiosa, e perfino dopo una notte di sonno che non era stato per nulla ristoratore stavo cominciando a sentirmi di nuovo come una bambina. Decisa a confinare la brutta immagine di qualcuno che mi seguiva furtivo alla festa in un lontano angolo buio della mia mente, mi concessi di assaporare l'attesa degli eventi della serata. Mi sottoposi con fastidio a una noiosa lezione pomeridiana, con Valek, che cercava di insegnarmi come individuare qualcuno che ti pedina. Erano per la maggior parte consigli dettati dal buonsenso e alcune tecniche di cui avevo già letto in uno dei suoi libri, e la mia mente vagava. Non avevo intenzione di guardarmi alle spalle per tutta la notte. Intuendo il mio umore, Valek terminò la lezione prima del solito. Poco dopo, pigliai un'uniforme pulita e i nastri colorati che Dilana mi aveva regalato e mi diressi ai bagni. A quell'ora della giornata, le vasche fumanti erano vuote. Mi sciacquai in fretta, e mi immersi in uno dei bagni. Entrando un dito alla volta nel liquido bollente, lasciai rilassare ogni muscolo, lanciando degli ooh e degli aah finché l'acqua non mi raggiunse il collo. Solo quando la pelle delle dita cominciò a raggrinzirsi uscii dalla vasca. Avevo evitato lo specchio per un mese. Ora, curiosa, esaminai il mio riflesso. Non ero più così scheletrica, tuttavia avevo bisogno di guadagnare un po' di peso ancora. Le guance erano scavate, e le costole e le ossa del bacino mi sporgevano dalla carne. Quelli che erano stati una volta opachi e impettinabili capelli neri, ora splendevano. La cicatrice sul gomito destro era diventata da rosso vivo di un viola scuro. Deglutendo, guardai più lontano nello specchio. La mia anima era tornata? No. Invece vidi il ghignante spettro di Reyad fluttuare dietro di me, ma quando mi voltai se n'era andato. Mi chiesi che cosa volesse da me. Vendetta, con ogni probabilità, ma come affronteresti un fantasma? Decisi di non angustiarmi per questo,

quella sera. Dopo essermi infilata l'uniforme pulita, mi intrecciai nei capelli i nastri dai colori vivaci, lasciando pendere liberamente le estremità oltre le spalle e lungo la schiena. Quando mi presentai al Comandante per assaggiare la sua cena, mi aspettavo un commento acido sulla mia acconciatura poco militaresca. Tutto quello che ricevetti fu un sopracciglio sollevato. Dopo cena corsi in cucina. Rand mi salutò con un enorme sorriso. La brigata stava ancora rassettando, così aiutai a pulire i piani di cottura e i pavimenti per evitare l'imbarazzo di starmene lì tra i piedi a guardare. Rand regnava su una cucina impeccabile, e solo quando la stanza fu immacolata lo staff venne congedato. Mentre il cuoco si cambiava l'uniforme macchiata, osservai un gruppetto di persone che chiacchieravano tra loro mentre lo aspettavano. Li conoscevo tutti di vista e di fama, anche se non avevo mai parlato con nessuno di loro. Occasionalmente uno o due occhieggiavano cauti nella mia direzione. Soffocai un sospiro, cercando di non lasciarmi turbare dal loro nervosismo. Non potevo biasimarli: non era un segreto che avevo ucciso Reyad. Del gruppo, Porter era il più anziano. Era incaricato dei canili del Comandante, un retaggio del regno del Re che era stato giudicato troppo prezioso per essere sostituito. Era accigliato più spesso di quanto non sorridesse, e il cuoco era il suo unico amico. Rand mi aveva raccontato storie su di lui in un tono di voce da Non riesco a credere che qualcuno possa credere a certe sciocchezze, ma sfrenate dicerie che Porter avesse legami mentali con gli animali a lui affidati lo rendevano un reietto. Il modo inquietante in cui i cani comprendevano e rispondevano a Porter sembrava abnorme, quasi magico, e il sospetto di magia era sufficiente a far sì che chiunque trattasse Porter come se avesse una malattia contagiosa. Tuttavia nessuno ne aveva prova, e il suo rapporto con gli animali era utile. Qualcosa che il Comandante valutava molto. Sammy era il garzone di Rand. Un ragazzino smilzo di dodici anni, il cui unico scopo durante la giornata era procurare qualsiasi

cosa servisse al cuoco. Avevo spesso visto Rand urlare contro di lui, per poi abbracciarlo nello spazio di un batter di ciglia. Liza era una donna tranquilla, solo di pochi anni più anziana di me. Era la dispensiera del castello, incaricata dell'inventario della dispensa. Liza si tirava la manica dell'uniforme come se fosse nervosa, ma immaginai che parlare con Porter fosse meglio che stare vicino a me. Quando Rand emerse dalle sue stanze, lasciammo il castello. Sammy corse avanti al gruppo, troppo eccitato per restare a lungo con noi. Porter e Liza continuarono la loro discussione, mentre Rand e io tenevamo dietro. L'aria notturna era rinfrescante. Potevo sentire l'odore pulito di terra bagnata sfumato dell'aroma distante di fumo di legna. Era la mia prima uscita all'esterno in quasi un anno, e prima che oltrepassassimo la cancellata dell'immenso contrafforte di pietra che circondava il complesso del castello, lanciai un'occhiata indietro. Senza luna era troppo buio per distinguere qualunque dettaglio oltre alle poche finestre illuminate e alle mura torreggiaci. Il complesso appariva deserto. Se Valek ci seguiva, non riuscii a individuarlo. Quando varcammo il cancello, ci salutò una brezza mentre l'aria rovente del giorno si rinfrescava. Camminavo con le braccia tenute discoste dal corpo, permettendo all'aria di fluirmi addosso. L'uniforme sventolava nel vento e i capelli mi si gonfiavano. Inspirai, godendomi il fresco profumo della sera. Attraversammo la distesa d'erba che circondava le mura di cinta. Non era stata permessa nessuna costruzione entro un quarto di miglio dal castello. La cittadina, che una volta prendeva nome dalla Regina Jewel, era stata ribattezzata Castletown dopo il colpo di stato. Jewelstown era stata costruìta dal Re nella valle a sud del castello come regalo per sua moglie. Le tende della Festa del Fuoco erano state rizzate nei campi appena a ovest di Castletown. «Verrà anche Dilana?» chiesi a Rand. «È già qui. Questo pomeriggio si è presentata una grossa emergenza: quando i ballerini hanno aperto le casse dei costumi

hanno scoperto che un qualche animale aveva sforacchiato tutti i vestiti, così hanno chiamato Dilana ad aiutare a rammendarli prima della cerimonia di apertura.» Rand rise. «Scommetto che il panico che regnava dopo che hanno aperto le casse doveva essere uno spasso da vedere.» «Uno spasso per te, ma non per la povera donna incaricata dei costumi.» «Vero.» Ora silenzioso, il cuoco zoppicava accanto a me. A causa della nostra andatura più lenta, in breve restammo indietro rispetto agli altri. «Dov'è la tua torta?» Sperai di non aver guastato il suo buonumore. «Sammy ha fatto giù una scappata stamattina. Il concorso di cucina assegna i premi il primo giorno, così possono vendere le opere in gara finché sono fresche. Voglio controllare i risultati. Com'è che tu non sei iscritta a nessun concorso?» Una domanda semplice. Una delle tante che ero riuscita a evitare con un certo successo da quando Rand e io avevamo fatto amicizia. Dapprima sospettavo che l'interesse del cuoco nei miei confronti fosse soltanto un tentativo di acquisire qualche informazione riservata per la prossima tornata di scommesse, ma ora che le puntate erano terminate, mi resi conto che il suo interesse era genuino. «Niente soldi per le tasse d'iscrizione» risposi. La verità, anche se non tutta. Avrei avuto bisogno di fidarmi completamente di Rand prima di raccontargli la mia storia con la Festa del Fuoco. Rand schioccò la lingua con disgusto. «Non ha senso non pagare l'assaggiatore» commentò. «Altrimenti, quale modo migliore per ottenere informazioni sul Comandante che corrompere l'assaggiatore?» Fece una pausa, poi si volse verso di me, il viso grave. «Saresti disposta a vendere informazioni per denaro?»

Capitolo 12 Rabbrividii alla domanda di Rand. Stava chiedendo tanto per chiedere, o si stava offrendo di pagarmi per avere informazioni? Immaginai la reazione di Valek se avesse scoperto che avevo preso una bustarella. Non avere denaro era senz'altro meglio che affrontare la sua ira. «No. Non lo farei» risposi. Rand grugnì. Camminammo per un po' in un silenzio innaturale. Mi chiesi se Oscove, il vecchio assaggiatore, avesse preso soldi in cambio di informazioni. Ciò avrebbe spiegato perché Valek l'avesse avuto in antipatia e perché Rand sospettasse il mastro di veleni di aver ucciso Oscove. «Se non ti dispiace, pagherò io la tassa d'iscrizione per te. Il tuo aiuto è stato inestimabile, e senz'altro ho vinto abbastanza soldi grazie alla tua ricchezza di risorse» propose Rand. «Grazie ma non sono preparata. Sarebbe uno spreco di denaro.» Inoltre, ero decisa a godermi la festa senza denaro, solo per provare a Valek che era possibile. Malgrado mi fossi ripromessa di non farlo, mi lanciai un'occhiata alle spalle. Niente. Cercai di convincermi che non vedere Valek fosse un buon segno. Se io potevo individuarlo, allora chiunque poteva farlo. Tuttavia la fastidiosa sensazione che magari lui avesse deciso di lasciarmi correre i miei rischi non voleva andarsene. Smettila, mi dissi. Non preoccuparti. Ma, in definitiva, sarei stata un'idiota a gironzolare per la festa cieca al pericolo. Mi sentivo come se fossi in equilibrio su una fune sospesa, cercando di non cadere. Potevo stare all'erta e divertirmi allo stesso tempo? Non lo sapevo, tuttavia ero decisa a provarci. «A quale concorso ti saresti iscritta?» domandò Rand. Prima che potessi rispondere, agitò le mani davanti a me. «No! Non dirmelo! Voglio indovinare.» Sorrisi. «Avanti.»

«Vediamo. Piccola, esile e graziosa. Danzatrice?» «Riprova.» «D'accordo. Tu mi ricordi un bell'uccellino, disposto a starsene sul davanzale finché nessuno viene troppo vicino, ma pronto a volare via se qualcuno lo fa. Un uccellino canoro. Forse sei una cantante?» «Evidentemente non mi hai mai sentita cantare. Tutte le tue proposte dovranno essere accompagnate da una prolungata dissertazione sulla mia personalità?» domandai. «No. Ora sta' zitta, sto cercando di riflettere.» Le luci della festa si facevano più vive. Udivo il rumoreggiare distante di musica, animali e persone mescolati assieme. «Lunghe dita snelle. Forse sei membro di una squadra di filatura?» azzardò Rand. «Che cos'è una squadra di filatura?» «Di solito ci sono un tosatore, un cardatore, una filatrice e una tessitrice in una squadra. Capisci, dalla pecora alla pezza di stoffa. Le squadre fanno a gara a chi riesce per primo a tosare la lana di una pecora e a trasformarla in un vestito. È piuttosto sorprendente da guardare.» Rand mi studiò per un po'. Cominciai a chiedermi se fosse a corto di proposte. «Un fantino?» «Credi davvero che potrei permettermi di comprare un cavallo da corsa?» domandai, sbalordita. Solo i cittadini molto ricchi avevano cavalli da far correre per sport. I militari li usavano soltanto per il trasporto di ufficiali d'alto grado e consiglieri. Tutti gli altri andavano a piedi. «Le persone che possiedono cavalli da corsa non li montano. Assoldano dei fantini. E tu saresti della taglia giusta, dunque smettila di guardarmi come se fossi matto.» Come arrivammo alla prima delle grandi tende multicolori, la nostra conversazione cessò e fummo assorbiti dall'attività frenetica e dallo spettacolo di luci, colori e profumi che aggredì i nostri sensi. Quand’ero piccina, ero solita stare ritta in mezzo al caos e cibarmi dell'energia della Festa del Fuoco. Avevo sempre pensato che il

nome della festività fosse perfetto, non perché aveva luogo durante la stagione torrida, ma perché i suoni e gli odori pulsavano come ondate di calore, facendomi ribollire il sangue. Ora, dopo aver trascorso quasi un anno in una segreta, sentivo quella forza sbattermi contro come se fossi un muro di mattoni. Un muro la cui malta minacciava di sbriciolarsi per il sovraccarico di sensazioni. Bruciavano delle torce e ardevano dei falò. Camminammo in uno spicchio di luce prigioniera. Le tende delle esibizioni e delle gare erano sparse per tutta la fiera, con piccoli chioschi aperti infilati dentro e intorno a esse come bambini aggrappati alle sottane delle madri. Dalle gemme esotiche agli scacciamosche, i mercanti vendevano una varietà di mercanzie. L'aroma di cibo che cuoceva mi fece gorgogliare lo stomaco mentre oltrepassavamo vari banchi di rosticceria, e rimpiansi di aver saltato la cena nella fretta di arrivare lì. Intrattenitori, competitori, spettatori e bambini ridenti montavano come una marea e fluivano attorno a noi. A volte la calca di gente ci incalzava da dietro e a volte lottavamo per avanzare. Avevamo perso traccia degli altri. Se non avesse agganciato il suo braccio al mio, probabilmente sarei stata separata anche da Rand. Le distrazioni davano pepe alla festa. Avrei seguito la musica vivace fino alla sua fonte o avrei indugiato a guardare una farsa, ma Rand era deciso a vedere i risultati del concorso di cucina. Mentre ci muovevamo, osservavo le facce nella folla, in cerca di uniformi nere e verdi anche se Valek aveva detto che Brazell non sarebbe stato una minaccia. Ritenevo prudente evitare lui e le sue guardie. Non sapendo esattamente chi stavo cercando, guardavo i visi insoliti. Era il modo sbagliato per individuare un eventuale pedinatore. Valek mi aveva insegnato che i migliori agenti sono di aspetto ordinario e non attirano su di sé l'attenzione. Ma io immaginai che se una spia addestrata mi stava seguendo, le mie probabilità di individuarla, uomo o donna che fosse, erano poche. Ci imbattemmo in Porter e Liza in una piccola tenda piena di un aroma dolce che mi fece dolere lo stomaco dalla fame. Stavano parlando con un uomo massiccio in uniforme da cuoco, ma si interruppero quando entrammo noi. Circondando Rand, si

congratularono per il primo posto ottenuto dalla sua creazione. L'uomo corpulento dichiarò che Rand aveva infranto il precedente record della festa vincendo per cinque anni di fila. Mentre Rand esaminava la sfilza di cibarie cotte al forno che coprivano gli scaffali, chiesi all'uomo chi avesse vinto nel Distretto Militare 5. Ero curiosa di sapere se il cuoco di Brazell avesse vinto con la ricetta del suo Creolo. La fronte dell'uomo si aggrottò nella concentrazione, così che i suoi capelli neri corti e ricci toccarono le sopracciglia. «L'ha vinto Branda con una divina torta al limone. Perché?» «Pensavo che lo chef del Generale Brazell, Ving, avesse buone probabilità di aggiudicarsi il primo posto. Una volta lavoravo al maniero.» «Ebbene, Ving ha vinto due anni fa con una torta alla crema e adesso presenta sempre la stessa torta tutti gli anni, sperando di vincere di nuovo.» Ritenni strano che non avesse presentato il suo Creolo, ma prima che potessi dedurne una motivazione, Rand ci spinse giubilante fuori dalla tenda. Voleva comprare a tutti un bicchier di vino per festeggiare la vittoria. Sorseggiammo il vino e girovagammo per la festa. Sammy si materializzava di tanto in tanto dalla folla per riferire deliziato di qualche meraviglia, solo per correre via di nuovo. Due volte scorsi una donna dall'espressione seria. I suoi capelli neri erano raccolti in una stretta crocchia. Indossava l'uniforme da falconiere, e si muoveva con la grazia di chi è abituato all'esercizio fisico. La seconda volta che la vidi era molto più vicina, e incontrai il suo sguardo. I suoi occhi a mandorla, smeraldini, si socchiusero fissandomi con fierezza di rimando fino a quando non guardai altrove. C'era qualcosa di familiare in lei, e ci volle un po' prima che mi rendessi conto di cosa fosse. Mi ricordava i bambini sotto la tutela di Brazell, e la sua carnagione era più simile alla mia che alla complessione avorio pallido della maggior parte della gente del Territorio di Ixia. La sua pelle era bronzea. Non abbronzata dal sole, ma di una pigmentazione naturale.

Poi il nostro piccolo gruppo senza meta fu assorbito da una corrente di spettatori diretti in un grande tendone a strisce rosse e bianche. Era la tenda delle discipline acrobatiche, dove trampolini, funi sospese e materassini erano ricoperti di uomini e donne dai costumi sgargianti. Stavano tutti cercando di passare i turni di qualificazione. Osservai un uomo che eseguì una bellissima serie di volteggi sulla fune, solo per essere squalificato quando cadde durante l'ultima acrobazia. Con la coda dell'occhio vidi Rand che mi osservava. Con espressione trionfante. «Che c'è?» domandai. «Sei un'acrobata!» «Ero un'acrobata.» Rand agitò le mani. «Non ha importanza. Avevo ragione!» Importava a me. Reyad aveva contaminato l'arte acrobatica. Il tempo in cui provavo soddisfazione e divertimento nell'eseguirla era finito, e non riuscivo a immaginare di ricavarne alcuna gioia ormai. Dalle panche dentro la tenda, il nostro gruppetto di cucinieri guardava gli atleti in gara. Grugniti di sforzo, costumi inzuppati di sudore e batter di piedi mi fecero venire nostalgia dei giorni in cui tutto ciò che mi preoccupava era trovare il tempo per esercitarmi. Quattro di noi all'orfanotrofio di Brazell si erano dati all'arte acrobatica. Avevamo cercato materiali di recupero e implorato per avere dell'altro così da allestire un'area da esercitazione dietro le scuderie. I nostri errori ci mandavano a schiantarci nell'erba finché il mastro stalliere non si impietosì dei nostri corpicini pieni di lividi. Un bel giorno arrivammo e scoprimmo una fitta coltre di fieno puzzolente di letame a ricoprire la nostra area di esercitazione. Gli insegnanti di Brazell ci avevano incoraggiato a scoprire un qualcosa in cui potessimo eccellere. Mentre alcuni avevano imparato che la propria vocazione era cantare o danzare, io ero rimasta affascinata dalle esibizioni acrobatiche fin dalla mia prima Festa del Fuoco.

Benché avessi trascorso molte ore a esercitarmi, fallii durante il turno di qualificazione alla mia prima competizione. La delusione mi ferì al cuore, ma guarii il dolore con la risolutezza. Trascorsi l'anno seguente ricoperta di segni neri e blu, a curarmi strappi muscolari troppo numerosi per tenerne il conto. Quando la Festa tornò, passai le qualificazioni e il primo turno solo per cadere dalla fune al secondo. Ogni anno lavorai duro e feci decisi progressi. Vinsi alla finale l'anno prima che Brazell e Reyad mi reclamassero come topo da laboratorio. Brazell e Reyad non mi permettevano di esercitarmi nelle acrobazie, ma ciò non m'impediva di sgattaiolare via ogni volta che Reyad era da qualche parte in missione per conto di suo padre. Quello che mi fermò fu essere colta sul fatto da Reyad una settimana prima della Festa, quando arrivò a casa in anticipo da un viaggio. Ero così concentrata su ciò che stavo facendo, che non lo notai in sella al suo cavallo finché non ebbi finito i miei volteggi. La sua espressione, un misto di collera e di esaltazione, trasformò le gocce di sudore sulla mia pelle in cristalli di ghiaccio. Per aver disobbedito ai suoi ordini, mi fu proibito di andare alla festa, quell'anno. E come deterrente ulteriore dalla disobbedienza, fui punita per tutta la durata della festa. Ogni sera, per cinque notti. Reyad mi costrinse a spogliarmi. Con un ghigno crudele sulla faccia, mi fissava mentre stavo lì in piedi rabbrividendo malgrado il caldo della notte. Mi attaccava pesanti catene da un collare metallico attorno al collo fino a manette metalliche ai polsi e alle caviglie. Avrei voluto urlare, picchiarlo con i pugni, ma ero troppo terrorizzata per irritarlo ulteriormente. Il piacere per la mia paura e la mia umiliazione gli arrossava il viso mentre con un frustino mi costringeva a eseguire acrobazie di sua invenzione. Una frustata sulla pelle era il rimprovero per essermi mossa troppo lentamente. Le catene mi battevano sul corpo ondeggiando ai miei movimenti. Il loro peso mi trascinava le membra, rendendo ogni volteggio una prova estenuante. Le manette cominciavano a sbucciarmi polsi e caviglie. Il sangue mi colava giù per le braccia e le gambe. Quando Brazell partecipava agli esperimenti. Reyad seguiva

meticolosamente le istruzioni del padre, ma quando era solo con me gli anonimi esercizi diventavano perversi. A volte invitava il suo amico Mogkan ad assisterlo, e insieme rendevano il mio inferno una gara per vedere chi inventava il modo migliore per mettere alla prova la mia resistenza. Vivevo nel costante terrore di far infuriare Reyad abbastanza da costringerlo a varcare l'unica linea che sembrava aver tracciato. Perché con tutte le torture e il dolore che infliggeva, non mi aveva mai stuprata. Così io capriolavo e roteavo con le catene giusto per trattenerlo dal passare quel confine. Il pesante braccio di Rand mi si posò sulle spalle. Trasalendo, tornai al presente. «Yelena! Qualcosa non va?» Gli occhi del cuoco, colmi di preoccupazione, indagarono i miei. «Sembrava che stessi avendo un incubo a occhi aperti.» «Scusa.» «Non scusarti con me. Ecco...» Mi porse un fumante pasticcio di carne. «Sammy ha portato questi per noi.» Ringraziai Sammy. Quando la mia attenzione si accentrò su di lui, i suoi occhi si dilatarono e il giovane viso sbiancò. Distolse lo sguardo. Senza pensare, presi un piccolo morso di pasticcio gustandolo in cerca di veleni. Non trovai niente. Mangiai e mi chiesi che folli storie fossero state raccontate sul mio conto, per provocare la reazione spaventata di Sammy. Ai bambini di quell'età di solito piaceva spaventarsi l'un l'altro con immaginari racconti dell'orrore. All'orfanotrofio ci facevamo paura dopo che erano state spente le lanterne ed eravamo a letto aspettando il sonno. Storie sussurrate sull'infuriare di mostri e maledizioni di maghi ci facevano trattenere il fiato e lanciare gridolini. Raccontavamo storie truci sui diplomati più grandi dell'orfanotrofio, che sembravano semplicemente sparire. Non ci veniva data alcuna spiegazione di dove stessero lavorando, e non incontravamo mai nessuno di loro in città né al maniero. Così creavamo orribili scenari sulla loro sorte. Come mi mancavano quelle notti con gli altri bambini quando mi era infine concesso di riposare dopo una giornata trascorsa con

Reyad. Mi aveva isolato dagli altri. Portata via dal dormitorio delle ragazze, avevo ricevuto una cameretta vicina ai suoi appartamenti. La notte, con il corpo dolorante e lo spirito abbattuto, giacevo sveglia e recitavo nella mia mente quei racconti, finché crollavo addormentata. «Yelena, possiamo andare.» «Cosa?» Guardai Rand. «Se questo ti turba. Possiamo anche andare. C'è una nuova spettacolare danza del fuoco.» «Possiamo rimanere. Stavo solo... facendo reminiscenze. Ma se tu vuoi vedere la danza del fuoco, verrò anch'io.» «Reminiscenze? Devi aver odiato essere un'acrobata.» «Oh no, adoravo tutto di quest'arte. Volare in aria, il completo controllo sul mio corpo mentre roteavo e capriolavo. L'eccitazione di sapere che stavo per atterrare con l'uscita perfetta ancor prima di toccare terra.» Mi bloccai. La confusione sul viso di Rand mi fece venir voglia di ridere e di piangere allo stesso tempo. Come potevo spiegargli che non erano le acrobazie a sconvolgermi, bensì gli eventi che avevano innescato? La crudele punizione di Reyad per essermi esercitata. Scappare fuori per partecipare alla festa l'anno seguente, che aveva condotto alla morte di Reyad. Rabbrividii. Quei ricordi erano come una trappola in un angolo della mia mente, e non ero pronta a farla scattare. «Un giorno, Rand, ti spiegherò. Ma per adesso mi piacerebbe vedere la danza del fuoco.» Mi prese sottobraccio mentre la nostra brigata di cucinieri lasciava la tenda e si univa alla fiumana di gente. Sammy corse avanti, gridando da sopra la spalla che ci avrebbe tenuto alcuni buoni posti. Un ubriaco mi urtò e io vacillai. Quello borbottò delle scuse e mi salutò col boccale di birra. Cercando di fare un inchino, atterrò in un fagotto ai miei piedi. Mi sarei fermata ad aiutarlo, ma fui distratta dall'apparizione di bastoni di legno incendiati. Sentii un ritmo pulsante vibrarmi attraverso le suole delle scarpe mentre i danzatori del fuoco roteavano le punte infuocate attorno alla testa e sfilavano dentro la tenda. Sbalordita dalle intricate movenze dei danzatori,

scavalcai l'ubriaco. Con l'agitazione e la calca di gente all'ingresso, Rand dovette lasciare la presa. Non mi preoccupai finché non mi trovai circondata da quattro uomini enormi. Due di loro indossavano uniformi da fabbro, mentre gli altri due portavano uniformi da lavoro dei contadini. Scusandomi, cercai di sgusciare in mezzo a loro, ma quelli si strinsero più vicino, intrappolandomi.

Capitolo 13 Il terrore mi sgorgò in gola; ero nei guai. Gridai aiuto. Una mano inguantata mi si serrò sulla bocca. Mordendo il cuoio sentii sapore di cenere, ma non riuscii a raggiungere la carne. I fabbri mi afferrarono per le braccia e mi spinsero avanti, mentre i contadini camminavano di fronte, nascondendomi alla vista. In tutta la confusione attorno alla tenda della danza, nessuno si accorse del mio rapimento. Lottai, trascinai i piedi, scalciai. La loro andatura non rallentò mai. Fui trasportata oltre le luci e la salvezza della festa. Torcendo il collo, cercai una via di fuga. Il fabbro accanto a me si avvicinò ulteriormente per bloccarmi la misera visuale. La sua folta barba era piena di fuliggine e una metà era stata bruciacchiata via. Ci fermammo dietro una tenda scura. I contadini si portarono di fianco e vidi un'ombra staccarsi dalla tela. «Qualcuno se n'è accorto? Vi ha seguito qualcuno?» chiese l'ombra con voce di donna. «È andata alla perfezione. Erano tutti concentrati sui danzatori» rispose il fabbro con i guanti di cuoio. «Bene. Adesso uccidetela» ordinò la donna. Un coltello lampeggiò nella mano di Guanti di Cuoio, lo ripresi a lottare, riuscendo a liberarmi per un istante. Ma i contadini mi bloccarono tenendomi per le braccia mentre Barba Bruciata mi afferrava le gambe. Guanti di Cuoio sollevò l'arma. «Niente coltelli, idiota! Pensa a tutto il macello del sangue. Usa questo.» La donna tese a Guanti di Cuoio un lungo laccio sottile. In un batter d'occhio il coltello sparì. L'uomo mi avvolse il laccio attorno al collo. «Nooo...» urlai, ma la mia protesta si esaurì insieme alla riserva d'aria quando l'uomo serrò il laccio. Un'intensa pressione mi strinse il collo. Invano agitai gli arti. Puntini neri mi rotearono davanti agli occhi. Un flebile ronzio mi esalò dalla gola. Troppo flebile: l'istinto di sopravvivenza che mi aveva salvato dalle guardie di Brazell e dalle torture di Reyad questa volta era troppo debole.

Al di sopra del rombo del sangue nelle orecchie, udii la donna dire: «Sbrigati! Sta cominciando a proiettare». Mentre ero sul punto di oltrepassare la soglia dell'incoscienza, ecco una voce da ubriaco: «Scusatemi, signori, sapete dove posso farmi riempire il bicchiere?». La pressione sul mio collo si allentò mentre Guanti di Cuoio estraeva il pugnale. Mi lasciai andare a peso morto e raggiunsi il risultato di venir lasciata cadere a terra. Gli altri tre uomini mi scavalcarono per fronteggiare l'intruso. Soffocando l'impulso di ansimare in cerca di fiato, inalai aria con disperazione. Stemperai i miei sforzi, non volendo far sapere a nessuno che riuscivo ancora a respirare. Dalla mia nuova posizione vidi Guanti di Cuoio avanzare pigramente verso l'ubriaco. Il clangore di metallo risuonò nell'aria quando il coltello colpì il boccale metallico dell'uomo anziché il suo petto. Con uno scatto improvviso del polso, il boccale si fece indistinto tanto fu rapido il movimento. Il coltello volò per aria, affondando nella tela della tenda. Poi l'ubriaco colpì Guanti di Cuoio sulla testa con il boccale. Guanti di Cuoio si afflosciò a terra. Gli altri, a pochi passi soltanto quando il loro compagno veniva atterrato, si avventarono sull'intruso. I contadini gli abbrancarono le braccia e le spalle mentre Barba Bruciata lo colpiva con due pugni al viso. Usando i contadini per sostenere il proprio peso, l'ubriaco sollevò entrambe le gambe da terra e le agganciò attorno al collo di Barba Bruciata. Con un forte schiocco, Barba Bruciata cadde. Ancora reggendo il boccale, l'ubriaco lo roteò verso destra colpendo all'inguine un contadino. Mentre quello si piegava in due, l'ubriaco portò il boccale verso l'alto, sbattendoglielo in faccia. Poi l'ubriaco roteò il boccale a sinistra e lo sbatté sul naso dell'altro contadino. Un fiotto di sangue, e il contadino guaì di dolore lasciando la presa sull'assalitore. L'ubriaco sferrò un secondo colpo alla tempia del contadino, che crollò a terra senza un gemito. Lo scontro era durato pochi secondi. La donna non si era mossa per nulla, il suo sguardo attento era rimasto fisso sulla schermaglia. Riconoscendola per la donna dalla pelle scura che avevo già notato

due volte alla festa, mi chiesi che cos'avrebbe fatto adesso che i suoi scagnozzi erano battuti. Riprendendo qualche energia, esaminai le mie probabilità di raggiungere il coltello nella tenda prima di lei. L'ubriaco si pulì sangue dal viso. C'erano corpi disseminati attorno ai suoi piedi. Cercai di alzarmi su gambe tremanti. La testa della donna scattò verso di me come se si fosse dimenticata che ero lì. Poi cominciò a cantare. Il suo canto dolce e melodioso si fece strada dentro la mia mente. Rilassati, diceva, mettiti giù, sta' ferma. Sì, pensai ricadendo giù. Il mio corpo diventò molle. Mi sentivo come se la donna mi stesse mettendo a letto, tirandomi su la coperta fino al mento. Ma poi la coperta mi fu tirata sopra la testa, premendomi sulla bocca e sul naso, soffocandomi. Lottai, artigliandomi selvaggiamente il viso per levare la coperta immaginaria. Uscendo dal nulla. Valek comparve sopra di me, urlandomi nell'orecchio, scrollandomi per le spalle. Stupidamente, tardivamente, mi resi conto che era lui, l'ubriaco. Chi altri se non Valek poteva vincere un combattimento contro quattro uomini massicci armato soltanto di un boccale da birra? «Recita i veleni mentalmente!» urlò Valek. Lo ignorai. L'apatia mi sopraffece. Cessai di combattere. Tutto quello che volevo fare era sprofondare nel buio e seguire la musica fin nel profondo. «Recitali! Adesso! Questo è un ordine!» L'abitudine mi salvò. Senza pensare, obbedii a Valek. I nomi dei veleni marciarono attraverso la mia mente. La musica cessò. La pressione sul mio viso si allentò, e riuscii di nuovo a respirare. Ansimai rumorosamente. «Continua a ripeterli» disse. La donna e il coltello erano scomparsi. Valek mi tirò in piedi. Vacillai, ma lui mi sorresse con un braccio sulla spalla. Afferrai la sua mano per un secondo, soffocando l'istinto di gettarmi singhiozzando tra le sue braccia. Mi aveva salvato la vita. Quando ritrovai l'equilibrio, Valek tornò dagli uomini. Sapevo che Barba Bruciata era morto, ma degli altri non ero certa.

Valek rivoltò una forma prona e imprecò. «Gente del sud» disse con disgusto. Si spostò attorno agli altri, tastando loro il polso. «Due vivi. Li farò portare al castello per l'interrogatorio.» «E la donna?» gracidai. Parlare era penoso. «Andata.» «La cercherai?» Valek mi lanciò un'occhiata strana. «Yelena, quella donna è una maga del sud. Le ho tolto gli occhi di dosso, e così non c'è modo in cui possa trovarla ormai.» Mi afferrò il braccio e mi spinse in direzione della festa. I muscoli mi tremavano mentre la violenza dell'attacco si faceva strada nel mio corpo. Ci volle un po' perché le sue parole venissero interiorizzate. «Maga?» domandai. «Credevo che i maghi fossero banditi da Ixia.» Uccisi a vista era più esatto, ma non riuscii a spingermi a pronunciare quelle parole a voce alta. «Benché assai sgraditi, alcuni visitano comunque Ixia.» «Ma io pensavo...» «Non ora. Ti spiegherò più tardi. Al momento voglio che tu raggiunga Rand e i suoi amici. Fingi che non sia successo niente. Dubito che quella donna ci riproverà stanotte.» La vivida luce dei fuochi mi trafisse gli occhi. Valek e io restammo nell'ombra finché non individuammo Rand vicino alla tenda degli acrobati. Mi stava cercando, chiamando il mio nome. Valek mi accennò di raggiungere il mio amico. Avevo fatto solo due passi quando Valek disse: «Yelena, aspetta». Mi voltai. Valek mi accennò di andargli più vicino. Quando lo raggiunsi, la sua mano si alzò verso il mio collo. Indietreggiai, ma mi ripresi e restai ferma. La sua mano mi sfiorò la pelle mentre mi slacciava il laccio dalla gola. Me lo porse come fosse un serpente velenoso. Rabbrividendo per il disgusto, lo scagliai a terra. Il sollievo di Rand quando mi vide emergere dalla folla si riversò da lui come un'ondata che si infrange. Esitai. Perché doveva essere

così preoccupato? A quanto ne sapeva, mi ero semplicemente persa. Colsi una lieve zaffata di vino quando Rand si avvicinò. «Yelena, dove sei stata?» Le parole erano impastate. Non mi ero resa conto che avesse bevuto così tanto vino, il che spiegava perché fosse stato così agitato nel cercarmi. L'alcol avvelenava la mente, esagerava le emozioni. «La tenda era troppo affollata. Avevo bisogno di un po' d'aria.» La voce mi si spezzò sulla parola aria, mentre l'orrore di venire strangolata mi invadeva. Guardai indietro tra le ombre. Valek stava ancora guardando o era andato ad arrestare quegli uomini? E dov'era la donna dalla pelle scura? Prima ero stata felice di uscire dal castello, ma adesso non desideravo altro che avere robuste pareti di pietra attorno a me ed essere di nuovo al sicuro negli alloggi di Valek. Orbene, quella era una strana combinazione, le parole Valek e al sicuro nel medesimo pensiero. «Pensavo di raggiungervi più tardi» mentii a Rand mentre scrutavo la folla della festa. Non mi piaceva ingannarlo. Dopotutto, era mio amico. Forse perfino un buon amico, che si era preoccupato abbastanza da cercarmi quando ero stata separata da lui, e che probabilmente sarebbe stata l'unica persona dispiaciuta se mi avessero ucciso. Benché avesse combattuto dalla mia parte, ero certa che Valek sarebbe stato semplicemente seccato di dover addestrare un nuovo assaggiatore. La danza del fuoco era appena terminata e la gente si riversava fuori dalla tenda. Il resto della brigata di cucina attendeva all'esterno. Dilana si era unita a loro. Rand mi mollò il braccio come un malloppo di pasta di pane e si diresse verso di lei. La cucitrice gli sorrise, scherzando a proposito del dare la caccia all'assaggiatrice quando aveva promesso di incontrarsi con lei. Nel suo modo da ubriaco, Rand le chiese perdono, spiegando che non poteva permettersi di perdermi dal momento che lo avevo aiutato a vincere il concorso di cucina. Lei rise. Lanciando nella mia direzione uno dei suoi sorrisi da scaldare il cuore, Dilana abbracciò Rand, e a braccetto si diressero verso il castello. Il resto di noi li segui. Mi trovai ancora una volta ultima nel

corteo, ma questa volta avevo Liza come compagna. Lei mi guardò arcigna. «Non capisco che cosa ci trovi Rand in te» sentenziò. Non una maniera amichevole di iniziare una conversazione. «Scusami» dissi, tenendo un tono neutro. «Si è perso la danza del fuoco per cercarti. E fin da quando sei comparsa tu, la quotidianità della cucina è stata sconvolta. La brigata è seccata.» «Di che cosa stai parlando?» «Prima che comparissi tu, i cambiamenti d'umore di Rand erano prevedibili. Allegro e contento quando Dilana era felice e le scommesse vincenti, cupo e nervoso quando non lo erano. Poi...» Liza sottolineò la parola. Il suo viso ordinario da pappa d'avena si aggrottò in un'espressione ostile, che indirizzò a me. «Tu gli stai dietro. Lui comincia a sbuffare dietro la brigata di cucina senza alcuna ragione. Anche quando vince una grossa somma, è ancora depresso. È una cosa frustrante. Siamo giunti alla conclusione che probabilmente stai cercando di rubarlo a Dilana. Vogliamo che tu la smetta, che lo lasci in pace e che te ne stia fuori dalla cucina.» Liza aveva scelto il momento peggiore per avvicinarmi. Essere appena sfuggita per un soffio alla morte aveva messo le cose in prospettiva. Non ero nella miglior disposizione mentale. Divampò rabbia pura; le afferrai il braccio e la feci voltare verso di me. Eravamo naso a naso.

«Voi avete concluso? Il potere cerebrale combinato di tutta la

brigata di cucina probabilmente non riuscirebbe ad accendere una candela. La nostra amicizia non è assolutamente affar vostro. Dunque vi suggerisco di rimeditare la vostra ipotesi. Se c'è un problema in cucina, allora affrontatelo. State sprecando il vostro tempo lagnandovene con me.» La spinsi via. Avrei potuto dire dalla sua espressione sconvolta che non si era aspettata una reazione così recisa. Tanto peggio per lei, pensai mentre mi affrettavo per raggiungere gli altri, lasciandola a proseguire da sola. Che cosa voleva che facessi? Aveva dedotto che avrei mitemente acconsentito a smettere di

parlare con Rand solo per appianare le cose in cucina? Non le avrei permesso di scaricare i suoi problemi su di me; ero già sovraccarica dei miei. Per esempio, perché una maga di Sitia avrebbe voluto uccidermi? Al castello, augurai la buonanotte a Rand e Dilana e tornai in fretta agli alloggi di Valek. Per quanto desiderassi trovarmi dentro, convinsi una delle guardie fuori dalla porta a controllare le stanze di Valek in cerca di intrusi prima di entrare. I tentativi di omicidio, combinati con un'immaginazione iperattiva, mi rendevano inquieta, timorosa di agguati. Perfino seduta sul divano al centro del soggiorno con tutte le lanterne accese, non mi sentii sicura finché non arrivò Valek, sul far dell'alba. «Non hai dormito?» domandò. Un livido viola scuro sulla mascella, delle dimensioni di un pugno, spiccava sulla sua pelle chiara. «No. Ma nemmeno tu» risposi piccata. «lo posso dormire tutto il giorno. Tu invece devi assaggiare la colazione del Comandante tra un'ora.» «Quello che mi occorre sono risposte.» «A quali domande?» Valek cominciò a spegnere le lanterne. «Perché una maga del sud sta cercando di uccidermi?» «Bella domanda. Esattamente la stessa che volevo farti io.» «Come potrei saperlo?» Scrollai le spalle per la frustrazione. «Le guardie di Brazell potevo capirle. Ma i maghi! Non è che io sia sempre in giro a far arrabbiare maghi del sud.» «Ahhh... che peccato. Soprattutto dal momento che hai un vero talento per far arrabbiare la gente.» Valek sedette alla sua scrivania e appoggiò la testa tra le mani. «Non si tratta soltanto di una maga del sud, Yelena, bensì di un mago del rango di maestro. Sai che esistono soltanto quattro maestri maghi a Sitia? Quattro. Di tanto in tanto inviano un loro accolito o due con minori talenti magici nel Territorio, a vedere che cosa facciamo. Finora ogni spia è stata intercettata e sistemata. Il Comandante Ambrose non intende tollerare magia a Ixia.»

All'epoca del Re, i maghi erano stati considerati l'élite. Trattati come fossero di sangue reale, erano molto influenti presso il sovrano. Secondo la storia del colpo di stato, Valek aveva assassinato ciascuno di loro. Mi chiesi come, specialmente visto che non era riuscito a catturare quella donna, la notte passata. Valek si alzò in piedi. Raccolse una roccia grigia dalla scrivania. Lanciando il sasso da una mano all'altra, si mise a camminare in giro per il soggiorno. Ricordando di aver evitato per un soffio l'ultimo sasso che Valek aveva tenuto in mano, sollevai i piedi dal pavimento e mi rannicchiai con le ginocchia contro il petto, sperando di rendermi un bersaglio più piccolo. «Perché quelli del sud rischino uno dei loro maestri maghi, la ragione dev'essere...» Valek fece saltellare in mano la pietra, in cerca della parola giusta. «Vitale. Perché dunque cercano te?» Sospirò e si lasciò sprofondare sul divano accanto a me. «Bene, cerchiamo di rifletterci. Tu palesemente hai un po' di sangue meridionale nella tua ascendenza.» «Cosa?» Non avevo mai pensato alla mia ascendenza. Ero stata trovata sulla strada, senza dimora, e raccolta da Brazell. Ogni riflessione sui miei genitori era stata soltanto se fossero morti o mi avessero semplicemente abbandonata. Non avevo ricordi della mia vita precedente all'arrivo all'orfanotrofio. Per lo più, ero stata grata a Brazell di avermi dato rifugio. Che Valek facesse quell'affermazione come un dato di fatto mi sbalordì. «Il tuo colorito è lievemente più scuro di quello di un tipico settentrionale. I tuoi lineamenti hanno tratti meridionali. Occhi verdi sono molto rari nel Territorio, mentre sono più comuni a Sitia.» Valek fraintese la mia espressione raggelata. «Non è niente di cui vergognarsi. Quando il Re era al potere, il confine per Sitia era aperto al commercio e ai traffici. La gente si muoveva liberamente tra le due regioni, e i matrimoni erano inevitabili. Supporrei che tu sia stata lasciata indietro subito dopo il colpo di stato, quando la gente si è fatta prendere dal panico ed è fuggita a sud prima che chiudessimo il confine. Fu il caos totale. Non so che cosa si aspettassero quando il Comandante salì al potere. Uccisioni di

massa? Tutto quel che facemmo fu dare a ciascuno un'uniforme e un lavoro.» La mia mente turbinava. Perché non ero stata più curiosa sulla mia famiglia? Non sapevo nemmeno in che città fossi stata trovata. Ogni giorno ci veniva ripetuto quanto fossimo stati fortunati, rammentato che avevamo cibo, vestiti, riparo, insegnanti e perfino un piccolo appannaggio. Era stato ripetutamente sottolineato che molti bambini con i genitori non stavano bene quanto noi. Era stata una forma di lavaggio del cervello? «Bene, comunque, sto divagando» disse Valek nel silenzio. Si alzò e riprese a camminare. «Dubito si trattasse di membri della tua famiglia scomparsa. Non cercherebbero di ucciderti. C'è qualcos'altro, oltre ad aver assassinato Reyad, che hai fatto in passato? Assistito a un crimine? Origliato piani per una ribellione? Qualsiasi cosa?» «No. Niente.» Valek si picchiettò il sasso sulla fronte. «Allora supponiamo che questo abbia a che fare con Reyad. Forse era in combutta con della gente del sud e il fatto che tu l'abbia ucciso ha rovinato i loro piani. Forse stanno complottando per riprendere Ixia. Oppure pensano che tu sappia qualcosa su questo complotto. Eppure non ho sentito niente su un attacco di Sitia contro di noi. E perché dovrebbero? Sitia sa che il Comandante è contento di starsene al nord e viceversa.» Valek si strofinò una mano sul viso prima di continuare. «Forse Brazell si è fatto creativo nella sua tarda età e ha assoldato dei meridionali per ucciderti; esaudendo così il suo desiderio di vederti morta senza compromettersi. No. Non ha senso. Brazell avrebbe assoldato dei sicari, non c'è bisogno di un mago. A meno che non abbia contatti di cui non sono a conoscenza, il che è altamente improbabile.» Valek proseguì il giro per la stanza. Solo metà delle lanterne era stata spenta. Messa giù la roccia, terminò l'opera proprio mentre la timida luce che precede l'alba cominciava a illuminare la stanza. All'improvviso si bloccò, come se avesse avuto un pensiero improvviso, e mi guardò accigliato.

«Che c'è?» «I maghi verrebbero a nord per portare di nascosto in salvo uno dei loro» disse Valek. Mi esaminò. Prima che potessi protestare, domandò: «In tal caso, però, perché ucciderti? A meno che tu non sia un Cercatore d'Anime, non hanno alcun motivo per volerti morta». Sbadigliò e si toccò con delicatezza il livido sulla faccia. «Sono troppo stanco per pensare lucidamente. Vado a letto.» Si diresse verso la scala. Cercatore d'Anime? Non avevo idea di che cosa fosse, ma problemi più importanti dovevano essere affrontati. «Valek.» Si fermò con un piede sul primo gradino. «Il mio antidoto.» «Ma certo.» Continuò su per i gradini. Mentre era di sopra, mi chiesi quante volte in futuro avrei dovuto chiederlo per avere l'antidoto. La consapevolezza che ciò mi stava tenendo in vita mi avvelenava la mente con la stessa sicurezza con cui la Polvere di Farfalla avvelenava il mio corpo. Mentre splendeva la luce del primo mattino, pensai con desiderio al mio letto. Valek poteva dormire, ma io dovevo presto assaggiare la colazione del Comandante. Valek scese le scale. Porgendomi l'antidoto, disse: «Potresti preferire tenere i capelli sciolti, oggi». «Perché?» Mi passai le dita tra i capelli. I nastri che vi avevo intrecciato erano strappati e aggrovigliati. «Per coprire i segni sul collo.» Prima di andare nell'ufficio del Comandante corsi ai bagni. Avevo giusto il tempo di sciacquarmi e indossare un'uniforme pulita prima di dover comparire a colazione. Il laccio aveva lasciato attorno al mio collo un anello rosso vivido che non potevo coprire, in qualunque modo mi acconciassi i capelli. Mentre mi dirigevo verso l'ufficio del Comandante, vidi Liza.

Atteggiò la bocca in un fermo cipiglio e guardò altrove mentre passava. Oh, benone, pensai, un'altra persona che ho fatto arrabbiare. Mi rammaricai di aver sfogato la mia ira su di lei, ma non avevo intenzione di chiedere scusa. Dopotutto, aveva cominciato lei la lite. La maggior parte delle mattine il Comandante ignorava il mio arrivo, lo assaggiavo la sua colazione, e poi sceglievo nella sua scatola di Creolo, selezionando un pezzo a caso per verificare che nessuno l'avesse avvelenato durante la notte. Ogni mattina mi veniva l'acquolina in bocca pregustando il sapore del dessert dolceamaro. Il suo aroma di nocciola che mi rivestiva la bocca era l'unico piacere che potessi aspettarmi durante la giornata. Avevo sostenuto con Valek che avrei dovuto provarlo ogni volta che il Comandante ne volesse, ma Ambrose faceva tesoro della sua provvista. Razionava un pezzo di Creolo dopo ogni pasto. E avevo saputo tramite Rand che ne aveva già richiesto dell'altro a Brazell, insieme a una copia della ricetta da parte del suo cuoco, Ving. Ogni mattina, dopo aver posato il vassoio della colazione del Comandante sulla scrivania, prendevo il suo orario della giornata e me ne andavo senza che venisse pronunciata una sola parola. Ma quel mattino, quando misi giù il vassoio, mi disse di sedermi. In bilico sull'orlo della dura sedia di legno davanti alla sua scrivania, sentii una piuma di paura solleticarmi lo stomaco. Intrecciai strette le dita per mantenere il viso impassibile. «Valek mi ha informato che hai avuto un incidente la notte scorsa. Sono preoccupato che un altro attentato alla tua vita metta a rischio la nostra esercitazione.» Gli occhi dorati del Comandante mi scrutarono mentre sorseggiava il suo tè. «Tu hai regalato a Valek un rompicapo, e lui mi ha assicurato che tenerti in vita contribuirà a una rapida risoluzione. Convincimi che sarai in grado di interpretare il fuggitivo senza farti ammazzare. Secondo Valek, non sei stata capace di riconoscerlo neppure dopo che ti è venuto addosso.» Mi si aprì la bocca, tuttavia la chiusi meditando sulle sue parole. Una spiegazione frettolosa o illogica non avrebbe influenzato il Comandante. Inoltre, mi era stata offerta una facile ritirata. Perché dovevo rischiare il collo per la sua esercitazione? Non ero una spia

addestrata; non ero stata in grado di identificare Valek neanche quando sapevo che mi stava seguendo. Ma di nuovo, era il mio collo che gli assalitori assassini volevano. Se non avessi cercato di attirarli allo scoperto di mia volontà, avrebbero scelto loro il tempo e il luogo. Soppesai l'argomentazione nella mia mente, sentendomi come se fossi sempre su una fune sospesa, incapace di decidere quale azione portasse all'uscita perfetta, e continuassi a camminare avanti e indietro fino a che non fosse venuta una forza esterna per spingermi da una parte o dall'altra. «Sono nuova alle battute di caccia» dissi al Comandante. «Per qualcuno non addestrato, cercare di individuare un pedinamento in una festa rumorosa e affollata è un compito difficile. È come chiedere a un bambino di correre quando ha appena imparato a camminare. Nei boschi, da sola e cercando di evitare chiunque, accorgersi di un inseguitore sarà più facile e nelle mie possibilità.» Mi fermai. Nessuna risposta dal Comandante, così continuai: «Se possiamo attirare questo mago allo scoperto, forse potremo scoprire perché vuole uccidermi». Il Comandante sedeva immobile come un rospo che osservasse e attendesse che la mosca venisse più vicino. Giocai la mia ultima carta. «E Valek mi ha assicurato che mi seguirà.» Il mio uso della parola impiegata dal Comandante non andò perduto. «Procederemo come progettato. Non mi aspetto che tu vada lontano, dunque dubito che vedremo questo mago.» Pronunciò la parola mago come se gli lasciasse in bocca un sapore schifoso. «Mi aspetto che tu te ne resti zitta sull'intera faccenda. Consideralo un ordine. Sei congedata.» «Sì, Signore.» Lasciai l'ufficio. Trascorsi il resto della giornata a raccogliere e mettere da parte provviste per l'esercitazione, che era in programma per il mattino seguente all'alba. Visitai il laboratorio di Dilana e il ferramenta. Il solo menzionare il nome di Valek produsse notevoli risultati da parte dei fabbri, che si affrettarono a procurarmi gli oggetti che dissi

sarebbero serviti al capo della sicurezza. Dilana mi avrebbe dato qualsiasi cosa chiedessi. Parve delusa che volessi soltanto prendere a prestito uno zaino di pelle. «Tienilo» disse. «Nessuno l'ha mai reclamato. È rimasto buttato lì da quando ho iniziato.» Le tenni compagnia mentre rammendava uniformi, mi raccontava gli ultimissimi pettegolezzi e continuava a insistere che avevo bisogno di mangiare di più. L'ultima fermata fu la cucina. Con la speranza di trovare Rand da solo, attesi finché la brigata non ebbe sparecchiato la cena. Rand era in piedi presso un bancone, a lavorare sui menu. I menu di ogni settimana dovevano essere approvati dal Comandante prima che il cuoco potesse darli a Liza, che si assicurava che le cibarie e gli ingredienti richiesti fossero disponibili. «Hai l'aria di star meglio di me» osservò Rand in tono basso. Teneva la testa come fosse una tazza piena d'acqua, muovendola lentamente come per evitare di rovesciarla. «Non ho niente da assaggiare oggi per te. Non ho avuto l'energia.» «Va bene così.» Notai il viso pallido e le borse scure sotto gli occhi. «Non ti tratterrò. Ho solo bisogno di prendere in prestito alcune cose.» Interessato, Rand quasi tornò al suo aspetto gioviale. «Come che cosa?» «Pane. E un po' di quella colla che hai inventato. Dottor Mammina l'ha usato per sigillarmi un taglio sul braccio. Roba fantastica.» «La colla! Ancora una delle mie ricette migliori! Ti ha raccontato come l'ho scoperta? Stavo cercando di creare un adesivo commestibile per questa enorme torta nuziale a dieci strati e...» «Rand» lo interruppi, «mi piacerebbe da matti sentire la storia, e devi promettermi che me la racconterai, un'altra volta. Ma abbiamo entrambi bisogno di dormire.» «Oh, sì. Hai ragione.» Indicò una catasta di pagnotte e disse: «Prendi quello che ti serve».

Mentre io raccoglievo il pane, lui frugò in un cassettone, poi mi tese un vasetto di colla bianca. «Non è permanente. La colla terrà per circa una settimana, dopodiché perderà le sue virtù. Qualcos'altro?» «Uhm. Sì.» Esitai, riluttante a fare la mia ultima richiesta, che era la ragione principale per cui avevo voluto essere sola con lui. «Che cosa?» «Mi serve un coltello.» Rizzò il capo di scatto. Potei vedere una scintilla dietro i suoi occhi quando il ricordo di come avessi ucciso Reyad gli lampeggiò nella mente. Vidi girare gli ingranaggi della sua testa, mentre soppesava la nostra recente amicizia con quell'insolita richiesta. Mi aspettavo che mi interrogasse sul perché avessi bisogno di un coltello. Invece mi domandò: «Quale?». «Quello dall'aria più minacciosa che hai.»

Capitolo 14 Il mattino seguente, mi diressi al cancello meridionale proprio mentre il sole sorgeva dietro le vette delle Montagne dell'Anima. Presto un trionfante ventaglio di luce inondò la vallata, indicando l'inizio dell'esercitazione del Comandante. Il cuore mi batteva di eccitazione e di paura. Una strana combinazione di sentimenti, che però stimolava i miei passi. Sentivo appena il peso dello zaino. Mi ero posta il problema se portare quegli oggetti nella sacca potesse essere considerato imbrogliare. Dopo molto meditare, avevo deciso che un prigioniero intenzionato a fuggire dalla segreta avrebbe messo da parte un po' delle sue razioni di pane, avrebbe sgraffignato un'arma dalla camera di guardia, e rubato gli altri oggetti ai fabbri. E se stavo stiracchiando un tantino le cose, pazienza. Nessuno mi aveva detto che dovevo scappare senza niente. La mia determinazione a fuggire era aumentata da quando il progetto era stato proposto la prima volta. Il denaro a questo punto era solo un sovrappiù. Volevo provare al Comandante che aveva torto. Al Comandante, che pensava che non sarei arrivata lontano, e che si era preoccupato che la mia morte potesse mettere a rischio la sua esercitazione. Prima di lasciare il complesso del castello, mi ero fermata per un momento a guardare l'edificio principale alla luce del giorno. La mia prima impressione era stata che fosse stato un bambino a costruire il palazzo. Il basamento del castello era rettangolare e sosteneva vari livelli superiori di cubi, piramidi e cilindri costruiti l'uno sopra l'altro in modo casuale. Gli unici tentativi di simmetria erano le magnifiche torri a ciascun angolo del castello. Striate di vetrate dai colori brillanti, si allungavano verso il cielo. L'insolita struttura geometrica del castello mi incuriosì, e mi sarebbe piaciuto guardarlo da altre angolazioni, ma Valek mi aveva dato istruzioni di lasciare l'insediamento all'alba, in quanto avrei avuto soltanto un'ora di vantaggio. Poi, i soldati e i cani all'inseguimento avrebbero cercato di scoprire da quale cancello fossi

uscita, seguendo la mia pista da lì. Valek aveva preso una delle camicie delle mie uniformi per far sentire il mio odore ai cani. Gli avevo chiesto chi avrebbe assaggiato il cibo del Comandante mentre ero via, e lui mi aveva dato vaghe risposte sul fatto di avere altri addestrati nelle arti dei veleni, che però erano troppo preziosi per venire impiegati regolarmente. Al contrario di me. La rotta verso sud era una direzione ovvia, ma non progettavo di mantenerla a lungo. Sperai che i soldati supponessero che mi fossi diretta difilato al confine. Il castello si trovava nel Distretto Militare 6 e molto vicino alle terre del sud, incuneato tra il DM-7 a ovest e il DM-5 a est. Il defunto Re, che aveva edificato il complesso, preferiva il clima mite. Alternando la camminata a una corsa leggera, non ci volle molto prima che entrassi nella Foresta del Serpente, evitando Castletown. Mentre studiavo alcune delle mappe di Valek, la sera precedente, avevo notato che la foresta circondava Castletown su tre lati. Il borgo settentrionale della cittadina fronteggiava il castello, e la Foresta del Serpente si stendeva anche a est e a ovest come una sottile cintura di verzura. Al confine meridionale ufficiale, i soldati del Comandante Ambrose avevano disboscato una striscia di terra larga un centinaio di piedi, dalle Montagne dell'Anima a est fino all'Oceano del Tramonto a ovest. Dal colpo di stato era considerato un crimine per chiunque, ixiano o sitiano, oltrepassare quella linea. Marciai rapida attraverso la foresta, creando una pista ben visibile. Spezzando rami e stampando orme nella polvere, continuai a dirigermi a sud finché non raggiunsi un torrentello. La mia ora di vantaggio era pressoché al termine. Mi inginocchiai sulla riva del torrente e immersi le mani nell'acqua. Togliendone una manciata di fango, lasciai colar via l'acqua tra le dita. Mi chinai sulla corrente e mi spalmai il sedimento bagnato sulla faccia e sul collo, e poiché mi ero raccolta i capelli in una crocchia, mi strofinai fango anche sulle orecchie e sulla nuca. Sperai che gli uomini ritenessero che mi ero inginocchiata lì per bere. Dopo aver stampato impronte sulla riva del torrente per indurre gli inseguitori a pensare che fossi avanzata dentro l'acqua, feci il cammino a ritroso fino a trovare un albero che

facesse al caso mio. A circa sei piedi dalla mia traccia, un liscio tronco di velvatt si innalzava nell'aria. Il primo ramo robusto che si biforcava dal tronco principale si trovava a quindici piedi sopra la mia testa. Cercando di non disturbare il terreno circostante la pista che avevo tracciato, mi tolsi lo zaino e ne estrassi uno degli oggetti che avevo preso a prestito dai fabbri, un piccolo rampone metallico, e lo legai all'estremità di una lunga fune sottile arrotolata dentro la mia sacca. Terminata l'ora di vantaggio, un'improvvisa immagine di guardie e cani che erompevano dal castello mi lampeggiò nella mente. Lanciai in fretta il rampone verso il ramo. Lo mancai. Lo afferrai al volo mentre ricadeva. Freneticamente, lanciai di nuovo l'uncino. Mancato. Cercai di placare il battito frenetico del cuore e mi concentrai sull'impresa. L'uncino questa volta si agganciò al ramo. Confidando che fosse saldamente ancorato, mi legai attorno alla vita la fune rimanente perché non strisciasse per terra e mi rimisi lo zaino. Afferrando il cavo con entrambe le mani, sollevai il mio peso dal terreno e intrecciai le gambe attorno alla corda. Era passato molto tempo dall'ultima volta che mi ero arrampicata in quel modo. Per tutta l'arrampicata sulla corda, le mie braccia, spalle e muscoli della schiena lamentarono la mia inattività durata un anno intero. Una volta che raggiunsi la cima, mi misi a cavalcioni del ramo e infilai di nuovo fune e uncino nello zaino. Una forte brezza soffiava da ovest. Volendo restare sottovento rispetto ai cani, passai la mezz'ora seguente ad arrampicarmi tra gli alberi verso est finché fui ben lontana dal mio tragitto originario. Per una volta, la mia taglia minuta e le capacità acrobatiche si rivelarono un vantaggio. Quando mi imbattei in un albero di cheketo, trovai un cantuccio sicuro vicino al tronco e mi sfilai lo zaino. La foglia di cheketo, di forma circolare, macchiata di bruno, era la più grossa che cresceva nella Foresta del Serpente ed era perfetta per le mie necessità. Rimasi ferma per un minuto, ascoltando in cerca di rumori d'inseguimento. C'erano uccelli che cinguettavano e insetti che ronzavano; udii il rapido frusciar di foglie quando si mosse un daino. Individuai il debole abbaiare dei cani, ma avrebbe anche potuto essere soltanto

la mia immaginazione. Non c'era segno di Valek. Tuttavia, conoscendolo, doveva essere poco indietro. Prendendo dalla sacca la colla di Rand, strappai delle foglie dall'albero. Quando ne ebbi abbastanza, mi tolsi la camicia e vi incollai sopra le foglie. Sentendomi a disagio con soltanto la biancheria senza maniche, lavorai in fretta. Coprii di foglie la camicia, poi i calzoni, gli stivali e lo zaino. Infine mi incollai una grossa foglia sui capelli e due più piccole sul dorso delle mani, in modo che lasciassero le dita libere di muoversi. Mi passò per la mente l'avvertimento di Rand che la colla avrebbe tenuto soltanto per una settimana. e sorrisi immaginando la sua reazione se mi avesse visto girare per il castello con delle foglie appiccicate alla testa e alle mani. Non avevo uno specchio, ma sperai di essermi mimetizzata tutto il corpo di verde e marrone. Non mi preoccupavo delle piccole chiazze nere che potevano vedersi attraverso: era il rosso brillante della camicia dell'uniforme che mi avrebbe immediatamente tradita. Troppo nervosa per restare a lungo in uno stesso posto, continuai ad arrampicarmi verso est più rapida e silenziosa che potevo. Il mio tragitto verso est era errabondo: poiché non volevo che il mio odore toccasse il terreno, di tanto in tanto dovevo deviare verso nord o verso sud. Il rampino e la fune vennero impiegati molte volte, dal momento che li usavo per tirare rami a portata di mano, o per lanciarmi da un albero all'altro. I muscoli mi rinfacciavano l'uso eccessivo, ma io li ignorai. Ridendo tra me ogni volta che superavo un punto difficile, mi godevo la pura libertà di spostarmi sopra la terra. Sorridendo, sudai per l'intera mattina. Alla fine sapevo che avrei dovuto dirigermi di nuovo a sud, perché quello era l'unico posto dove un fuggitivo potesse trovare salvezza e asilo. Sitia accoglieva volentieri i rifugiati da Ixia. Il loro governo aveva avuto un rapporto aperto con il Re, commerciando spezie esotiche, telerie e cibarie in cambio di metalli, pietre preziose e carbone. Quando il Comandante Ambrose aveva interrotto i commerci, Ixia aveva perso soprattutto beni di lusso, mentre le risorse di Sitia si erano fatte limitate. La preoccupazione che Sitia cercasse di conquistare il nord per bisogno di risorse si era tuttavia dissolta

quando i geologi siriani avevano scoperto che i loro Monti di Smeraldo, una continuazione delle Montagne dell'Anima settentrionali, erano ricchi di vene metalliche e minerali. Ora, sembrava, Sitia si accontentava di tenere un occhio attento sul nord. Presto la mia arrampicata tra gli alberi intersecò un sentiero molto usato nella foresta. Vidi profondi solchi di carri nella terra battuta. La strada era probabilmente parte della principale via commerciale estovest, che svoltava verso nord per poche miglia e girava attorno al Lago Keyra prima di riprendere la direzione est. Il lago era appena al di là del confine di DM-5. Sistemandomi su un robusto ramo in vista del sentiero, mi appoggiai con la schiena al tronco dell'albero, riposai e consumai il pranzo mentre decidevo dove andare poi. Dopo un po', i tranquillizzanti suoni della foresta mi cullarono fin quasi ad addormentarmi. «Vedi qualcosa?» Una voce maschile sotto di me ruppe il silenzio. Sobbalzai, e abbrancai il ramo per impedirmi di cadere. Mi avevano raggiunta. Raggelai per il brutto colpo. «No. Tutto sgombro» rispose la voce di un altro uomo da una certa distanza. Il suo tono era rude per il dispetto. Non c'era stato abbaiare ad allertarmi; doveva essere l'altra squadra. Ero così preoccupata per i cani che mi ero dimenticata della squadra più piccola. Troppo arrogante, pensai. Meritavo di essere catturata prima. Attesi che mi ordinassero di scendere, ma quelli restarono in silenzio. Guardando in basso, scrutai la foresta, senza tuttavia riuscire a localizzarli. Forse dopotutto non mi avevano visto. Dopo un po' di fruscii, due uomini emersero dal fitto sottobosco. Anche loro indossavano un camuffamento verde e marrone, benché i loro abiti aderenti e la pittura sulla faccia fossero più professionali del mio messo insieme con la colla. «Idea stupida, venire a est. Probabilmente ormai lei è già al confine sud» borbottò al compagno Voce Rude. «Questo è quello che hanno pensato i ragazzi con i cani, anche se i segugi hanno perso la sua pista» ribatté il secondo uomo.

Sorrisi. Avevo superato in astuzia i cani. Quantomeno ero riuscita a far questo. «Non so se capisco la logica di andare a est» commentò Voce Rude. L'altro uomo sospirò. «Non ci si aspetta che tu capisca la logica. Il Capitano ci ha ordinato di andare a est; noi andiamo a est. Sembra pensare che la donna voglia addentrarsi in DM-5. Territorio familiare per lei.» «Bene, e se non torna indietro? Un'altra stupida idea, usare l'assaggiatore» lamentò Voce Rude. «È una criminale.» «Questo non è affar nostro. È un problema di Valek. Sono sicuro che se lei se la svignasse lui se ne occuperebbe.» Mi chiesi se Valek stesse ascoltando. Sapevamo entrambi che non avrebbe avuto bisogno di darmi la caccia: tutto quello che doveva fare era aspettare che la Polvere di Farfalla facesse effetto. Trovai utile la conversazione, soprattutto sapere che non era di pubblico dominio il fatto che ero stata avvelenata. «Andiamo. Abbiamo appuntamento con il Capitano al lago. Oh, e cerca di limitare il rumore. Fai baccano come un alce terrorizzato che galoppa per i boschi» borbottò l'uomo più sveglio. «Oh, già. Come se tu potessi sentirmi sopra i tuoi passi da animale della foresta perfettamente addestrato» rimbeccò Voce Rude. «Era come sentire due cervi che cozzavano l'uno con l'altro.» I due uomini risero e in un batter d'occhio sparirono nel sottobosco, uno su ciascun lato del sentiero. Mi sforzai per sentirli muovere, ma non riuscii a dire se fossero andati via. Attesi finché non riuscii più a sopportare l'inattività. Quegli uomini avevano deciso la mia prossima mossa. Il lago era a est. Arrampicandomi tra gli alberi, mi diressi a sud. Mentre mi facevo strada nel bosco, una strana sensazione strisciante si insinuò nella mia mente. Chissà come mi convinsi che gli uomini che avevo visto sul sentiero mi stessero seguendo, dando la caccia. Un istinto incontrollabile di muovermi in fretta mi premette come una mano robusta dietro la nuca, sospingendomi avanti. Quando non riuscii più a sopportarlo, lasciai perdere tutte le

precauzioni di tenermi nascosta e zitta in disparte. Mi calai a terra e schizzai via. Quando feci irruzione in una piccola radura tra gli alberi mi fermai. La soverchiante sensazione di panico era sparita. Delle fitte mi pungevano i fianchi. Lasciando cadere lo zaino, crollai a terra, ansimando per riprendere fiato. Mi maledissi per quel comportamento da panico sconsiderato. «Bel vestito» disse una voce familiare. Timore e paura mi diedero l'energia per balzare in piedi. Nessuno in vista. Per il momento. Aprii di scatto lo zaino ed estrassi il coltello. Il cuore mi faceva salti mortali nel petto. Girai in lenti circoli esaminando la foresta, in cerca della voce della morte.

Capitolo 15 Una risata mi circondò. «La tua arma non ti servirà a niente. Potrei facilmente convincerti che è nel tuo cuore che vuoi affondare quel coltello, anziché nel mio.» La scorsi dall'altra parte della radura. Vestita di una larga blusa verde mimetico stretta in vita e di calzoni dello stesso colore, la maga del sud stava pigramente addossata a un albero con le braccia conserte, in atteggiamento rilassato. Aspettandomi che i suoi scagnozzi sbucassero dalla foresta per attaccarmi, tenni il coltello levato davanti a me, girando in cerchio. «Rilassati» disse la maga. «Siamo sole.» Smisi di girare, ma mantenni una salda presa sulla mia arma. «Perché dovrei fidarmi di te? L'ultima volta che ci siamo incontrate hai ordinato di uccidermi. Hai perfino fornito quel piccolo, comodo laccio.» Mi balzò alla mente l'improvvisa consapevolezza che lei non avrebbe avuto affatto bisogno dei suoi sicari. Cominciai a recitare mentalmente i nomi dei veleni. La maga rise come qualcuno divertito da un bambino piccolo. «Quello non ti aiuterà. L'unica ragione per cui quel ripetere ha funzionato alla festa, è perché Valek era lì.» Venne più vicino, lo agitai il coltello in un gesto minaccioso. «Yelena, rilassati. Ho proiettato nella tua mente per guidar-ti qui. Se ti avessi voluto morta, ti avrei spinto giù dagli alberi. Gli incidenti sono meno fastidiosi degli omicidi, a Ixia. Un fatto di cui sei ben consapevole.» Ignorai il sarcasmo. «Perché non ho avuto un incidente alla festa? O in un altro momento?» «Mi occorreva essere vicino a te. Richiede un sacco di energia uccidere qualcuno; preferisco usare metodi profani se possibile. La festa è stata la prima volta che sono riuscita ad arrivarti vicina senza Valek nei paraggi, o così pensavo.» Scosse la testa, con frustrazione. «Perché non hai ucciso Valek con la tua magia alla festa?»

domandai. «Allora sarei stata una preda facile.» «La magia non funziona su Valek. Lui è resistente ai suoi effetti.» Prima che potessi chiedere ulteriori informazioni, la maga si affrettò a continuare. «Non ho tempo di spiegare ogni cosa. Valek sarà presto qui, così la farò breve. Yelena, sono qui per farti un'offerta.» Ricordai l'ultima offerta fattami, diventare l'assaggiatore o venire giustiziata. «Che cosa mai potresti offrirmi? Ho un lavoro, uniformi con colori coordinati, e un capo per cui morire. Di cos'altro potrei aver bisogno?» «Asilo a Sitia» rispose lei, in tono serrato. «Così potrai imparare a controllare e usare il tuo potere.» «Potere?» La parola mi squittì dalla bocca prima che potessi fermarla. «Quale potere?» «Oh, andiamo! Come potresti non saperlo? L'hai usato almeno due volte al castello.» La mia mente turbinava. La maga stava parlando del mio istinto di sopravvivenza. Quello strano ronzio che mi possedeva ogni volta che la mia vita era in serio pericolo. Avevo il corpo intorpidito dal terrore. Mi sentivo come se mi avesse appena detto che avevo una malattia terminale. «Stavo lavorando sotto copertura nei paraggi quando sono stata sopraffatta dal tuo potere urlante, crudo. Una volta riuscita a restringerne la sorgente all'assaggiatore del Comandante Ambrose, ho capito che una spedizione di salvataggio per portarti a sud sarebbe stata impossibile. O tu sei insieme a Valek, o lui ti sta un passo dietro. Anche adesso, sto correndo un rischio eccezionale. Ma è troppo pericoloso avere un mago non addestrato nel nord. È sorprendente che tu sia durata così a lungo senza essere scoperta. L'unica scelta che restava era eliminarti. Un'impresa che si è dimostrata più difficile di quanto io avessi immaginato sulle prime. Ma non impossibile.» «E adesso io dovrei crederti? Pensi che ti seguirei mitemente a Sitia come un agnello al macello?»

«Yelena, se tu non stessi facendo il fuggitivo, il che ti ha portato fuori dal castello e lontana da Valek, a quest'ora saresti morta.» Non ero certa di crederle. Che cosa ci avrebbe guadagnato dall'aiutarmi? Perché affrontare tutti quegli sforzi se aveva il potere di uccidermi? Doveva motivarla qualcos'altro. «Tu non mi credi.» Grugnì di frustrazione. «D'accordo, che ne dici di una piccola dimostrazione?» Inclinò la testa di lato e strinse le labbra. Un dolore pungente, bruciante, mi sferzò la mente come un lampo. Coprendomi la testa con le mani e le braccia, cercai invano di bloccare l'assalto. Poi una forza delle dimensioni di un pugno mi colpì sulla fronte. Caddi all' indietro e piombai a terra. Distesa sulla schiena, sentii il dolore scomparire rapidamente com'era arrivato. Con la vista annebbiata dalle lacrime, strinsi gli occhi per guardare la maga. Era ancora ritta sul limitare della radura. Non mi aveva toccato, quantomeno non fisicamente. Il peso della sua connessione mentale gravava come una cappa di lana che mi avvolgesse il cranio. «Che accidenti era, questo?» domandai. «Che ne è del tuo canto?» Ero stordita dal suo attacco, l'aria dentro il mio corpo come se si fosse liquefatta, e quando mi misi a sedere l'atmosfera densa turbinò e mi lambì la pelle. «Alla festa ho cantato perché stavo cercando di essere gentile. Questo era un tentativo per convincerti che se ti volessi morta, non starei a sprecare il mio tempo a parlare con te adesso. E certamente non aspetterei che tu fossi a Sitia.» Inclinò il capo come se ascoltasse un'invisibile persona che le sussurrasse all'orecchio. «Valek ha lasciato perdere ogni pretesa di segretezza. Sta viaggiando veloce. Due uomini lo inseguono, anche se credono di stare dando la caccia a te.» Fece una pausa e la sua bocca si dispose di nuovo in una linea dura mentre si concentrava. «Posso rallentare gli uomini, ma non Valek.» Focalizzò il suo sguardo distante su di me. «Verrai con me?» Non riuscii a parlare. Il pensiero che la sua idea di gentilezza fosse cantare per qualcuno un incantesimo di morte mi aveva lasciato molto turbata. La fissai con totale sbalordimento.

«No.» Dovetti forzare la parola a uscire dalle mie labbra. «Che cosa?» Non era la risposta che si era aspettata. «Ti piace fare l'assaggiatrice?» «No, per niente, ma morirò se vengo con te.» «Morirai se resti.» «Correrò i miei rischi.» Mi alzai, mi spazzolai con la mano la polvere dalle gambe e recuperai il coltello. L'ultima cosa che volevo fare era spiegare alla maga del veleno nel mio sangue. Perché darle un'altra arma che poteva essere usata contro di me? Ma con il suo legame mentale con me, ebbi solo da pensare a Polvere di Farfalla e lei seppe. «Ci sono antidoti» disse. «Puoi trovarne uno prima di domattina?» domandai. Lei scosse la testa. «No. Ci occorrerebbe più tempo. I nostri guaritori avrebbero bisogno di sapere dove si nasconde il veleno. Potrebbe essere nel tuo sangue, o nei muscoli, o da qualsiasi altra parte, e dovrebbero sapere come uccide per poterlo eliminare.» Quando vide la mia totale mancanza di comprensione, la maga continuò: «La fonte del nostro potere - quello che voi chiamate magia - è come una coltre che circonda il mondo. Le nostre menti attingono a questa fonte, traendone un filo sottile per aumentare le nostre capacità magiche, per attivarle. Tutte le persone hanno la capacità latente di leggere la mente e influenzare il mondo fisico senza toccarlo, ma non hanno l'abilità di connettersi alla fonte di energia». Sospirò con aria infelice. «Yelena. non possiamo lasciare che il tuo potere grezzo divampi incontrollato. Senza saperlo, tu stai assorbendo energia. Invece di un filo, ne stai attirando interi settori e serrando la coperta di energia attorno a te. Con il passare del tempo, avrai ammassato così tanta energia che esploderà o divamperà. Questa deflagrazione non solo ucciderà te, ma deformerà e danneggerà la fonte stessa di energia, lacerando la coltre. Non possiamo rischiare una deflagrazione e presto tu non sarai più addestrabile. Ecco perché non abbiamo altra scelta che eliminarti prima che tu raggiunga quel punto.»

«Quanto tempo ho?» chiesi. «Un anno soltanto. Forse un po' di più se riesci a controllarti. Dopodiché sarai al di là della nostra capacità di aiutarti. E noi abbiamo bisogno di te, Yelena. I maghi potenti sono rari a Sitia.» La mia mente galoppava tra le alternative. La dimostrazione di potere della maga mi aveva convinto che lei era una minaccia maggiore di quanto avessi mai immaginato e che sarei stata un'idiota totale anche solo a fidarmi di lei. Tuttavia, se non accettavo di seguirla, mi avrebbe uccisa lì dove stavo. Così differii l'inevitabile. «Dammi un anno. Un anno per trovare un antidoto permanente, per trovare un modo per fuggire a Sitia. Un anno libera dalla preoccupazione che tu stia tramando la mia morte.» Lei mi fissò nel profondo degli occhi. Il suo tocco mentale premette più forte nella mia mente mentre la donna cercava un segno della mia intenzione di ingannarla. «D'accordo. Un anno. Hai la mia parola.» S'interruppe. «Vai avanti» dissi. «So che vuoi concludere quest'incontro con qualche sorta di minaccia. Forse un cupo ammonimento? Sentiti libera di farlo. Ci sono abituata. Non saprei come affrontare una conversazione che non ne includesse uno.» «Fai tanto la coraggiosa. Ma io so che se facessi un altro passo verso di te, ti bagneresti i calzoni.» «Col tuo sangue.» Brandii il coltello. Ma non riuscii a tenere una faccia seria: la vanteria suonava esagerata perfino alle mie stesse orecchie. Ridacchiai. Lei rise. L'allentarsi della tensione mi diede le vertigini, e presto stavo ridendo e piangendo. Poi la maga si fece seria. Inclinando di nuovo la testa, ascoltò il suo invisibile compagno. «Valek è vicino. Devo andare.» «Dimmi ancora una cosa.» «Che cosa?» «Come hai saputo che sarei stata io il fuggitivo? Magia?» «No. Ho fonti d'informazione che non posso rivelare.»

Annuii, accennando di aver compreso. Chiedere dettagli era valso il tentativo. «Sta' attenta, Yelena» disse, svanendo nella foresta. Mi resi conto che non conoscevo neppure il suo nome. «Irys» mi bisbigliò nella mente, e poi il suo tocco mentale si ritirò. Mentre pensavo a tutte le cose che mi aveva raccontato, mi resi conto di avere molte altre domande da porle, tutte più importanti di chi fosse stato a far trapelare l'informazione. Sapendo che se n'era andata, tuttavia, soffocai il desiderio di richiamarla indietro. Invece mi lasciai cadere sul terreno. Con tutto il corpo tremante, riposi il coltello nello zaino. Estrassi la bottiglia d'acqua e presi un lungo sorso, rimpiangendo che il contenitore non fosse riempito con qualcosa di più forte. Qualcosa che mi bruciasse la gola andando giù. Qualcosa su cui concentrarsi oltre alla frammentata e smarrita emozione che minacciava di consumarmi. Avevo bisogno di tempo per pensare prima che Valek e i due uomini mi raggiungessero. Tirando fuori la fune e il rampino, cercai ancora una volta un albero adatto e penetrai nuovamente la volta della foresta. Spostandomi a sud, lasciai che lo sforzo fisico di arrampicare tenesse impegnato il mio corpo mentre esaminavo tutte le informazioni che la maga mi aveva fornito. Quando raggiunsi un altro sentiero nella foresta, trovai una posizione comoda sul ramo di un albero in vista della pista. Mi assicurai al tronco con la fune. La maga mi aveva promesso un anno, ma non volevo indurla in tentazione con un facile bersaglio. Poteva cambiare idea; dopotutto, che ne sapevo io dei maghi e delle loro promesse? Affermava che io avevo un potere. Un potere magico a cui avevo sempre pensato come al mio istinto di sopravvivenza. Quando mi ero trovata in quelle tremende situazioni, mi ero sentita posseduta, in effetti. Come se qualcun altro più capace di affrontare la crisi prendesse temporaneo controllo del mio corpo, mi salvasse dalla morte e poi se ne andasse.

Lo strano suono ronzante, che mi erompeva di gola e mi salvava la vita, poteva davvero essere la stessa cosa del potere di Irys? Se sì, dovevo tenere segreta la mia magia. E dovevo acquisire un certo controllo del potere per impedirgli di deflagrare. Ma come? Evitando situazioni pericolose per la mia vita. Mi schernii all'idea di evitare guai. I guai sembravano trovarmi malgrado i miei sforzi. Orfana. Torturata. Avvelenata. Maledetta con la magia. La lista si allungava di giorno in giorno. Non avevo il tempo di risolvere quelle complesse questioni che giravano senza fine nella mia mente. Concentrando i pensieri sul presente, studiai la pista sotto di me. Giovani alberelli minacciavano di riprendersi l'angusto sentiero boschivo; doveva essere stata una delle strade ora abbandonate usate un tempo per commerciare con Sitia. Attesi Valek. Avrebbe chiesto spiegazioni sul mio incontro con la maga, e io ero pronta a darne una. L'unico preavviso dell'arrivo di Valek fu un lieve fruscio del ramo sopra il mio. Guardai su e lo vidi srotolarsi dal ramo superiore come un serpente. Si lasciò cadere senza far rumore accanto a me. Il mimetico verde sembrava essere la scelta del giorno in quanto ad abbigliamento. Quello di Valek era aderente a pelle e fornito di cappuccio per coprirgli i capelli e il collo. Pittura marrone e verde gli striava il viso, facendo spiccare in deciso contrasto l'azzurro cupo dei suoi occhi. Abbassai lo sguardo sul mio abbigliamento cencioso. Alcune foglie si erano strappate ai bordi, e la mia uniforme aveva patito parecchi strappi dalla scalata sugli alberi. La prossima volta che avessi progettato di scapparmene nei boschi, avrei convinto Dilana a cucirmi un completo come quello di Valek. «Sei incredibile» disse Valek. «In bene o in male?» «In bene. Supponevo che avresti offerto un bell'inseguimento ai soldati, e l'hai fatto. Ma non mi sono mai aspettato questo.» Valek additò la mia camicia coperta di foglie e spalancò le braccia, indicando gli alberi. «E colmo dei colmi, hai incontrato la maga e

chissà come sei riuscita a sopravvivere.» Il sarcasmo sfumava la voce di Valek durante l'ultimo commento. Il suo modo di chiedere spiegazioni, immaginai. «Non so che cosa sia successo esattamente. Mi sono trovata a correre come una pazza tra i boschi finché non ho raggiunto una radura, dove lei mi stava aspettando. L'unica cosa che mi ha detto è che avevo rovinato i suoi piani uccidendo Reyad, e poi il dolore mi ha aggredito il cranio.» Il ricordo del suo assalto era ancora fresco nella mia mente, così permisi a tutto l'orrore di quella cosa di mostrarsi sul mio viso. Se mai Valek avesse sospettato ciò che era realmente accaduto, non sarei sopravvissuta per l'anno che la maga mi aveva concesso. E menzionare il nome di Reyad sosteneva una delle teorie di Valek sul perché la maga mi stesse dietro. Presi un profondo respiro. «Ho cominciato a recitare i nomi dei veleni. Ho cercato di spingere via il dolore. Poi l'attacco è cessato, e lei ha detto che tu stavi arrivando troppo vicino. Quando ho riaperto gli occhi era scomparsa.» «Perché non mi hai aspettato nella radura?» «Non sapevo dove fosse andata lei. Mi sentivo più sicura sugli alberi, sapendo che saresti stato in grado di trovarmi.» Valek meditò la mia spiegazione, lo celai il mio nervosismo frugando nello zaino. Dopo un bel po', lui sogghignò. «Abbiamo senz'altro provato che il Comandante aveva torto. Pensava che saresti stata catturata entro metà mattina.» Sorrisi di sollievo. Approfittando del suo buonumore, domandai: «Perché il Comandante odia tanto i maghi?». L'espressione compiaciuta svanì di colpo dal viso di Valek. «Ha molte ragioni. Erano i complici del Re. Aberrazioni di natura, che usavano i propri poteri per motivazioni puramente egoistiche e avide. Ammassavano beni e gioielli, curando gli ammalati solo se la famiglia del morente poteva pagare il loro onorario esorbitante. I maghi del Re operavano trucchi mentali con chiunque, deliziandosi di creare scompiglio. Il Comandante non vuole aver niente a che fare con loro.»

Curiosa, incalzai. «E se li usasse per i suoi scopi?» «Ritiene che dei maghi non ci sia da fidarsi, ma su questo io sono incerto tra due opposti pensieri» rispose Valek. Scrutò oltre, verso il terreno della foresta, mentre parlava. «Capisco la preoccupazione del Comandante; uccidere tutti i maghi del Re era una buona strategia, ma penso che la giovane generazione nata coi poteri potrebbe essere reclutata per la nostra rete di servizi informativi. Siamo in disaccordo su questo punto, e malgrado le mie argomentazioni il Comandante ha...» Valek s'interruppe. Sembrava riluttante a continuare. «Ha che cosa?» «Ordinato che chi nasce con il sia pur minimo grado di potere magico sia ucciso immediatamente.» Avevo saputo dell'esecuzione delle spie del sud e dei maghi dell'epoca del Re, ma immaginare che dei neonati fossero strappati dalle braccia delle loro madri mi fece trattenere il respiro per l'orrore. «Quei poveri bambini.» «È una cosa brutale, e tuttavia non così brutale» disse Valek. La tristezza gli aveva addolcito gli occhi. «La capacità di connettersi alla fonte di energia non si crea se non dopo la pubertà, che è attorno ai sedici anni di età. Di solito occorre un altro anno perché qualcun altro oltre alla loro famiglia li noti e faccia rapporto. Poi, o scappano a Sitia, oppure li trovo io.» Le sue parole ebbero il peso di una trave di legno che mi si appoggiasse sulle spalle. Trovavo difficile respirare. Sedici anni era quando Brazell mi aveva reclutato. Quando il mio istinto di sopravvivenza aveva iniziato a dispiegarsi, difendendomi contro le torture di Brazell e di Reyad. Avevano cercato di mettere alla prova i miei poteri magici? Ma perché non mi avevano denunciata? Perché Valek non era venuto? Non avevo idea di cosa volesse Brazell. E sapere ora del mio potere non faceva che aggiungere alla lista un altro modo in cui potevo morire. Se Valek scopriva la mia magia, ero morta. Se non trovavo un modo per andare a Sitia, ero morta. Se qualcuno avvelenava il cibo del Comandante, ero morta. Se Brazell costruiva

la sua fabbrica e poi cercava vendetta per suo figlio, ero morta. Morta, morta, morta e morta. La morte per opera di Polvere di Farfalla cominciava a sembrare attraente. Era l'unico scenario in cui avrei potuto scegliere quando, dove e come morire. Sarei sprofondata in un abissale, meditabondo accesso di autocommiserazione, se Valek non mi avesse afferrato il braccio appoggiandosi un dito sulle labbra verdi. Un lontano rumore di zoccoli e di uomini che parlavano mi raggiunse le orecchie. Il mio primo pensiero fu che fosse un'illusione mandata dalla maga, ma ben presto vidi dei muli che trainavano carri. La larghezza dei carri riempiva l'intero sentiero, alberelli e cespugli schioccavano contro le ruote. Due muli tiravano ogni carro, e un uomo vestito dell'uniforme marrone dei commercianti li guidava. C'erano sei carri e sei uomini che conversavano tra loro mentre viaggiavano. Dalla mia postazione sull'albero, potei vedere che i primi cinque veicoli erano carichi di sacchi di tela da imballaggio che potevano essere riempiti di granaglie o farina. L'ultimo conteneva strani baccelli gialli di forma ovale. La Foresta del Serpente brulicava di attività quel giorno, pensai meravigliata. Tutto quel che ci mancava era che i danzatori del fuoco balzassero fuori dagli alberi per intrattenerci tutti quanti. Valek e io sedemmo silenziosi sul nostro albero mentre gli uomini passavano sotto di noi. Avevano le uniformi zuppe di sudore, e notai che alcuni di loro si erano arrotolati i calzoni per non inciampare. La cintura di un uomo era allacciata stretta, così che la stoffa di troppo gli si stringeva attorno alla vita, mentre il ventre di un altro minacciava di straripare dai bottoni. Quei poveri commercianti evidentemente non avevano una residenza fissa. Altrimenti la loro cucitrice non avrebbe mai permesso che se ne andassero in giro conciati così. Quando furono fuori vista e fuori portata d'udito, Valek bisbigliò: «Non muoverti, torno subito». Si lasciò cadere a terra e seguì la carovana. lo mi agitai sul mio ramo, chiedendomi se gli altri due uomini che

secondo Irys stavano seguendo Valek mi avrebbero trovata prima che lui tornasse. Il sole stava scomparendo a ovest, e aria più fresca stava sostituendo la calura del giorno. I muscoli rigidi per l'inattività mi pulsavano mentre l'energia rimanente svaniva. La faticosa giornata ad arrampicarmi faceva sentire il suo effetto su di me. Per la prima volta la possibilità di trascorrere una notte da sola nella foresta mi rese ansiosa; non avevo mai immaginato di restare libera così a lungo. Alla fine Valek ritornò e mi fece cenno di scendere dall'albero. Mi mossi con cautela, pasticciando con la fune attorno alla vita mentre i miei muscoli maltrattati tremavano di stanchezza. Portava un piccolo sacco, che mi porse. Dentro c'erano cinque dei baccelli gialli che erano ammassati nell'ultimo carro. Ne tirai fuori uno. Ora che potevo vederlo da vicino, notai che era ovale, allungato, lungo circa otto pollici, con una decina di scanalature che andavano da un'estremità all'altra. Era più spesso al centro. Con due mani avvolte attorno alla sezione mediana, le mie dita si sfioravano appena. Ero stupita dell'abilità di Valek a rubarli alla luce del giorno da un carro in movimento. «Come li hai avuti?» «Segreto commerciale» rispose Valek sogghignando. «Prendere i baccelli è stato facile, ma ho dovuto aspettare che gli uomini abbeverassero i muli per guardare nei sacchi di tela.» Quando feci scivolare il baccello di nuovo dentro con gli altri, vidi che in fondo al sacchetto c'era un mucchietto di sassolini marrone scuro. Introducendo più in fondo la mano, ne estrassi una manciata nella luce che ormai scompariva. Sembravano fave. «Che cosa sono?» domandai. «Vengono dai sacchi» spiegò lui. «Voglio che tu li porti al Comandante Ambrose. Digli che non so che cosa siano né da dove vengano, e che sto seguendo la carovana per vedere dov'è diretta.» «Stanno facendo qualcosa d'illegale?» «Non ne sono sicuro. Se questi baccelli e questi fagioli vengono da Sitia, allora sì. È illegale commerciare con il sud. Ma una cosa la so: quegli uomini non sono commercianti.»

Stavo per domandargli come lo sapesse, quando la risposta si accese nella mia mente. «Le loro uniformi non erano di misura. Forse prese in prestito? O rubate?» «Molto probabilmente rubate. Se intendessi prendere a prestito un'uniforme, si suppone che ne cercheresti una che vada bene.» Valek fu silenzioso per un momento, ascoltando i suoni della foresta. Potevo sentire il ronzio degli insetti farsi più forte mentre il sole tramontava. «Yelena, voglio che trovi quei due uomini che hai visto questo pomeriggio e che ti faccia scortare da loro al castello. Non voglio che tu sia sola. Se la maga progetta di aggredirti di nuovo, dovrà vedersela con due persone in più, e dubito che ne avrà l'energia. Non dire a nessuno che hai viaggiato sugli alberi, e non parlare della maga e della carovana. Ma fai un rapporto completo di ogni cosa al Comandante.» «E il mio antidoto?» «Il Comandante ne ha una scorta a portata di mano. Te lo darà lui. E non preoccuparti del tuo incentivo. Ti sei guadagnata ogni centesimo. Quando torno, mi assicurerò che tu l'ottenga. Adesso, ho bisogno di continuare a muovermi o passerò il resto della notte a cercare di raggiungere la carovana.» «Valek, aspetta» domandai. Per la seconda volta quel giorno, qualcuno voleva sparire prima di spiegarmi ogni cosa con mia soddisfazione, e cominciavo ad averne abbastanza. Lui si fermò. «Come trovo gli altri?» Senza il sole, il mio senso dell'orientamento veniva meno. Non ero sicura di saper trovare da sola la strada a ritroso per la radura, e ancor meno per il castello. «Segui semplicemente questo sentiero.» Indicò nella direzione da cui i carri erano venuti. «Sono riuscito a seminarli prima di raggiungerti. I soldati si dirigevano a sudest; probabilmente stanno delimitando questa pista. Tecnicamente, è la strategia migliore.» Valek corse via lungo il sentiero. Lo guardai che si allontanava. Si muoveva con la grazia leggera e la velocità di un cervo, i muscoli che si contraevano sotto la tuta mimetica aderente.

Quando fu fuori vista, pestai i piedi sulle pietre sconnesse della carrareccia, facendo rumore. Il crepuscolo privava gli alberi di colore mentre scendeva la tenebra. Mi colse un senso di inquietudine. Ogni fruscio mi faceva sobbalzare, e mi scoprii a sbirciare da sopra la spalla, sperando che Valek fosse lì. Un urlo trapassò l'aria. Prima che potessi reagire, una forma massiccia si scagliò su di me, placcandomi a terra.

Capitolo 16 «Beccata!» disse l'uomo seduto sopra di me. Anche con la faccia premuta sulle pietre e la bocca piena di terra riconobbi la sua voce rude, avendola già sentita durante la giornata. Mi strattonò le braccia dietro la schiena e sentii il morso del metallo freddo sui polsi mentre udivo tintinnare e scattare le manette. «Non è un po' troppo, Janco?» chiese il suo compagno. Janco si alzò, e fui tirata in piedi. Nella semioscurità, vidi che l'uomo che mi teneva era magro, con una barbetta a punta. Portava i capelli scuri sfumati nel tipico stile militare, e una spessa cicatrice gli correva dalla tempia destra fino all'orecchio, la cui metà inferiore non c'era più. «È stata dannatamente dura da trovare. Non voglio che se la squagli» borbottò Janco. Il suo compagno era pressoché della stessa altezza, ma due volte più grosso. Spessi muscoli scolpiti sporgevano dall'uniforme mimetica. Riccioletti bagnati gli aderivano alla testa, e da quella distanza i suoi occhi sembravano incolori, fatta eccezione per il nero delle pupille. Volevo fuggire. Era praticamente buio; ero incatenata e sola con due uomini estranei. Logicamente, sapevo che erano soldati del Comandante, e loro erano professionisti, il che tuttavia non impediva al mio cuore di battere freneticamente. «Ci hai fatto fare brutta figura» disse Janco. «Ogni soldato qui fuori verrà probabilmente rassegnato. Finiremo tutti a pulire latrine per colpa tua.» «Basta così, Janco» disse Occhi Incolori. «Noi non finiremo a lavare pavimenti. Noi l'abbiamo trovata. E da' un'occhiata a quella truccatura. Nessuno si aspettava che si camuffasse, ecco perché è stato così difficile trovarla. Il Capitano si cagherà sotto quando la vedrà, puoi scommetterci!» «E il Capitano è indietro, al castello?» domandai, cercando di

indirizzarli in quel senso. «No. Sta guidando un'altra squadra verso sudovest. Dovremo fare rapporto a lui.» Sospirai all'idea di quella dilazione. Avevo sperato in un rapido viaggio di ritorno. «Che ne dici di mandare Janco, qui, a trovare il Capitano, mentre noi ci dirigiamo al castello?» «Spiacente, non ci è permesso dividerci. Abbiamo istruzioni di viaggiare in coppia, senza eccezioni.» «Uhm...» cominciò Janco. «Yelena» gli venni in soccorso. «Perché sei così impaziente di tornare indietro?» mi domandò. «Ho paura del buio.» Occhi Incolori rise. «Chissà perché, ne dubito. Janco, toglile le manette. Non scapperà. Non è questo lo scopo dell'esercitazione.» Janco esitò. «Hai la mia parola, Janco» promisi io. «Non scapperò se mi togli le manette». Lui borbottò ancora qualcosa, ma sganciò i ferri. Mi pulii la terra dalla faccia. «Grazie.» Lui annuì, poi indicò il compagno. «Lui è Ardenus.» «Ari, per abbreviare.» Ari tese la mano, facendomi così un grande onore perché significava che mi riconosceva come sua pari. Io la strinsi gravemente, e poi tutti e tre ci dirigemmo a sudovest per trovare il loro Capitano. Il viaggio di ritorno al castello fu quasi comico. Quasi. Se i miei muscoli rigidi e doloranti non avessero protestato a ogni passo, e se il dolore del puro sfinimento non mi avesse oppresso come una cappa di macigni, avrei potuto divertirmi. Il Capitano di Janco e Ari si alterò e andò in smanie quando lo raggiungemmo. «Bene, bene, bene. Guarda un po' che cosa hanno trovato finalmente i nostri due carucci» esclamò. Si chiamava Parffet,

e la sua testa calva era imperlata di gocce di sudore che gli rotolavano giù per i lati della faccia, inzuppandogli il colletto. Era anziano per essere soltanto un Capitano, e mi chiesi se il suo carattere acido fosse il motivo della mancata promozione. «Si ritiene che io abbia i migliori battitori della guardia del Comandante Ambrose» urlò Parffet contro Ari e Janco. «Forse potete illuminarci su quale procedura avete seguito, visto che vi ci sono volute oltre diciassette ore per trovare la cagna!» Parffet continuò il suo sfogo verbale. Perfino nel buio potei vedere la sua faccia diventare paonazza. Lo ignorai e studiai la sua unità. Un paio di facce sogghignavano scioccamente, concordando con il Capitano; alcuni erano rassegnati, come se fossero abituati alle sue paturnie; altri avevano espressioni annoiate e stanche. Un uomo, che si era rasato tutta la testa tranne la frangia, mi fissò con un'intensità che mi mise a disagio. Quando lo guardai negli occhi, spostò lo sguardo verso il Capitano. «Nix, ammanetta la cagna» ordinò Parffet, e l'uomo con la frangia si sganciò le manette dal cinturone. «Vedo che le nostre due primedonne non si sono scomodate a seguire le procedure standard di questa unità.» Mentre Nix si avvicinava, cercai l'occasione di svignarmela. La mia promessa a Janco si estendeva soltanto a un viaggio di ritorno a mani libere verso il castello. Ari, però, intuendo la mia propensione mentale, mi posò la grossa mano sulla spalla, ancorandomi al suo fianco. «Abbiamo la sua parola che non scapperà, signore» disse a mia difesa. «Come se significasse qualcosa.» Parffet sputò a terra. «Ha dato la sua parola d'onore» ripeté Ari. Un basso rombo nella sua voce mi ricordò un enorme cane che ringhiasse un avvertimento. A malincuore Parffet permise che si modificasse la procedura, ma sfogò il cattivo umore ramazzando in formazione il resto dei soldati e iniziando una rapida marcia di ritorno verso il castello. lo camminavo incuneata tra Ari e Janco come una specie di prezioso trofeo. Ari spiegò che il Capitano non prendeva bene le

sorprese, e che era rimasto frustrato dalla mia scappatella di un'intera giornata nella foresta. «Il fatto che ti abbiamo trovata noi non aiuta. Non ci ha promosso lui nella sua unità, come gli altri. Ci ha assegnati Valek» spiegò Janco. L'umore di Parffet si fece ancor più nero quando la squadra con i cani raggiunse il nostro corteo. Scoppiò il caos quando le bestiacce abbaianti e le guardie si mescolarono. Sperimentai un momento di panico quando i cani mi si avventarono contro. Come si scoprì subito dopo, in realtà volevano darmi il benvenuto scodinzolando e lambendomi con la lingua. La loro pura gioia fu contagiosa. Sorrisi e grattai loro le orecchie, smettendo solo quando Parffet si accigliò e si mise a urlare per avere ordine. I cani non portavano collare. Il responsabile degli allevamenti, Porter, faceva parte della squadra di ricerca, e i cani si raggrupparono al suo comando, seguendo i suoi ordini impeccabilmente. La comandante della squadra con i cani parve contrariata che gli animali di Porter non mi avessero trovata per primi, ma la prese con più grazia del Capitano di Ari. La donna si presentò come Capitano Etta e proseguì accanto a me ponendo domande sulla mia fuga. Mi piacquero i suoi modi calmi, rispettosi. La sua zazzera di capelli biondo scuro era ai limiti delle regole militaresche. Mi attenni alla verità più che potei durante la nostra conversazione. Quando si giunse alle domande su dove la mia traccia era sparita, mentii. Spiegai di aver camminato per un po' dentro l'acqua in direzione nord prima di dirigermi a est. Etta scosse il capo. «Eravamo convinti che ti saresti diretta a sud. Parffet aveva ragione a guardare a est.» «La mia destinazione finale in effetti era il sud, ma volevo provare a confondere i cani prima di deviare.» «Ci sei riuscita. Il Comandante non ne sarà affatto contento. Buona cosa che Ari e Janco ti abbiano trovata. Fossi rimasta fuori fino al mattino, entrambe le squadre sarebbero state degradate.» Le ultime due miglia fino al castello furono qualcosa d'indistinto.

Usando ogni oncia delle mie forze vacillanti per continuare a muovere i piedi, concentrai tutta l'energia a tenere il passo con i soldati. Quando ci fermammo, mi ci volle un momento per rendermi conto che eravamo entrati nel cortile del castello. Mezzanotte era passata da un pezzo. Il rumore del nostro arrivo echeggiò amplificandosi dalle silenziose mura di pietra. I cani seguirono Porter ai canili mentre l'esausto corteo di soldati si trascinava su per i gradini verso l'ufficio del Comandante. Terminammo la nostra marcia tra le scrivanie vuote della sala dei trono. Luce di lanterna ardeva dalla porta aperta dell'ufficio del Comandante. I due soldati che stavano di guardia assunsero espressioni divertite, ma restarono fermi e zitti. Parffet ed Etta si scambiarono uno sguardo rassegnato prima di entrare a fare rapporto al Comandante, lo trovai una sedia e vi crollai, accettando il rischio di poter avere difficoltà a rimettermi in piedi. Presto i Capitani furono di ritorno. La faccia di Parffet era corrugata in un cupo cipiglio; quella di Etta non mostrava alcuna emozione. Congedarono le loro unità, lo stavo chiamando a raccolta le energie per alzarmi, quando Etta si avvicinò e mi aiutò a mettermi in piedi. «Grazie» dissi. «Il Comandante aspetta il tuo rapporto.» Annuii. Etta se ne andò a raggiungere la sua unità, e io mi diressi verso l'ufficio. Esitai sulla soglia; mi ero abituata alla penombra della sala del trono, e la luce della lanterna mi ferì gli occhi. «Entra» ordinò il Comandante Ambrose. Restai in piedi davanti al suo scrittoio. Lui sedeva immobile e impassibile come sempre, il viso liscio ed etereo privo di rughe. Un pensiero vagabondo mi stuzzicò la mente, e mi domandai la sua età. Fili grigi gli chiazzavano i corti capelli. Il suo rango di per sé suggeriva un uomo più anziano, tuttavia la corporatura snella e il viso giovanile mi fecero supporre che fosse vicino alla quarantina. Circa sette anni più vecchio di Valek, se la mia stima dell'età del maestro di veleni era esatta.

«Riferisci.» Descrissi le mie azioni della giornata in dettaglio, includendo il fatto di essermi lanciata da un albero all'altro e di aver incontrato la maga. Dando la medesima versione del mio incontro con la donna del sud che avevo raccontato a Valek, conclusi il rapporto citando la carovana e gli ordini di Valek che tornassi indietro. Attesi le domande del Comandante. «Così Ari e Janco non ti hanno catturata?» domandò. «No. Però sono gli unici che siano almeno venuti vicino. Sono passati proprio sotto un albero su cui mi nascondevo, ed erano abbastanza esperti da seguire le tracce di Valek per un po'.» Il Comandante si immobilizzò per un momento. I suoi occhi dorati guardarono oltre la mia figura mentre assorbiva l'informazione. «Dove sono gli articoli che Valek ha procurato?» Aprii lo zaino e posai sulla scrivania i baccelli e le fave. Lui raccolse un baccello giallo e se lo rigirò tra le mani prima di posarlo di nuovo. Presa una manciata di fave le soppesò, calcolandone il peso e la struttura. Dopo averne annusata una, la spezzò a metà. L'interno era tanto poco rivelatore quanto l'esterno. «Non sono originari di Ixia. Devono venire da Sitia. Yelena, portali con te e fa' qualche ricerca. Scopri che cosa sono e dove crescono.» «lo?» Sbalordita, mi ero aspettata di mollarli lì al Comandante e dimenticarmene. «Sì. Valek continua a ricordarmi di non sottovalutarti, e ancora una volta hai dato prova di te stessa. Il Generale Brazell ti ha dato una buona istruzione. Detesterei vederla andare sprecata.» Avrei voluto ribattere, ma fui bruscamente congedata. Sospirando, trascinai il mio corpo riluttante ai bagni. Sfilandomi faticosamente gli abiti coperti di foglie, mi lavai il fango dalla faccia e dal collo prima di immergermi in una vasca fumante. Là mi crogiolai nel calore, stirando i muscoli doloranti sotto l'acqua bollente per ammorbidirli. Sperando di far sciogliere un po' della colla dai capelli, immersi la testa all'indietro, mi sciolsi la

crocchia e lasciai fluttuare sulla superficie dell'acqua le lunghe ciocche nere. Il dolce rumore dello sciacquio mi cullò. All'improvviso, mani robuste mi afferrarono le spalle. Mi svegliai di colpo sott'acqua. Il liquido mi riempì la bocca e il naso. Spinsi via le mani, nel panico, ed esse lasciarono la presa per un secondo. Cominciai a sprofondare. D'istinto afferrai le braccia dello sconosciuto assalitore. Prima che potessi maledire la mia stupidità, fui estratta dalla vasca e lasciata cadere sul pavimento freddo. Balzai in piedi per fronteggiare il prossimo assalto. Ma ecco lì Margg con un'espressione disgustata inchiodata sulla faccia larga. L'acqua le gocciolava dalle mani e le aveva inzuppato le maniche. Rabbrividii e mi scostai le ciocche di capelli bagnati dal viso. «Che accidenti pensavi di fare?» urlai. «Salvare la tua inutile vita» rispose lei sprezzante. «Che cosa?» «Non preoccuparti. Non ho provato piacere a farlo. Mi sarei rallegrata di vederti annegare, così finalmente sarebbe stata fatta giustizia! Ma il Comandante mi ha ordinato di trovarti e vedere di che cosa avessi bisogno.» Margg afferrò un asciugatoio dal tavolo e me lo lanciò. «Puoi anche aver indotto il Comandante e Valek a pensare che sei sveglia, ma quanto puoi essere sveglia per addormentarti in una vasca piena d'acqua?» Cercai di pensare a una rispostaccia, ricordando il consiglio di Dilana di essere cattiva a mia volta. Niente. Mi sentivo il cervello sommerso dalla stanchezza. L'idea che la governante mi avesse appena salvato la vita continuava a sbatacchiarmi nella testa. Era un concetto talmente estraneo, che non riuscivo a trovare un posto adatto dove ancorarlo. Margg sbuffò, trasudando odio. «Ho eseguito i miei ordini. Qualcuno potrebbe perfino essere d'accordo che salvarti fosse al di là di ciò che il dovere richiedesse. Dunque non dimenticarlo, sorcio.» Girò su se stessa per andarsene. Le sottane le si avvolsero attorno alle gambe, e Margg inciampò oltrepassando la porta. Un'uscita teatrale mancata, pensai asciugandomi nel telo.

Non provavo alcuna gratitudine nei confronti di Margg per avermi salvato la vita... sempre ammesso che fosse quello che aveva fatto. Poteva avermi spinto sotto per dispetto, per poi salvarmi. E non le dovevo certo un favore. Mi aveva lasciato nella pozza del mio stesso vomito dopo che avevo assunto Amor Mio, aveva rifiutato di pulire la mia camera negli alloggi di Valek, mi aveva scritto un messaggio crudele nella polvere e, ancor peggio, stava probabilmente passando informazioni su di me a Brazell. Se mi aveva salvato dall'annegamento, allora, nella mia mente, era un rimborso per alcune di quelle cattiverie, anche se non per tutte. Per come la vedevo io, lei era ancora debitrice nei miei confronti. Il caldo ammollo aveva contribuito a restituire una certa flessibilità ai miei muscoli. Mi staccai le foglie dalle mani. Anche se c'era del verde ancora attaccato a parte dei capelli, pensai che intrecciandoli con un po' di artificio avrei potuto riuscire a nasconderlo. La camminata di ritorno alle stanze di Valek parve senza fine. In uno stato mentale simile a quello di un morto vivente, passai per innumerevoli corridoi, intersezioni e porte. I miei passi erano alimentati dall'unico e solo desiderio di andarmene a letto. Per qualche giorno a seguire ripiombai nella quotidianità. Assaggiavo i pasti del Comandante, andavo in biblioteca a fare ricerche e facevo una passeggiata quotidiana attorno al castello. La mia giornata da fuggitivo aveva fatto sì che desiderassi gli spazi aperti, e se non potevo slanciarmi tra gli alberi, quantomeno potevo esplorare i terreni. Usai la mappa del castello che avevo copiato nel mio diario per trovare la biblioteca. Era una serie di sale su più livelli, rigurgitanti di libri. L'odore di decadimento e di polvere aleggiava nell'aria insieme a un senso di abbandono. Fui rattristata dalla consapevolezza che quella eccezionale fonte di informazioni era destinata ad andare sprecata perché il Comandante scoraggiava la sua gente dall'istruirsi oltre quanto fosse necessario per il proprio lavoro. All'interno del suo regime militare, una persona veniva addestrata specificamente soltanto per la professione che avrebbe svolto.

Imparare tanto per il gusto di imparare suscitava disapprovazione ed era guardato con sospetto. Una volta che ebbi accertato che la biblioteca era veramente un posto dimenticato, portai lì baccelli e fave invece di trasportare i pesanti libri fino alla mia camera. Trovai un piccolo rifugio, confinato in un angolo. L'alcova aveva un tavolo di legno che fronteggiava una delle ampie finestre a forma d'uovo che a caso traforavano la parete di fondo della biblioteca. La luce solare inondava la nicchia e, dopo aver liberato il tavolo dalla polvere, quella divenne la mia zona di lavoro. Tagliato a metà uno dei baccelli gialli, scoprii che era pieno di una bianca polpa mucillaginosa. Un assaggio rivelò che aveva un sapore dolce simile a quello degli agrumi, con un tocco di acido, come se stesse cominciando a marcire. La polpa bianca conteneva dei semi. Separai la polpa dai semi e scoprii che erano trentasei. Assomigliavano alle fave della carovana. La mia eccitazione diminuì quando misi a confronto semi e fave alla luce del sole. Il seme del baccello era viola anziché marrone, e quando gli diedi un morso lo sputai, perché un sapore assai amaro e aspro mi riempì la bocca. Niente di analogo al gusto lievemente agro e corposo delle fave marroni. Supponendo che i baccelli fossero dei frutti e le fave fossero commestibili, tirai fuori tutti i libri di botanica che riuscii a trovare in biblioteca e li impilai sul tavolo. Poi passai in rassegna di nuovo gli scaffali. Questa volta presi ogni volume con informazioni sui veleni. Formavano una pila molto più bassa; Valek aveva probabilmente portato nel suo ufficio quelli più interessanti. La mia terza spedizione agli scaffali fu un tentativo di trovare libri sulla magia. Niente. Mi fermai presso uno scaffale vuoto, una stranezza in quella biblioteca strapiena, e mi chiesi se avesse contenuto manuali di magia. Considerando come il Comandante vedeva la magia, sarebbe stato logico distruggere ogni informazione ad essa pertinente. D'impulso, esplorai i livelli più bassi della libreria sotto lo scaffale vuoto. Pensando che un libro del ripiano ora vuoto poteva essere scivolato dietro gli altri volumi, tirai fuori tutti i testi dei livelli inferiori. I miei sforzi furono ricompensati dal ritrovamento di un

sottile volume intitolato Sorgenti di Potere Magico. Mi strinsi il libro al petto, presa dalla paranoia. Scrutando la biblioteca, mi assicurai che non ci fosse nessuno. Con le mani sudate, nascosi il libro nello zaino. Progettavo di leggerlo più tardi, preferibilmente nella mia stanza con la porta chiusa a chiave. Esaltata per quell'acquisizione illecita, cercai nelle varie sale della biblioteca finché non trovai una poltrona comoda. Prima di trascinarla al mio nascondiglio, ne battei la polvere dalle imbottiture di velluto violaceo. Era il sedile più elegante che avessi visto nel castello, e mi chiesi chi l'avesse usato prima di me. Il defunto Re era stato un bibliofilo? La considerevole collezione di libri diceva questo. O era così, oppure il Re aveva mostrato grande favore al suo bibliotecario. Passai molte ore in quella poltrona a sfogliare i libri di botanica senza trovare niente. Progettavo di risolvere l'enigma di baccelli e fave mentre ricercavo informazioni per me stessa. Il tedioso lavoro fu quantomeno spezzato in brevi sessioni dai pasti che dovevo assaggiare per il Comandante e dalle mie passeggiate pomeridiane attorno al castello. Erano passati quattro giorni dall'esercitazione, e quel pomeriggio la mia passeggiata aveva uno scopo: ero in cerca di un posto con vista sul cancello orientale, ma dove non sarei stata visibile al flusso di gente che vi passava. Valek non era ancora ritornato dalla sua missione, e le cerimonie di chiusura della Festa del Fuoco si erano tenute la notte precedente, terminando la settimana di festeggiamenti. Rand, con l'aria di chi patisce i postumi di una sbornia, mi aveva informato quella mattina che Brazell e il suo seguito avrebbero finalmente lasciato il castello, attraverso il cancello est, per tornare a casa. Il desiderio di vedere con i miei stessi occhi Brazell partire mi aveva spinto a cercare la postazione ideale. Le caserme dei soldati del Comandante occupavano entrambi gli angoli di nordest e di sudest del complesso. Nelle baracche di nordest, l'edificio a forma di L si estendeva dal cancello nord al cancello est, e un'ampia area rettangolare da esercitazione era stata allestita accanto all'ala orientale dell'edificio. C'era una palizzata di

legno attorno al campo e, quando era in corso l'addestramento, attirava i vari residenti del castello a fermarsi lungo la palizzata stessa per osservare gli esercizi. Quel pomeriggio mi unii a un gruppo di spettatori che avevano una chiara visuale non solo delle esercitazioni di combattimento, ma anche del cancello orientale. L'informazione di Rand si rivelò esatta. Presto fui ricompensata da una processione di soldati abbigliati di verde e nero. Potei vedere Brazell in sella a una giumenta pomellata, che cavalcava tra i suoi consiglieri più fidati, al termine del corteo. Il seguito di Brazell ignorò la gente attorno a loro. Mentre guardavo la schiena di Brazell, lo spettro di Reyad comparve accanto a me. Sorrise salutando il padre con la mano. Un brivido mi riverberò nella spina dorsale. Mi guardai attorno. Qualcun altro l'aveva visto? Il gruppo di persone con cui mi trovavo si era disperso. Era Reyad ad averli spaventati? Ma quando guardai di nuovo, lo spettro era scomparso. Una mano mi toccò il braccio. Trasalii. «Finalmente ci siamo liberati di quella gentaglia» commentò Ari, inclinando la testa verso il cancello orientale. Vedendolo per la prima volta alla luce del sole, notai che i suoi occhi erano di un celeste così chiaro che al buio mi erano parsi privi di colore. Ari stava con Janco sull'altro lato della palizzata. Entrambi indossavano le camicie senza maniche e i calzoni corti che ai soldati piaceva indossare durante l'addestramento. Madidi di sudore e sporchi di polvere, i loro visi e corpi esibivano nuovi tagli e lividi. «Scommetto che sei contenta quanto noi di vederli andarsene» disse Janco. Appoggiando sulla palizzata la sua spada di legno da esercitazione, si asciugò il sudore dalla faccia con il fondo della camicia. «Sì, infatti» confermai. Guardando verso il cancello orientale, tutti e tre restammo in cameratesco silenzio per un istante, osservando l'entourage di Brazell scomparire attraverso il portone. «Vogliamo ringraziarti, Yelena» disse Ari.

«Per che cosa?» «Il Comandante ci ha promossi Capitani. Ha detto che ci hai fatto un ottimo rapporto» rispose Janco. Sorpresa e compiaciuta che il Comandante prestasse fede alle mie parole, sorrisi ai due. Vedevo bene che Ari e Janco erano leali l'uno all'altro, e che li legava un evidente legame di amicizia e di fiducia. Tre anni prima, avevo provato quel genere di comunanza con May e Carra all'orfanotrofio, ma Reyad mi aveva strappato via da loro, e il vuoto dentro di me ancora doleva. Rand mi aveva offerto amicizia, tuttavia c'era ancora una certa distanza tra noi. Bramavo di costruire un vero rapporto con qualcuno. Disgraziatamente la mia vita come assaggiatore ufficiale lo rendeva impossibile. Chi avrebbe corso il rischio di legarsi a me quando le mie probabilità di sopravvivere al prossimo anno erano scarse se non nulle? «Siamo esploratori della guardia d'élite del Comandante, adesso» continuò Janco con l'orgoglio nella voce. «Ti dobbiamo un favore. Se qualche volta avrai bisogno d'aiuto, basta che tu ce lo faccia sapere» completò Ari. Le sue parole mi diedero un'idea ardita. Brazell poteva essersene andato, però era ancora una minaccia. Pensai in fretta, indagando le ragioni per cui il mio piano non dovesse andare a mio vantaggio. «Ho bisogno di aiuto» dissi infine. Sui loro visi lampeggiò la sorpresa. Ari si riprese per primo. «Per che cosa?» domandò, cauto. «Ho bisogno di imparare a difendermi. Potete insegnarmi l'autodifesa, e a maneggiare un'arma?» Trattenni il fiato. Stavo chiedendo troppo? Se dicevano di no, non avrei perso niente. Quantomeno ci avevo provato. Ari e Janco si guardarono. Si aggrottarono le sopracciglia, s'inclinarono le teste, le labbra si imbronciarono e le mani fecero dei piccoli movimenti, lo osservai meravigliata la loro muta conversazione mentre discutevano della mia richiesta. «Che genere di arma?» chiese Ari. Di nuovo quell'esitazione palese nella sua voce.

La mia mente galoppava. Mi serviva qualcosa che fosse abbastanza piccolo per nasconderlo sotto l'uniforme. «Un coltello» risposi, sapendo che avrei dovuto restituire in cucina quello di Rand. Si scambiarono altre smorfie. Pensai che Ari potesse essere sul punto di acconsentire, ma Janco sembrava avere mal di pancia, come se l'idea non gli facesse bene. Infine non riuscii più a sopportarlo. «Guardate» dissi. «Capirò se rifiutate. Non voglio mettervi nei guai, e so che cosa pensa Janco di me. Credo che le sue esatte parole siano state È una criminale. Dunque, se la risposta è no, per me non c'è problema.» Mi fissarono attoniti. «Come hai...» cominciò a dire Janco, ma Ari gli diede un pugno sul braccio. «Ci ha sentito nella foresta, asino. Quanto eri vicina?» «Quindici piedi.» «Accidenti.» Ari scosse il capo, e questo fece ondeggiare i suoi folti riccioli biondi. «Siamo più preoccupati per via di Valek. Ti addestreremo, se lui non fa obiezioni. D'accordo?» «D'accordo.» Ari e io ci stringemmo la mano. Quando mi volsi verso Janco, lui parve assorto nei propri pensieri. «Un serramanico!» esclamò, afferrandomi la mano. «Che cosa?» domandai. «Un coltello a serramanico sarebbe meglio di un pugnale» spiegò Janco. «E dove porterei questo... serramanico?» «Legato alla coscia. Tagli un buco nella tasca dei calzoni. Poi se vieni aggredita lo tiri fuori, premi sul manico, e salta fuori una lama da nove pollici a tua disposizione.» Janco mi fece la dimostrazione del movimento e finse di colpire Ari, che si serrò teatralmente lo stomaco e cadde a terra. Perfetto, pensai. Eccitata all'idea di imparare a difendermi, domandai: «Quando cominciamo?».

Janco si grattò la barbetta. «Visto che Valek non è tornato, potremmo cominciare con qualche mossa base di autodifesa, non ci sarà niente da obiettare su questo.» «Mosse che potrebbe aver imparato osservando i soldati addestrarsi» suggerì Ari, concordando col compagno. Decisero. «Anche subito» dissero all'unisono.

Capitolo 17 Stando vicino ai due massicci soldati, mi sentivo come una prugna incastrata tra due meloni. Cattivi presentimenti si insinuarono nella mia mente. L'idea di potermi difendere contro qualcuno della stazza di Ari sembrava ridicola. Se voleva, poteva sollevarmi e caricarmi in spalla, e non c'era niente che io potessi fare per impedirglielo. «D'accordo. Innanzitutto, cominceremo con un po' di autodifesa» spiegò Ari. «Niente armi finché le mosse basilari non saranno istintive. Riuscirai meglio a combattere a mani nude anziché maneggiando un'arma con cui non hai alcuna dimestichezza. Un avversario esperto semplicemente ti disarmerebbe, e allora i tuoi problemi raddoppierebbero. Non solo saresti sotto attacco, ma dovresti tener conto anche della tua arma.» Ari appoggiò la sua spada da esercitazione vicino a quella di Janco, scrutando il campo di addestramento. La maggior parte dei soldati se n'era andata, tuttavia piccoli gruppi di uomini lavoravano ancora. «Quali sono i tuoi punti di forza?» domandò Ari. «Punti di forza?» «In che cosa sei brava?» Janco, percependo la mia confusione, venne in soccorso: «Corri veloce? Questa è una qualità utile». «Oh.» Infine un'acrobata.»

compresi.

«Sono

flessibile.

Una

volta

ero

«Perfetto. Coordinazione e agilità sono doti eccellenti. E...» Ari mi afferrò per la vita e mi lanciò in aria. Agitai per un istante gli arti prima che l'istinto avesse il sopravvento. Ancora a mezz'aria incassai il mento, braccia e gambe accostate al corpo, eseguii un salto mortale per raddrizzarmi, e atterrai sui due piedi, barcollando per ritrovare l'equilibrio. Offesa, mi voltai verso Ari, ma prima che potessi chiedergli una spiegazione, lui disse: «Un altro vantaggio che deriva dall'aver avuto

un addestramento da acrobata è che si riesce a cadere quasi sempre in piedi. In un combattimento, quella tua manovra potrebbe significare la differenza tra la vita e la morte. Giusto, Janco?». Janco si massaggiò il punto dove una volta c'era la metà inferiore del suo orecchio destro. «Senza dubbio, aiuta. Sai chi altri sarebbe un gran combattente?» Ari lasciò cadere le spalle, come se sapesse già che cosa stava per dire Janco e fosse rassegnato a udirlo. Incuriosita, domandai: «Chi?». «Un ballerino. Con il giusto addestramento, i danzatori del fuoco della festa potrebbero avere la meglio su chiunque. Con un bastone infuocato che rotea, io non andrei contro qualcuno con nessuna arma.» «Tranne una secchiata d'acqua» ribatté Ari. A quel punto, lui e Janco si lanciarono in un'accalorata discussione, dibattendo gli aspetti tecnici del combattimento contro un bastone infuocato impugnato da un danzatore infuriato. Benché affascinata dalla discussione, dovetti interromperli. Il mio tempo era limitato: la cena del Comandante sarebbe presto stata servita. Con solo occasionali commenti sarcastici sui danzatori del fuoco, Ari e Janco trascorsero il resto della mia prima lezione a insegnarmi a bloccare pugni, poi calci, finché non ebbi gli avambracci indolenziti. Ari interruppe l'esercizio quando un altro soldato si avvicinò. Le posture rilassate sua e di Janco si irrigidirono e i due passarono automaticamente a una posa difensiva mentre Nix, la guardia dell'unità del Capitano Parffet, si avvicinava. La pelle sulla testa glabra di Nix era bruciata dal sole, e la sua leggera frangia di capelli neri gli pendeva bagnata sulla fronte. Un olezzo soverchiante di odori corporei lo precedette, dandomi il voltastomaco. I suoi muscoli scarni mi ricordavano un rotolo di corda sottile, pericolosa quando veniva tirata. «Che accidenti pensate di fare?» domandò Nix. «Vuoi dire... che accidenti pensa di fare, signore?» lo corresse

Janco. «Siamo di grado più alto di te. E poi, penso che un saluto sarebbe un tocco cortese.» Nix sbuffò. «Perderete la promozione quando il vostro capo scoprirà che fate comunella con una criminale. Che idea scervellata è stata, farne un'assassina più efficiente? Quando spunterà fuori un altro cadavere, voi sarete considerati suoi complici.» Janco fece un passo minaccioso verso Nix, ma la mano carnosa di Ari sulla sua spalla lo fermò. Con sottotoni di minaccia intrecciati alla voce, Ari disse: «Quel che facciamo del nostro tempo libero non è affar tuo. Adesso, perché non te la fili da Parffet? L'ho visto dirigersi verso le latrine. Presto avrà bisogno di te per pulirgli il culo. È il compito per cui sei più tagliato». Nix era in svantaggio numerico, tuttavia non resistette alla tentazione di sferrare un colpo di congedo. «Quella ha fama di aver ucciso il suo benefattore. Starei attento al mio collo se fossi in voi.» Gli occhi di Ari e Janco restarono fissi sulla schiena di Nix finché non ebbe lasciato il campo. Poi si volsero verso di me. «Questo è un buon inizio» disse Ari ponendo termine alla lezione. «Ci vediamo domani all'alba.» «E Nix?» domandai. «Nessun problema. Possiamo occuparcene noi.» Ari liquidò l'argomento con un'alzata di spalle, fiducioso nella propria capacità di trattare con la guardia. Invidiai la sua sicurezza e la sua possanza fisica. Non credevo che io avrei potuto affrontare Nix, e mi chiesi se ci fosse un'altra ragione, oltre ad aver ucciso Reyad, per la quale Nix mi odiava. «All'alba assaggio la colazione del Comandante Ambrose» obiettai. «Allora subito dopo.» «Per che cosa?» m'informai. «I soldati fanno alcuni giri di corsa attorno al complesso per tenersi in forma» rispose Janco. «Unisciti a loro» suggerì Ari. «Fai almeno cinque giri completi. Anche di più, se riesci. Aumenteremo progressivamente il numero finché non starai alla pari di noi.»

«Quanti giri fate voi?» «Cinquanta.» Deglutii di colpo. Tornando al castello, pensai alla fatica e al tempo che avrei dovuto dedicare all'addestramento. Imparare l'autodifesa avrebbe richiesto lo stesso impegno che avevo profuso nell'acrobazia. Non potevo restare a metà. Era sembrata così una buona idea all'epoca. Ero inebriata da visioni fantastiche di facili combattimenti contro le guardie di Brazell. Ma più ci pensavo, più mi rendevo conto che non era qualcosa da intraprendere d'impulso. Mi chiesi se non fosse meglio lasciar perdere e impiegare il mio tempo a imparare di veleni e di magia. Alla fin fine, tutto l'addestramento fisico del mondo non mi avrebbe salvato dai poteri magici di Irys. Trascinavo i piedi sul terreno, e mi sentivo il corpo come se stessi spingendo un carretto pieno di pietre. Perché non ero capace di farlo e basta? Perché stavo sempre a considerare ogni opzione, a esaminare i pro e i contro di ogni argomento in cerca di falle logiche? Era come fare salti mortali dal trampolino: grandi su e giù ma nessun movimento in avanti. Avevo nostalgia dei giorni in cui una decisione sbagliata non mi costava la vita. Quando infine raggiunsi l'ufficio del Comandante, avevo concluso che avevo altri nemici oltre alla maga, e che essere capace di difendermi avrebbe potuto salvarmi la vita un giorno o l'altro. La conoscenza, sotto qualsiasi forma, poteva essere altrettanto efficace di un'arma. Poco dopo il mio arrivo, uno dei tutori entrò come un turbine nell'ufficio trascinando con sé una ragazzina. All'età di dodici anni a ogni bambino veniva assegnata una professione in base alle sue capacità, e poi veniva inviato al tutore adeguato per quattro anni, a imparare. L'uniforme rossa del tutore aveva dei diamanti neri ricamati sul colletto, che la rendevano l'esatto contrario dell'uniforme nera da consigliere. La ragazzina indossava la semplice tuta rossa da studente. I suoi occhi castani erano lucidi di lacrime non versate, e sul suo viso si alternavano terrore e sfida, mentre lottava per darsi un contegno.

Calcolai che avesse circa quindici anni. «Qual è il problema, Beevan?» chiese il Comandante, la voce un tantino seccata. «Questa bambina disobbediente è un disturbo costante per la mia classe.» «In che modo?» «Mia è una sapientona. Rifiuta di risolvere problemi matematici nella maniera tradizionale e ha l'ardire di correggermi di fronte all'intera classe.» «Perché sei qui?» «Voglio che sia punita. Frustata, preferibilmente, e riassegnata come domestica.» La richiesta di Beevan fece sgorgare lacrime silenziose sulle guance di Mia, anche se la ragazza mantenne la sua compostezza, cosa notevole per una personcina così giovane. Il Comandante unì la punta delle dita, meditando, lo fremevo per la ragazza: avere un tutore che seccava il Comandante per quella disputa non l'avrebbe aiutata. Beevan, da parte sua, avrebbe dovuto rivolgersi al coordinatore dell'apprendistato. «Me la vedrò io con lei» decise infine il Comandante. «Sei congedato.» Beevan tentennò per un momento, aprendo e chiudendo la bocca svariate volte. La sua espressione tirata rivelava che quella non era la risposta che si aspettava. Annuendo rigidamente, lasciò l'ufficio. Il Comandante allontanò la sedia dalla scrivania e accennò a Mia di avvicinarsi girandovi attorno. Con gli occhi allo stesso livello dei suoi, domandò: «Qual è la tua versione?». Con voce sottile e tremante, lei rispose: «Sono brava con i numeri, Signore». Esitò, come se si aspettasse un rimprovero per aver fatto un'affermazione superba, ma quando questo non arrivò, proseguì: «Mi annoiavo a risolvere i problemi matematici al modo del Tutore Beevan, così ho inventato dei sistemi nuovi e più rapidi. Lui non è molto bravo con i numeri, Signore». Di nuovo s'interruppe, ritraendosi come se si aspettasse uno schiaffo. «Ho fatto

lo sbaglio di far notare i suoi errori. Mi dispiace, Signore. Per favore, non frustatemi. Non lo farò mai più. D'ora in poi eseguirò ogni ordine del Tutore Beevan.» Le lacrime rotolarono giù per le sue guance di un vivido rosa. «No, non lo farai» replicò il Comandante. Il terrore s'appropriò del viso della ragazza. «Rilassati, bambina. Yelena?» Trasalendo, rovesciai un po' del suo tè sul vassoio che tenevo in mano. «Sì, Signore.» «Fa' venire il Consigliere Watts.» «Sì, Signore.» Posai il vassoio sulla scrivania e corsi fuori dalla porta. Avevo incontrato Watts una volta. Era il contabile del Comandante, e mi aveva dato il denaro che mi ero guadagnata facendo il fuggitivo. Stava lavorando al suo scrittoio, ma mi seguì immediatamente nell'ufficio. «Watts, ti serve ancora un aiutante?» domandò il Comandante. «Sì, Signore» rispose Watts. «Mia, hai un giorno per provare quello che sai fare. Se non stupisci il Consigliere Watts con le tue abilità matematiche, allora dovrai tornare nella classe di Beevan. Se invece ci riesci, allora potrai avere il lavoro. D'accordo?» «Sì, Signore. Grazie, Signore.» Il bel visetto di Mia era raggiante mentre seguiva il contabile. L'atteggiamento del Comandante mi sorprese. Essere compassionevole, ascoltare la versione di Mia della storia, e darle una possibilità, erano l'esatto contrario di come avevo immaginato che si sarebbe svolto l'incontro. Perché un uomo con un simile potere si sarebbe preso il tempo di fare quel passo straordinario? Rischiava di scontentare Beevan e il coordinatore. Perché doveva darsi pena di incoraggiare uno studente? La pila di rapporti reclamò l'attenzione del Comandante, così sgusciai fuori dalla porta, dirigendomi in biblioteca per continuare la mia ricerca.

Dopo un po', il sole cominciò a tramontare. Raccolsi un promettente libro di botanica da portare con me, essendo riluttante a usare la luce di una lanterna che tradisse la mia presenza in biblioteca. La candela lanciava nei corridoi un bagliore incerto. Guardavo la mia ombra scivolare lungo le pareti mentre mi dirigevo agli alloggi di Valek, chiedendomi se dovessi trasferirmi di nuovo nella mia vecchia stanza nell'ala dei servitori. Ora che Brazell se n'era andato, non c'era nessun motivo logico per cui dovessi restare con Valek. Ma il pensiero di vivere in quella stanzuccia, dove non avrei avuto nessuno con cui litigare o con cui discutere di metodi di avvelenamento, lasciava un senso di vuoto dentro di me, la stessa fitta di solitudine che avevo provato di tanto in tanto in quegli ultimi quattro giorni. Solo la fredda tenebra mi accolse quando entrai nell'appartamento di Valek. Il mio disappunto mi sorprese, e mi resi conto di aver avuto nostalgia di lui. Scossi la testa al concetto alieno, lo? Nostalgia di Valek? No. Non potevo permettermi di pensare in quel modo. Invece mi concentrai sulla mia sopravvivenza. Se volevo scoprire un antidoto alla Polvere di Farfalla, sfogliare libri su come contrastare i veleni seduta nel soggiorno di Valek non sarebbe stata l'idea più brillante. Ovviamente, la decisione poteva non toccare a me. Una volta che Valek avesse scoperto che Brazell se n'era andato, probabilmente mi avrebbe ordinato di traslocare comunque. Dopo aver acceso le lanterne nell'appartamento, mi rilassai sul divano con il libro di botanica. La biologia non era mai stata tra le mie materie preferite, e presto mi scoprii a vagare con la mente. I miei deboli sforzi di restare concentrata si persero nelle fantasticherie. Un tonfo attutito riportò la mia attenzione al presente. Sembrava come un libro che cadesse sul pavimento. Abbassai lo sguardo, ma il mio volume era rimasto dov'era, in grembo, aperto su un paragrafo particolarmente noioso sui frutti arborei. Scrutai il soggiorno per vedere se una delle pile di libri di Valek fosse caduta. Sospirando per il suo disordine, non riuscii a dire se qualcosa si fosse rovesciato

oppure no. Un pensiero agghiacciante mi si insinuò nella mente. Forse il rumore era venuto dal piano di sopra. Forse non era stato un libro, ma una persona. Qualcuno sgattaiolato dentro ad aspettare finché non mi fossi addormentata per uccidermi. Incapace di stare seduta e ferma, presi una lanterna e corsi nella mia stanza. Il mio zaino era posato sul cassettone. Rand non aveva ancora chiesto indietro il suo coltellaccio, così non l'avevo restituito. Mentre estraevo la lama dalla sacca, le parole di Ari sul cattivo uso di un'arma mi passarono per la mente. Era probabilmente sciocco prendere il coltello, tuttavia mi sentivo più sicura con quello in mano. Armata, tornai in soggiorno e meditai sulla prossima mossa. Dormire sarebbe stato impossibile quella notte finché non avessi indagato nelle stanze al piano di sopra. L'oscurità premeva sulla mia luce fioca mentre salivo la scala. Curvando a destra, la rampa terminava in un salottino. Pile di scatole, libri e mobilio erano sparsi per tutta la stanza a casaccio, lanciando ombre dalle forme bizzarre sulle pareti. Girai con precauzione attorno ai cumuli. Il sangue mi bussava dentro il cuore mentre infilavo la lanterna negli angoli bui, in cerca di un possibile aggressore. Un lampo di luce mi fece sfuggire un gridolino dalle labbra. Roteai su me stessa, solo per scoprire che era la mia stessa lanterna a riflettersi nell'alta e stretta finestra che tagliava la parete più lontana. Tre stanze erano situate a destra del salottino. Un rapido controllo, con il cuore in gola, delle stanze piene di libri e identiche alle tre accanto al soggiorno al piano inferiore rivelò che non c'erano nemici appostati. A sinistra del salottino in cima alle scale c'era un lungo pianerottolo. Delle porte rivestivano il lato destro del corridoio, di fronte a una parete di pietra liscia. L'anticamera terminava in una coppia di battenti di legno. Scolpita nell'ebano c'era un'elaborata scena di caccia. Dalla sottile coltre di polvere bianca sul pavimento davanti alle porte, dedussi che quello era l'ingresso alla camera da letto di Valek. La polvere avrebbe mostrato le impronte, avvertendolo della visita di un intruso.

Respirai più agevolmente vedendo che la polvere era intatta. Mentre controllavo sistematicamente le restanti camere lungo il corridoio, mi colpì la crescente consapevolezza che Valek era un vero topo di biblioteca. Mi ero sempre immaginata gli assassini come creature del buio, che camminavano furtive e non restavano mai a lungo nello stesso posto. L'appartamento di Valek assomigliava invece alla casa di una vecchia coppia di sposi che avevano riempito le loro stanze di tutte le cose che avevano raccolto nel corso degli anni. Distratta da quei pensieri, aprii l'ultima porta. Mi ci volle un certo tempo per registrare adeguatamente ciò che vidi. Paragonata alle altre, la camera era asettica. Un lungo tavolo orlava la parete di fondo, centrato sotto un'ampia finestra a forma di goccia. Pietre grigie striate di bianco, gli stessi sassi in cui avevo inciampato nel soggiorno e nell'ufficio di Valek per l'ultimo mese e mezzo, erano sistemate in ordine di grandezza sul pavimento. Uno spesso strato di polvere mi scricchiolò sotto gli stivali quando avanzai dentro la stanza. Sul tavolo, ceselli da intaglio, smerigli metallici e una mola occupavano gli unici spazi liberi dalla polvere. Statuette in vari stadi di realizzazione stavano sparse tra gli utensili. Con delizia mi resi conto che le rocce grigie, una volta scolpite e levigate, si trasformavano in un bellissimo nero lucido, e che le striature bianche diventavano argento brillante. Sistemando la lanterna sul tavolo, raccolsi una farfalla già finita con puntolini argentei che scintillavano sulle ali. Mi stava nel palmo della mano. I dettagli erano così squisiti da dare l'impressione che la farfalla potesse battere le ali e spiccare il volo da un momento all'altro. Ammirai le altre statue. La stessa cura devota era stata riservata a ciascuna di esse. Animali, insetti e fiori che sembravano veri ricoprivano il tavolo; a quanto pareva, la natura forniva i soggetti preferiti dall'artista. Sbalordita, mi resi conto che l'artista doveva essere Valek. Ecco un lato di quell'uomo che non avevo mai immaginato esistesse. Mi sentii come se mi fossi immischiata nel suo segreto più intimo. Come se avessi scoperto una moglie e un figlio che vivevano lassù in beata

solitudine, completa del cane di famiglia. Avevo notato le statuette sullo scrittoio di Valek, e almeno una volta al giorno adocchiavo il gatto delle nevi nell'ufficio del Comandante, cercando di capire perché avesse scelto quella particolare figura da mettere in mostra. Ora comprendevo il suo significato. Valek l'aveva scolpita per Ambrose. Uno scalpiccio di piedi mi indusse a voltarmi. Una forma nera mi assalì. Il coltello mi fu strappato di mano e premuto contro il collo. La paura mi serrò la gola, soffocandomi. Quella sensazione familiare evocò un improvviso ricordo di soldati che mi disarmavano e mi trascinavano via dal corpo esanime di Reyad. Ma il viso di Valek mostrava ilarità al posto della collera. «Stai facendo la ficcanaso?» mi domandò arretrando. Con fatica, scacciai la paura e ricordai di riprendere a respirare. «Ho sentito un rumore. Sono venuta a...» «Investigare» Valek completò la mia frase. «Cercare un intruso, però, è diverso dal contemplare statue.» Con il coltello indicò la farfalla stretta nella mia mano. «Stavi ficcando il naso.» «Sì.» «Ottimo. La curiosità è una caratteristica degna di lode. Mi chiedevo quando saresti venuta a esplorare quassù. Trovato qualcosa di interessante?» Sollevai la farfalla. «È bellissima.» Lui scrollò le spalle. «Scolpire mi schiarisce la mente.» Posai la statuetta sul tavolo, indugiandovi sopra con la mano. Mi sarebbe piaciuto esaminare la farfalla alla luce del sole. Prendendo la lanterna, seguii Valek fuori dalla stanza. «Ho sentito davvero un rumore» dissi. «Lo so. Ho lasciato cadere un libro per vedere che cosa avresti fatto. Non mi aspettavo un coltello, tuttavia. È quello che manca dalla cucina?» «Rand ha fatto rapporto?» Mi sentii tradita. Perché non l'aveva semplicemente chiesto indietro?

«No. Solo che c'è una logica nel tener controllati i coltellacci da cucina, così quando uno risulta mancante non resti sorpreso se qualcuno ti aggredisce con quello.» Valek mi rese il coltello. «Dovresti restituirlo. I coltelli non ti aiuteranno contro il calibro di gente che ti sta dietro.» Valek e io scendemmo le scale. Sollevai dal divano il libro di botanica. «Che cosa pensa il Comandante dei baccelli?» domandò Valek. «Ritiene vengano da Sitia. Me li ha restituiti affinché possa scoprire che cosa sono. Sono stata a fare ricerche in biblioteca.» Mostrai il libro a Valek. Lui lo prese e ne sfogliò le pagine. «Trovato qualcosa?» «Non ancora.» «Le tue azioni come fuggitivo devono aver impressionato il Comandante. Normalmente, avrebbe assegnato questo genere di ricerca a uno dei suoi consulenti scientifici.» Le parole di Valek mi misero a disagio. Non ero persuasa di poter scoprire l'origine dei baccelli e delle fave, e l'idea di deludere il Comandante mi fece venire mal di stomaco. Cambiai argomento. «Dov'era diretta la carovana?» Valek esitò, indeciso. Infine disse: «Alla nuova fabbrica di Brazell». Se era rimasto sorpreso dalla scoperta, non lo diede a vedere. Mi venne in mente che malgrado tutta la discussione sulla licenza di Brazell, non sapevo che cos'avesse in mente di fare. «Qual è il prodotto?» «Dovrebbe essere un molitoio di mangimi.» Valek mi rese il libro. «E non so perché dovrebbe aver bisogno di quei baccelli e quei fagioli. Forse sono un ingrediente segreto. Forse vengono aggiunti al mangime per aumentare la produzione di latte dei bovini. Se così fosse, ogni allevatore comprerebbe il mangime di Brazell anziché produrre il proprio. Potrebbe trattarsi di qualcosa del genere. O forse no. Non sono un esperto.» Valek si tirò i capelli. «Dovrò esaminare la licenza per vedere che cosa mi è sfuggito. Ad ogni modo, ho incaricato alcuni dei miei uomini di controllare la pista e

di infiltrarsi nella fabbrica. A questo punto mi servono altre informazioni.» «Brazell ha lasciato il castello oggi pomeriggio.» «Ho incontrato il suo seguito sulla via del ritorno. Ottimo. Una cosa in meno di cui preoccuparsi.» Valek attraversò la stanza dirigendosi alla scrivania e cominciò a passare in rassegna le sue carte, io lo osservai per un po', in attesa. Non aveva accennato al mio trasloco. Infine trovai la calma per chiedere: «Dovrò tornare nella mia vecchia stanza adesso che Brazell se n'è andato?». Mi rimproverai per la scelta delle parole. Avrei dovuto essere più ferma, ma era troppo tardi. Valek si bloccò. Trattenni il respiro. «No» rispose. «Sei ancora in pericolo. La maga non è stata ancora sistemata.» La sua penna riprese a scorrere sulla carta. Un violento sollievo mi percorse tutto il corpo come un'ondata calda, allarmandomi. Perché volevo restare con lui? Rimanere lì era rischioso, illogico, e sotto qualsiasi aspetto potessi evocare, la peggiore situazione per me. Il libro di magia era ancora nascosto nel mio zaino, che mi seguiva ovunque perché temevo che Valek avesse una delle sue trovate e mi cogliesse sul fatto. Accidenti, pensai, in collera con me stessa. Come se non avessi abbastanza di cui preoccuparmi. Non dovevo avere nostalgia di Valek: dovevo cercare con maggiore convinzione di fuggire. Non dovevo risolvere l'enigma delle fave: dovevo sabotarlo. Non dovevo ammirare e rispettare quell'uomo: dovevo disprezzarlo. Dovere, non dovere, dovere, non dovere. Così facile a dirsi e tuttavia così difficile da credere. «Esattamente, come faresti tu per sistemare un mago?» domandai. Lui si voltò sulla sedia e mi guardò. «Te l'ho già detto una volta.» «Ma i loro poteri...» «Non hanno alcun effetto su di me. Quando arrivo vicino a uno di loro, posso sentire il potere premere e vibrare sulla mia pelle, e muoversi verso di loro diventa come camminare in uno sciroppo denso. Richiede sforzo, ma vinco sempre, alla fine. Sempre.»

«Quanto vicino?» Valek era nel castello entrambe le volte in cui inconsapevolmente avevo usato la magia. Forse sospettava qualcosa? «Devo essere nella stessa stanza» rispose lui. Mi sentii inondare di sollievo. Non sapeva. Almeno, non ancora. «Perché non hai ucciso la maga del sud alla festa?» «Yelena, non sono invincibile. Combattere contro quattro uomini mentre lei mi scagliava contro ogni oncia del suo potere mi ha sfinito. Darle la caccia sarebbe stato uno sforzo che non avrebbe portato alcun frutto.» Meditai su quello che aveva detto. «Essere resistente alla magia è una forma di magia?» «No.» Il viso di Valek s'indurì. «E il pugnale?» Indicai la lunga lama appesa alla parete. Il sangue cremisi scintillava alla luce della lanterna. Nelle tre settimane in cui avevo vissuto nell'appartamento di Valek, non si era seccato. Lui rise. «Quello era il pugnale che usai per uccidere il Re. Lui era un mago. Quando la sua magia non ha saputo impedirmi di immergergli quel pugnale nel cuore, mi ha maledetto con il suo ultimo respiro. È stata una scena abbastanza melodrammatica. Ha decretato che io fossi perseguitato dalla colpa per il suo omicidio e che il suo sangue mi macchiasse le mani per sempre. Con la mia peculiare immunità alla magia, la maledizione si è attaccata al pugnale anziché a me.» Valek osservò pensieroso la parete delle armi. «È stato un peccato perdere la mia lama preferita, però costituisce un grazioso trofeo.»

Capitolo 18 Avevo i polmoni in fiamme. Accaldata e zuppa di sudore, mi trascinavo dietro il gruppo principale di soldati, la gola che mi ardeva a ogni ansimo. Era il mio quarto giro attorno al complesso del castello. Ne mancava un altro. Avevo atteso presso le baracche di nordest subito dopo aver assaggiato la colazione del Comandante. Quando era passato correndo un grosso crocchio di soldati, avevo individuato Ari, che mi aveva fatto cenno di unirmi a loro. Mi preoccupavo che le altre guardie si risentissero della mia presenza, ma c'erano domestici, mozzi di stalla e altri lavoranti del castello mischiati con i soldati. I primi due giri mi accelerarono i battiti del cuore e mi accorciarono il respiro. Il dolore ai piedi cominciò a farsi sentire durante il terzo giro, e nel quarto mi risalì su per le gambe. Il paesaggio circostante si fece indistinto fino a quando tutto ciò che vedevo fu il breve tratto di terreno appena davanti a me. Quando arrivai zoppicando alla meta, ponendo termine all'agonia, trovai un fitto filare di siepi e vomitai la colazione di pastine dolci. Raddrizzandomi, vidi un sogghignante Janco farmi cenno con il pollice in su mentre mi passava accanto di corsa. Non aveva neppure la decenza di sembrare un po' in affanno, e la sua camicia era ancora asciutta. Mentre mi pulivo il vomito dalle labbra, Ari si fermò dietro di me. «Campo di esercitazione, alle due in punto. Ci vediamo.» «Ma...» dissi a nessuno mentre Ari correva via. Potevo appena reggermi in piedi, non riuscivo a immaginare di fare alcunché di più faticoso. Al campo di esercitazione, quel pomeriggio, Ari e Janco erano appoggiati alla staccionata a guardare due uomini fare scherma con le spade. Echeggiava l'alto rintocco di metallo che colpisce metallo. I combattenti avevano attirato l'attenzione di tutti i soldati che si trovavano nei paraggi. Mi resi conto con sorpresa che uno dei due uomini era Valek. Non lo vedevo da quel mattino presto, e avevo supposto che stesse riposando dopo essere rimasto alzato fino a tardi

la notte prima. Valek sembrava liquido in movimento. Mentre lo osservavo, mi salì alla mente una parola: bellissimo. I suoi gesti avevano la velocità e la cadenza di una complessa esibizione di danza. In confronto il suo avversario assomigliava a un vitellino appena nato, barcollando e sbatacchiando gambe e braccia come se si trovasse in piedi per la prima volta. I levigati affondi e le aggraziate parate di Valek disarmarono l'avversario in men che non si dica. Accennando con la spada, mandò il suo avversario in un piccolo gruppo di uomini, e fece segno che un altro lo attaccasse. «Che cosa sta succedendo?» domandai. «La Sfida di Valek» rispose Janco. «Sarebbe?» «Valek ha lanciato una sfida a chiunque viva a Ixia. Battilo in combattimento con un'arma di tua scelta, o in un corpo a corpo, e sarai promosso suo secondo in comando.» Ari indicò Valek, ora impegnato in uno scontro con un terzo uomo. «È diventato una sorta di promozione dall'addestramento base per i soldati combattere con Valek almeno una volta. anche se puoi provare tante volte quante ti piaccia. I Capitani osservano gli scontri e reclutano gli elementi più promettenti. E se riesci a impressionare Valek con le tue capacità, potrebbe persino offrirti un posto nei corpi d'élite dei servizi informativi.» «Come siete andati voi ragazzi?» chiesi. «Bene» rispose Ari con modestia. «Bene!» sbuffò Janco. «Ari è andato vicino a batterlo. Valek era compiaciuto. Ma Ari preferiva essere un esploratore che una spia.» «lo voglio tutto o niente» rispose Ari con pacata intensità. Continuammo a guardare. Ari e Janco facevano commenti tecnici sui diversi scontri, ma io non potevo staccare gli occhi da Valek. Con la luce del sole che si riverberava dalla sua spada, eliminò altri due uomini. Li batté col piatto dell'arma, giusto per far loro capire che aveva superato le loro difese senza spargere una goccia di sangue. L'avversario successivo si accostò con un coltello.

«Cattiva scelta» pronosticò Ari. Valek depose la spada e snudò il pugnale. In due mosse lo scontro era finito. «Valek eccelle nel combattimento con il pugnale» commentò Janco. L'ultimo sfidante era una donna. Alta e agile, brandiva un lungo bastone di legno. Ari lo chiamò un archetto. La donna tenne la posizione contro Valek, e la loro schermaglia durò più a lungo di ogni altro dei precedenti sei scontri. Poi, con un forte schiocco il bastone di lei si spezzò in due, ponendo fine alla partita. Mentre la folla si disperdeva, Valek parlò con la donna. «Quella è Maren» disse Ari. «Se non scomparirà nei corpi speciali di Valek, potresti chiederle di insegnarti l'archetto. Con la tua taglia minuta, potresti estendere la portata dei tuoi colpi contro un attaccante più alto.» «Ma non puoi nascondere un archetto» obiettai. «Non in giro per il castello. Ma se stai viaggiando per i boschi, non sembreresti fuori posto portando un bastone da viaggio.» Guardai Maren e considerai le possibilità. Avrebbe acconsentito ad aiutarmi? Probabilmente no. Che cosa ci avrebbe guadagnato? Come se leggesse i miei pensieri, Ari disse: «Maren è aggressiva e incoraggiante. Ogni nuova recluta femmina ottiene la sua personale attenzione, che lo voglia o no. Visto che così tante donne si ritirano per via della durezza dell'addestramento, lei cerca di allenarle perché riescano a superarlo. Abbiamo più donne nella guardia adesso di quante ne abbiamo mai avute, grazie a lei. Abbiamo cercato di indurla a insegnarci (un archetto sarebbe una buona arma per un esploratore), ma purtroppo non ha alcun interesse nell'addestrare uomini». «Ma io non sono una nuova recluta, sono l'assaggiatrice. Perché dovrebbe sprecare il suo tempo con me? Potrei essere morta entro domani.» «Ehi, siamo proprio di cattivo umore, oggi!» esclamò allegramente Janco. «Troppo moto stamattina?»

«Chiudi il becco» ribattei. Imperterrito, il suo ghigno non fece che allargarsi. «D'accordo, basta così. Cominciamo» propose Ari. Passai il resto del pomeriggio a imparare a prendere a pugni qualcuno senza fratturarmi le dita e sperimentando le adeguate tecniche per sferrare calci. Le prime due nocche di entrambe le mani mi diventarono rosso vivo mentre pugilavo ripetutamente contro un sacco da addestramento. Padroneggiare il calcio frontale fu una sfida, dal momento che il muscolo della coscia, irrigidito, ostacolava la mia flessibilità. Quando finalmente Ari mi congedò, diressi il mio corpo malconcio verso il castello. «Ci vediamo in mattinata» disse Janco con un tono allegro nella voce. lo mi voltai per dirgli dove ficcarselo, e mi trovai a faccia a faccia con Valek. Trattenni il fiato. Era rimasto a guardarci. Mi sentii in imbarazzo. «I tuoi pugni erano lenti» disse. Prendendomi la mano esaminò i lividi, che stavano cominciando a diventare violacei. «Quantomeno la tecnica è buona. Se tieni dei pesi in mano mentre ti alleni, i tuoi pugni saranno molto più veloci, senza.» «Posso continuare?» domandai incredula. Lui mi teneva ancora la mano, e io non riuscii a raccogliere la forza di volontà per ritirarla. Il calore del suo tocco mi percorse il corpo, temporaneamente avendo la meglio su fitte e dolori. Con il ricordo della sua sorprendente prestazione fisica ancor fresco nella mente, fissai il suo viso forte. I suoi lampeggianti, pericolosi occhi blu avevano sempre catturato la mia attenzione. Avevo imparato a decifrare le sue espressioni facciali come tattica di sopravvivenza, ma non l'avevo mai davvero guardato in quel modo, prima. Era un modello di contraddizioni. L'uomo che scolpiva delicate statuette era anche in grado di disarmare sette oppositori senza versare una goccia di sudore. Le mie interazioni con Valek assomigliavano a un'esibizione sulla fune sospesa. Un minuto ero fiduciosa e in equilibrio, e il momento dopo insicura e instabile. «Penso che sia un'eccellente idea» mi rispose lui. «Come sei riuscita

a indurre i Poteri Gemelli ad acconsentire a insegnarti?» «Poteri Gemelli?» «Metti insieme la forza di Ari e la velocità di Janco, e sarebbero imbattibili» spiegò lui. «Finora però non ho avuto modo di mettere alla prova la mia teoria, dal momento che non hanno mai cercato di combattermi insieme. Nessuno ha detto che io non possa avere più di un secondo in comando. Non mi tradirai, vero?» «No.» Valek diede una piccola stretta alla mia mano, poi lasciò la presa. «Bene. Sono probabilmente i migliori istruttori al castello. Come li hai incontrati?» «Erano loro gli uomini che mi hanno trovato nella foresta. Il Comandante li ha promossi, e io ho approfittato della loro gratitudine.» La mia mano formicolava dove lui l'aveva toccata. «Opportunistico e clandestino, lo adoro.» Valek rise. Era di buon umore mentre camminava accanto a me verso il castello. Probabilmente per l'esaltazione di aver battuto così tanti avversari. Prima che raggiungessimo l'entrata est, si fermò. «C'è un solo problema.» Il battito del mio cuore accelerò a velocità doppia. «Che cosa?» «Non dovresti addestrarti così pubblicamente. Le voci corrono in fretta. Se Brazell lo scopre e fa una scenata, il Comandante ti ordinerà di smettere. E per giunta ciò lo renderebbe sospettoso.» Entrammo nell'atmosfera fredda e scura del castello. Fu un sollievo togliersi dal sole cocente. «Perché non ti servi di quei magazzini vuoti al livello più basso del castello? Puoi sempre andare a correre al mattino per fare esercizio» suggerì Valek. Grandioso, pensai sarcasticamente, correre era l'unico aspetto dell'addestramento a cui sarei stata ben disposta a rinunciare. Comunque Valek aveva ragione, lavorare con Ari e Janco nel bel mezzo del cortile aveva già attirato attenzione negativa. Principalmente quella di Nix, i cui cipigli e le occhiate cattive mi bruciavano sulla pelle.

Valek era silenzioso mentre attraversavamo il castello, lo ero diretta all'ufficio del Comandante per assaggiare la sua cena. Lui venne con me. «Menzionare Brazell mi ha ricordato che volevo chiederti di quel Creolo che piace tanto al Comandante. A te piace il suo sapore?» Scelsi con cura le parole. «Sì, è un dessert eccellente.» «Se tu smettessi di mangiarlo, come ti sentiresti?» «Ecco...» esitai, chiedendomi dove sarebbe andata a parare quella conversazione. «Sinceramente, ne sarei contrariata. Non vedo l'ora di mangiarne un pezzo ogni mattina.» «Hai mai desiderato spasmodicamente il Creolo?» s'informò Valek. Finalmente compresi dove portavano le sue domande mirate. «Come se fosse una dipendenza?» Lui annuì. «Non credo, ma...» «Ma cosa?» «Lo mangio solo una volta al giorno. Il Comandante ne prende un pezzo dopo ogni pasto, incluso lo stuzzichino serale. Perché questa improvvisa preoccupazione?» domandai. «Solo una sensazione. Potrebbe non essere niente.» Valek restò in silenzio per il resto del tragitto. «Ebbene, Valek, qualche nuova promozione?» Comandante come entrammo nel suo ufficio.

chiese

il

«No. Maren però si mostra promettente. Disgraziatamente non vuole venire nei miei corpi e neppure essere il mio secondo. Vuole soltanto battermi.» Valek sogghignò, deliziato dalla sfida. «E può riuscirci?» s'informò il Comandante sollevando le sopracciglia. «Con il tempo e l'addestramento adeguato. È letale con il suo archetto; sono solo le tattiche a richiedere un po' di lavoro.» «Allora che ne facciamo di lei?» «Promuovetela Generale e pensionate qualcuno di quei vecchi

palloni gonfiati. Un po' di sangue fresco nei ranghi superiori potrebbe farci comodo.» «Valek, non hai mai avuto una buona comprensione della struttura militare.» «Allora promuovetela Primo Luogotenente oggi, Capitano domani, Maggiore il giorno successivo, Colonnello quello dopo, e Generale quello dopo ancora.» «Ci penserò.» Il Comandante mi scoccò un'occhiata seccata. Stavo perdendo tempo, e lui l'aveva notato. «Qualcos'altro?» domandò a Valek. Terminai di assaggiare il cibo, posai il vassoio del Comandante sullo scrittoio, e mi diressi alla porta. Valek mi afferrò il braccio. «Mi piacerebbe tentare un esperimento. Voglio che Yelena assaggi il Creolo ogni volta che lo fate voi per una settimana, poi la settimana seguente lo assaggerò io per voi. Voglio vedere se le succede qualcosa quando smette di mangiare il dolce.» «No.» Il Comandante alzò una mano quando Valek fece per discutere. «Apprezzo il tuo zelo, tuttavia ritengo sia mal indirizzato.» «Assecondatemi.» «Possiamo tentare il tuo esperimento una volta che Rand avrà riprodotto la ricetta del Generale Brazell. Ti sembra accettabile?» «Sì, Signore.» «Ottimo. Voglio che tu ti unisca a me in un incontro con il Generale Kitvivan. Siamo appena all'inizio della stagione fresca, e lui è già preoccupato dei gatti delle nevi.» Gli occhi del Comandante si posarono su di me. «Yelena, sei congedata.» «Sì, Signore» risposi. Dopo essermi fermata a lavarmi ai bagni, feci visita alle cucine per prendere in prestito un grosso setaccio e una ciotola, che portai in biblioteca. I quattro baccelli rimanenti erano diventati marroni e stavano cominciando a marcire, così li aprii, ne asportai la polpa marroncina e i semi mettendoli nel colatoio, e posai questo nella

terrina. Il fondo e i lati erano tenuti staccati dal fondo della ciotola dalle manigliette metalliche. Il forte odore proveniente dai semi impregnò la stanza. Posai la ciotola sul davanzale, e aprii la finestra per dissipare l'odore. Il mio esperimento non era basato su alcuna ricerca scientifica; volevo solo vedere se la polpa avrebbe fermentato. Forse Brazell la stava usando per produrre un qualche genere di bevanda alcolica. La mia accurata lettura dei vari libri di botanica fino a quel momento non aveva svelato niente di utile. I libri sui veleni, benché interessanti, non facevano menzione di Polvere di Farfalla. In quattro differenti volumi sui veleni, avevo scoperto pagine mancanti. C'erano margini frastagliati che sporgevano dalla rilegatura là dove la carta era stata strappata via. Valek probabilmente aveva rimosso ogni informazione pertinente molto tempo prima, anticipando il vivo interesse dell'assaggiatore per la Polvere di Farfalla. Sospirando, impilai i libri all'estremità del tavolo. Sapevo che Valek stava assistendo alla riunione del Comandante, così estrassi dallo zaino il libro di magia. Le lettere impresse in argento del titolo ammiccarono. Mi si annodò lo stomaco. Aprendo l'esile volume, cominciai a leggere una dissertazione tecnica sulla fonte del potere di un mago. Incapace di comprendere tutto delle dettagliate descrizioni, intuii soltanto che la fonte di energia avvolgeva come una coltre il mondo intero, rendendosi accessibile da qualsiasi punto. I maghi usavano questo potere in modi diversi, a seconda dei loro talenti. Alcuni potevano muovere oggetti, mentre altri sapevano leggere e influenzare le menti. Guarire, accendere fuochi, e comunicare mentalmente erano anch'esse capacità magiche. Alcuni sapevano fare una cosa sola, ma più forte era il mago, più riusciva a fare. Un mago debole poteva soltanto leggere la mente di qualcuno, mentre uno più potente non solo riusciva a leggerla ma poteva anche comunicare con essa e perfino controllarla. Rabbrividii al pensiero di Irys che controllava la mia mente. I maghi tuttavia dovevano stare attenti quando attingevano energia. Sfruttando troppo avidamente la fonte o abusandone, si

potevano provocare increspature che sarebbero dilagate con un effetto ondulatorio. Questo effetto, o curvatura, avrebbe concentrato energia in certe aree lasciandone altre scoperte. Fluttuando in modo imprevedibile, un'altra ondata poteva invertire la quantità di energia disponibile. Per spillare energia, i maghi avrebbero dovuto cercare aree di potere, ma una volta che avessero trovato una sacca, non potevano sapere quanto a lungo avrebbe resistito. Il libro riportava la storia di un tempo in cui un mago molto forte aveva attinto alla sorgente attirandola verso di sé. Essendo così potente, era stato in grado di controllare la copertura senza causare un'esplosione. Gli altri maghi allora erano restati scoperti e, deprivati del loro potere, si erano uniti per dargli la caccia. Una volta trovatolo, e dopo una battaglia che aveva lasciato sul campo molti morti, essi avevano attinto alla sorgente da lui rubata e l'avevano ucciso. Alla fine la coltre si era ripianata ed era tornata alla normalità, ma ciò aveva richiesto oltre duecento anni. Toccando le lettere in rilievo sulla copertina, compresi allora perché Irys fosse stata così categorica nel sostenere che io dovevo essere o addestrata o uccisa. Quando la mia magia avesse raggiunto un punto di deflagrazione, ciò avrebbe causato increspature enormi nella coltre di energia. Sprofondai nella sedia, delusa che il libro non contenesse incantesimi o lezioni di magia. Avevo sperato in una risposta. Qualcosa sul genere: ecco perché hai il potere, ecco come lo usi, e già che ci siamo, ecco come produrre l'antidoto alla Polvere di Farfalla. Era stata una pia illusione, pura e semplice, a cui era per me rischioso indulgere. Speranza, felicità e libertà non erano nel mio futuro. Non c'erano mai state, neppure quand'ero una bambina ignara nell'orfanotrofio di Brazell. Mentre speravo in una vita normale, ero stata cresciuta come un ratto da laboratorio per i suoi esperimenti. Restai accasciata nella poltrona finché calò il sole, lasciando che l'autocommiserazione facesse il suo corso. Quando i muscoli delle gambe cominciarono a pulsare per l'inattività, mi alzai e scossi via fisicamente la mia cupezza. Se non potevo trovare l'antidoto nei

libri, avrei cercato un altro modo. Qualcuno doveva sapere qualcosa. C'erano stati assaggiatori ufficiali al servizio del Comandante Ambrose per quindici anni. Se nessuno poteva aiutarmi, allora avrei tentato un'altra strada, magari rubando l'antidoto o seguendo Valek alla sua fonte. Le capacità mi mancavano, ma ero decisa a imparare. Il mattino seguente, preparata con lo stomaco vuoto, mi unii alla sfilata di soldati in corsa. Ari e Janco mi sorpassarono come una ventata. Janco mi scoccò un saluto disinvolto e un sorriso malizioso. Più tardi, quando udii passi pesanti avanzare dietro di me, immaginai che fosse lui. e che non progettasse niente di buono. Mi spostai di lato per lasciarlo passare, ma il corridore mi rimase alle calcagna. Mi guardai indietro in tempo per vedere Nix che alzava le braccia. Le sue mani impattarono sulla mia schiena. Caddi in avanti, schiantandomi a terra. Quando quella carogna mi passò sopra correndo, il suo stivale mi colpì al plesso solare, togliendomi il respiro. Il dolore mi esplose nel petto. Ansimai in cerca d'aria, raggomitolandomi in posizione fetale sul terreno. Una volta ripreso fiato, mi spinsi in posizione seduta. Il flusso di soldati rimase imperturbato, e io mi chiesi se nessuno avesse visto quel che aveva fatto quel bastardo. Se stava cercando di dissuadermi, andava nella direzione sbagliata. Nix aveva appena rafforzato la mia decisione di imparare l'autodifesa così da non cadere vittima di botoli rognosi come lui. Mi alzai e attesi il giro seguente di Nix, ma non tornò più. Ari si fermò. «Che cosa è successo?» «Niente.» Nix, come Margg, era un problema mio. Se non l'avessi affrontato, non mi avrebbe mai lasciata in pace. Un pizzico di dubbio mi stuzzicò lo stomaco. Era stato quel genere di pensieri che mi aveva portato in prigione, in attesa di esecuzione. «Hai la faccia coperta di sangue» osservò Ari. Mi pulii con la manica. «Sono caduta.»

Prima che potesse interrogarmi oltre, cambiai argomento dandogli qualcos'altro a cui pensare. Riferii il consiglio di Valek di nascondere le nostre sessioni di addestramento; Ari concordò che fosse prudente andare sottoterra. Si offrì di cercare una collocazione idonea. «Tu sei Maren, giusto?» domandai respirando affannosamente. Ero andata avanti a correre per una settimana, e quella mattina avevo regolato la mia andatura così da correre dietro a Maren. Lei mi scoccò una rapida occhiata, valutandomi. I suoi capelli biondi erano tirati indietro in una coda di cavallo. Ampie spalle muscolose sopra una vita sottile facevano apparire sproporzionata la sua figura. Si muoveva con atletica disinvoltura, e io dovevo arrabattarmi per tenere il passo con le sue lunghe, agili falcate. «E tu sei la Vomitatrice» rispose Maren. Era un insulto rivolto con uno scopo; il suo interesse nella mia risposta era vivissimo. Se avesse voluto liquidarmi, avrebbe fatto il suo commento e sarebbe filata via, senza darsi la pena di attendere una reazione. «Sono stata chiamata in modi peggiori.» «Perché lo fai?» chiese Maren. «Che cosa?» «Correre fino a vomitare.» «Mi erano stati assegnati cinque giri. Non mi piace fallire.» Ricevetti un'altra occhiata che mi soppesò. Con le parole che mi uscivano a sbuffi, sapevo che non sarei stata in grado di mantenere a lungo una conversazione. «Ti ho osservato mentre ti battevi con Valek. Ho sentito che sei la migliore con l'archetto. Vorrei imparare a usarne uno.» La sua andatura rallentò. «Chi ti ha detto questo?» «Ari e Janco.» Maren sbuffò come se pensasse che un artista del contrario mi avesse infinocchiato. «Amici tuoi?»

«Sì.» La sua bocca si atteggiò in una piccola o mentre lei faceva i collegamenti mentali. «Ti hanno trovata nella foresta. Si dice che ti stavano addestrando ma che tu hai abbandonato. Stanno cercando di appiopparti a me?» «Il problema con i si dice...» ansimai, «... è la difficoltà a distinguere la verità dalle bugie.» «E il motivo per cui dovrei essere disposta a concederti il mio tempo?» Mi ero aspettata quella domanda. «Informazioni.» «Su che cosa?» «Vuoi battere Valek, giusto?» I suoi occhi grigi si concentrarono su di me come due punte di spada che mi premessero contro la pelle. Con l'ultimo dei miei respiri, sibilai: «Vieni all'ingresso est del castello questo pomeriggio alle due, e ti dirò». Incapace di stare oltre al passo con lei, rallentai. Lei andò avanti. La Persi di vista nella calca dei soldati. Per tutto il resto della mattina rimuginai nella mente la conversazione, cercando di immaginare la sua risposta mentre assaggiavo i pasti del Comandante. Alle due in punto, aspettavo dentro il portone est del castello, mordendomi un labbro. Ari e Janco avevano diffuso la voce che il mio addestramento si era interrotto. Avevo corso un rischio considerevole insinuando con Maren che ciò potesse non essere vero. Quando individuai un'alta figura con in mano due bastoni che veniva nella mia direzione, la mia ansia si attenuò un poco. Maren si fermò quando entrò nel passaggio. Mi scorse appoggiata al muro. Prima che potesse commentare, dissi: «Seguimi». La condussi a un corridoio deserto dove attendevano Ari e Janco. «Deduco che non ci sia da prestar fede ai pettegolezzi» Maren disse ad Ari.

«No. Ma ci sono certe voci che ci piacerebbe tenere in giro così come sono.» Una minaccia appena velata condiva le parole di Ah. Maren lo ignorò. «D'accordo, Vomitatrice, qual è la tua informazione? Ed è meglio che sia valida, o me ne vado.» Ari arrossì e potei vedere che mandò giù una rispostaccia. Janco, come sempre, sogghignò per l'aspettativa. «Ebbene, per come la vedo io, noi quattro possiamo aiutarci a vicenda. Ari, Janco e io vogliamo imparare a combattere con l'archetto. Tu vuoi battere Valek. Lavorando insieme, potremmo riuscire a raggiungere i nostri obiettivi.» «In che modo il fatto di insegnarvi può aiutarmi in uno scontro contro Valek?» domandò Maren. «Tu sei abile con il bastone, ma devi lavorare sulle tue tattiche di combattimento. Ari e Janco possono aiutarti in questo.» «Una sola settimana di addestramento e la Vomitatrice pensa di essere un'esperta» disse Maren ad Ari con voce incredula. Lui restò muto, però il suo volto s'incupì. «lo non sono un'esperta, ma Valek sì.» Maren mi scoccò un'occhiata fredda. «Lui ha detto questo? Di me?» Annuii. «Così io insegno l'archetto, Ari e Janco insegnano le tattiche. Qual è il tuo contributo?» Indicai noi quattro. «Questo. E poi...» esitai, incerta se la mia prossima affermazione avrebbe avuto una qualche influenza. «Potrei insegnarvi qualche giravolta, e aiutarvi ad acquisire maggiore flessibilità ed equilibrio, che potrebbero tornare a vostro vantaggio in un combattimento.» «Accidenti.» Janco era impressionato. «Lei ti ha portato qui. E quattro fanno una squadra di addestramento migliore di tre.» Seccata, Maren spostò l'attenzione su Janco. Lui le sorrise soavemente. «D'accordo, proverò, per un po' di tempo. Se non funziona, me

ne vado.» Prima che chiunque potesse interloquire, aggiunse: «Non preoccupatevi. Posso anche ascoltare il mulinare delle chiacchiere, ma non vi partecipo». Una volta che ci stringemmo la mano per sancire l'accordo, la mia ansia si dileguò. Le mostrammo dove ci eravamo incontrati nell'ultima settimana. «Intimo» commentò Maren entrando nella nostra sala da esercitazione. Ari aveva trovato un magazzino abbandonato al livello inferiore nel deserto angolo sudoccidentale del castello. Due finestre vicino al soffitto lasciavano entrare luce sufficiente per lavorare. Trascorremmo il tempo rimanente facendo pratica con i rudimenti del combattimento con il bastone. «Non male, Vomitatrice» disse Maren al termine della sessione. «Vedo un certo potenziale.» Quando raccolse i suoi bastoni per andarsene, Ari le posò la grossa mano sulla spalla. «Il suo nome è Yelena. Se non vuoi chiamarla con il suo nome, allora non tornare domani.» Potei vedere la mia espressione attonita rispecchiata sul viso di Maren, ma lei si riprese più in fretta di me. Annuendo brusca, si scosse di dosso la mano di Ari e filò via. Mi chiesi se l'indomani si sarebbe unita a noi. Tornò il giorno seguente, e si fece vedere senza fallo per i due mesi successivi quando ci addestrammo insieme per tutta la stagione fresca. L'aria conteneva un nuovo aroma frizzante, e tenendo fede al nome della stagione, ogni giorno si faceva più freddo del precedente. I vivaci fiori della stagione torrida appassirono mentre gli alberi si fecero color arancio, rossastri e infine marroni. Le foglie caddero sul terreno e furono spazzate via dai frequenti acquazzoni. La mia ricerca sui baccelli era a un punto di stallo, ma Valek non sembrava preoccupato della mancanza di progressi. Occasionalmente ci guardava allenarci, e faceva commenti e offriva suggerimenti. Nix continuava a tormentarmi durante la corsa mattutina.

Lanciava sassi, mi sputava addosso e mi faceva lo sgambetto. Dovetti cambiare le mie abitudini per evitarlo, andando a correre attorno al muro esterno del complesso del palazzo. Le mie capacità di difendermi erano ancora agli stadi iniziali, e non sufficienti per un confronto con lui. Almeno non ancora. E c'erano dei vantaggi a correre fuori dall'edificio. L'erba liscia era più soffice sotto i miei piedi rispetto al sentiero di terra all'interno delle mura, e andando a correre prima dell'alba non incontravo nessuno, il che concorse a dare a intendere che avessi lasciato perdere l'addestramento. Alla fine della stagione fresca le ore di luce si accorciarono, e le nostre sessioni di addestramento terminarono con il calar del sole. Nella semioscurità del crepuscolo mi diressi ai bagni, muovendomi con cautela per non irritarmi le costole peste. Janco, quel fastidioso pupazzo a molla, aveva superato le mie difese con le sue piccole rapide stoccate. Mentre mi avvicinavo all'entrata dei bagni, una grossa ombra si staccò dalla parete di pietra. Allarmata, indietreggiai in posizione da combattimento. Paura, eccitazione e dubbio mi galoppavano per tutto il corpo. Avrei avuto bisogno di difendermi? Potevo farcela? Sarei dovuta scappare? La larga figura di Margg si addensò dalle ombre, e mi rilassai un tantino. «Che cosa vuoi?» chiesi. «Stai facendo un'altra commissione per il tuo padrone come un bravo cagnolino?» «Meglio che essere un topo preso in trappola.» La oltrepassai. Scambiarsi insulti, benché divertente, era una perdita di tempo per me. «Al topo piacerebbe un po' di formaggio?» domandò lei. Mi voltai. «Che cosa?» «Formaggio. Denaro. Oro. Scommetto che sei il genere di topo che farebbe qualunque cosa per un pezzo di formaggio.»

Capitolo 19 «Che cosa dovrei farci con un pezzo di formaggio?» domandai. Lo sapevo! Era Margg quella che stava passando informazioni su di me, e adesso voleva usarmi. Finalmente qualche prova. «Ho una fonte che paga bene per le informazioni. E sarebbe la sistemazione perfetta per un piccolo sorcio» rispose la governante. «Che genere di informazioni?» «Qualsiasi cosa tu possa origliare mentre stai scorrazzando per l'ufficio del Comandante o l'alloggio di Valek. Il mio contatto paga secondo una scala mobile: più succosa è la notizia, più grosso il pezzo di formaggio.» «Come funziona?» La mia mente galoppava. Fino a quel momento era la sua parola contro la mia. Mi serviva una prova che potessi mostrare a Valek. Riuscire a mettere le mani sia su Margg sia sulla sua fonte sarebbe stato un bello scherzetto. «Tu mi dai le informazioni» rispose lei, «e io le passo al mio contatto, lo ricevo il denaro, e lo passo a te, meno un onorario del quindici per cento.» «E io dovrei credere che ti accontenteresti del quindici per cento tolto da un totale di cui io non sarei a conoscenza?» Lei scrollò le spalle. «O così o niente. Avrei pensato che un topo mezzo morto di fame come te si sarebbe gettato su ogni briciola, per quanto piccola.» Margg si avviò per andarsene. «E se andassimo insieme dalla tua fonte?» suggerii. «Allora riceveresti comunque il tuo onorario.» Si fermò. L'incertezza le contrasse il viso carnoso. «Dovrò controllare.» Scomparve lungo il corridoio. Indugiai fuori dai bagni per un po', considerando la possibilità di pedinare Margg per un paio di giorni, ma accantonai l'idea. Se al suo contatto non fosse piaciuto il mio suggerimento, avrei dovuto correre da lei con la coda tra le gambe, implorando un'altra possibilità. Le sarebbe piaciuto! Allora l'avrei seguita. Smascherarla

agli occhi di Valek come una traditrice sarebbe stato un piacere. La conversazione con Margg aveva esaurito il mio tempo ai bagni, così mi diressi all'ufficio del Comandante. Quando arrivai, Sammy, lo sguattero di cucina di Rand, si aggirava fuori dalla porta chiusa reggendo un vassoio di cibo. Potei udire, attutita, una voce irata all'interno. «Che sta succedendo?» domandai a Sammy. «Stanno litigando» rispose. «Chi?» «Il Comandante e Valek.» Presi dalle mani di Sammy il vassoio di cibo che si stava raffreddando. Non c'era ragione per cui dovessimo star lì entrambi. «Va' pure. Sono sicura che Rand ha bisogno di te.» Sammy sorrise sollevato e schizzò via attraverso la sala del trono. Avevo visto la cucina all'ora dei pasti: camerieri e cuochi sciamavano come api, con Rand a dirigere il caos. Abbaiando ordini, controllava la sua brigata di cucina come l'ape regina dell'alveare. Sapendo che al Comandante non piaceva il cibo freddo, restai accanto alla sua porta, attendendo una pausa nella conversazione. Dalla mia nuova posizione potevo udire chiaramente Valek. «Che accidenti vi è preso per cambiare il vostro successore?» domandava Valek. La risposta pacata del Comandante passò attraverso la porta di legno come un mormorio indecifrabile. «Nei quindici anni da cui vi conosco, non avete mai capovolto una decisione.» Il tono di Valek si fece più ragionevole. «Il mio non è uno stratagemma per scoprire il vostro successore. Voglio solo sapere perché avete cambiato parere. Perché adesso?» La risposta evidentemente non fu di gradimento di Valek, che con una stoccata sarcastica nella voce disse: «Sempre, Signore». Poi spalancò la porta, e io piombai barcollando dentro l'ufficio. Aveva un'espressione glaciale. Solo gli occhi mostravano la sua furia: erano pozze di lava fusa sotto una crosta di ghiaccio. «Yelena,

dove accidenti sei stata? Il Comandante sta aspettando la cena.» Senza attendere una risposta, Valek uscì a grandi passi nella sala del trono. Consiglieri e soldati si dileguarono dalla sua strada. L'ira di Valek sembrava estrema. Tutti a Ixia sapevano che uno degli otto Generali era stato scelto quale successore di Ambrose. Nel tipico stile paranoide del governo del Comandante, il nome del Generale prescelto era tenuto segreto. Ciascun Generale possedeva una busta che conteneva un pezzo di un mosaico. Quando il Comandante fosse morto, avrebbero assemblato il puzzle per rivelare un messaggio criptato. Sarebbe stata necessaria una chiave per decifrare il messaggio, una chiave che solo Valek deteneva. Il Generale designato avrebbe avuto allora il completo supporto dei militari e dell'entourage del Comandante. La teoria dietro l'enigma era che la segretezza avrebbe prevenuto chiunque dall'inscenare una ribellione a sostegno dell'erede designato, dal momento che l'erede era sconosciuto. Il rischio aggiuntivo che chi ereditava potesse essere ancora peggio del Comandante era un altro deterrente. Per quanto potevo vedere io, il cambio del Generale prescelto probabilmente non avrebbe avuto ripercussioni sulla vita quotidiana di Ixia. Non sapevamo chi fosse stato scelto originariamente, così la variazione non sarebbe stata di alcuna portata finché il Comandante non fosse morto. Mi avvicinai alla scrivania del Comandante Ambrose. Leggeva i suoi rapporti, per nulla turbato dalla sfuriata di Valek. Eseguii un rapido assaggio della sua cena; lui mi ringraziò e quindi mi ignorò. Sulla via del ritorno ai bagni, mi chiesi se l'informazione che avevo appena origliato avrebbe ottenuto un prezzo decente dal contatto di Margg. Soffocai la mia curiosità; non avevo alcun desiderio di commettere tradimento per denaro. Volevo solo uscire viva dalla situazione presente. E conoscendo Valek, non nutrivo dubbi che avrebbe scoperto qualsiasi incontro clandestino con Margg. Per quella sola ragione, dovevo provare che, indipendentemente da ciò che Margg credeva, io non ero una spia. Solo la visione mentale degli occhi brucianti di Valek puntati su di me mi scagliò dentro una palla rovente di paura.

Un lungo ammollo nei bagni placò le mie costole doloranti. Dal momento che erano ancora le prime ore della sera, ritenni prudente evitare Valek per un po'. Mi fermai in cucina per una cena tardiva. Dopo essermi servita della carne arrosto avanzata e una fetta di pane, portai il piatto dove Rand stava lavorando. Aveva una serie di ciotole, pentole e ingredienti sparsi in disordine sul tavolo. Occhiaie scure gli orlavano gli occhi iniettati di sangue, e i suoi capelli bruni stavano ritti in fuori dove vi aveva passato le mani bagnate. Trovai uno sgabello e un angolo libero sul tavolo di Rand, e consumai la mia cena. «Ti ha mandato il Comandante?» mi domandò il cuoco. «No. Perché?» «Ho finalmente ricevuto la ricetta del Creolo da Ving, due giorni fa. Ho pensato che il Comandante si stesse chiedendo di quella.» «A me non ha detto niente.» Due grossi invii di Creolo, senza la ricetta, erano arrivati per il Comandante da quando Brazell aveva lasciato il castello. Ogni volta, il Comandante aveva risposto con un grazie e un'altra richiesta della formula. Visto che la quantità ricevuta era abbondante, il Comandante aveva dato a Rand un po' di Creolo per trastullarvisi. Rand non l'aveva deluso. L'aveva fatto sciogliere, mescolato a bevande calde, aveva inventato nuovi dessert, fatto a scaglie e rimodellato in fiori e altre decorazioni commestibili per torte e pasticcini. Osservai il cuoco sbattere un impasto color mogano con piccoli movimenti secchi. «Come sta andando?» m'informai. «Malissimo. Ho ripetutamente seguito questa ricetta, e tutto ciò che ho ottenuto è questa schifosa poltiglia.» Rand sbatté il cucchiaio sull'orlo della terrina per farne cadere il residuo d'impasto. «Non vuol neppure saperne di solidificarsi.» Mi tese un foglio di carta un tempo bianca, sbaffato di macchie marroni e di farina. «Forse tu riesci a capire che cosa sto facendo di sbagliato.» Studiai la lista di ingredienti. Sembrava una normale ricetta, ma io

non ero un'esperta di cucina. Assaggiare, d'altro canto, stava diventando il mio forte. Presi una ditata dell'impasto e me lo feci scivolare sulla lingua. Un sapore così dolce da risultare nauseabondo mi invase la bocca. La consistenza era cremosa e l'impasto mi rivestì la lingua come il Creolo, ma gli mancava il gusto di noce, lievemente amaro, che controbilanciava la dolcezza. «Forse la ricetta è sbagliata» dissi, restituendo il foglio a Rand. «Mettiti nei panni di Ving. Il Comandante Ambrose adora il Creolo, e tu detieni l'unica copia della ricetta. La daresti via? O la useresti per favorire un trasferimento?» Rand si lasciò cadere stancamente su uno sgabello. «Che cosa faccio? Se non riesco a fare il Creolo, probabilmente il Comandante mi riassegnerà. Sarebbe troppo da sopportare per il mio ego.» Azzardò un debole sorriso. «Di' al Comandante che la ricetta è un falso. Incolpa Ving per la tua incapacità a riprodurre il Creolo.» Sospirando, Rand si strofinò la faccia tra le mani. «Non sono capace di gestire questo tipo di pressione politica.» Si massaggiò le palpebre con le punte delle lunghe dita. «In questo preciso momento, ucciderei per una tazza di caffè, ma immagino che il vino dovrà bastare.» Frugò nell'armadietto ed estrasse una bottiglia e due bicchieri. «Caffè?» «Tu sei troppo giovane per ricordare, ma prima del colpo di stato importavamo da Sitia questa bevanda assolutamente meravigliosa. Quando il Comandante chiuse la frontiera, perdemmo un'infinità di beni di lusso. Di tutti questi, quello che più mi manca è il caffè.» «Che ne dici del mercato nero?» domandai. Rand rise. «Probabilmente è disponibile. Ma non c'è un posto in questo castello dove potrei farlo senza essere scoperto.» «Molto probabilmente rimpiangerò di avertelo chiesto, tuttavia... perché no?» «L'odore. Il ricco e caratteristico aroma del caffè mi tradirebbe. Il profumo del caffè appena fatto può farsi strada attraverso l'intero

castello. Mi svegliavo con quello tutte le mattine prima del colpo di stato.» Rand sospirò di nuovo. «Il lavoro di mia madre era macinare le fave di caffè e riempire d'acqua i pentolini. È un procedimento molto simile a quello per fare il tè, ma il gusto è di gran lunga superiore.» Sedetti più ritta sul mio sgabello quando udii la parola fave. «Di che colore sono le fave del caffè?» «Marrone. Perché?» «Soltanto curiosità» risposi in tono calmo, anche se l'eccitazione mi bolliva dentro. Le mie fave del mistero erano marroni, e Brazell era abbastanza vecchio per sapere del caffè. Forse gli mancava quella bevanda e progettava di produrla. I miei sforzi di far fermentare la polpa del baccello si erano risolti in uno sciapo liquido color castagna che sapeva di marcio. I semi violacei dentro la polpa erano diventati fradici, e si erano coperti di moscerini. Avevo chiuso la finestra e messo all'asciutto i semi sul davanzale. Una volta asciutti, i semi erano virati sul marrone assumendo lo stesso aspetto e sapore delle fave della carovana. Eccitata di avere un collegamento tra le fave e i baccelli, mi ero però smontata quando non ero stata in grado di apprendere niente di più. «Il caffè ha un sapore dolce?» domandai. «No. È amaro. Mia madre era solita aggiungere zucchero e latte a metà dei suoi bricchi pronti, ma a me piaceva liscio.» Le mie fave erano amare. Non riuscii a restare oltre seduta e ferma; dovevo scoprire se Valek ricordava il caffè. Mi sentivo in imbarazzo a chiedere a Rand, non sapendo se Valek volesse fargli sapere dei baccelli del sud. Dopo aver detto arrivederci a Rand, che fissava tetro il fallimentare impasto bevendo il suo vino, tornai in fretta agli alloggi di Valek. Un rumore di libri che sbattevano salutò il mio ingresso. Valek infuriava in giro per il soggiorno, prendendo a calci pile di libri. Frammenti di pietra grigia coprivano il pavimento e aderivano a crateri d'impatto sulle pareti. Valek serrava una pietra in ciascuna mano.

Avevo sperato di poter discutere con lui le mie ipotesi sul caffè, ma decisi di aspettare. Disgraziatamente Valek mi scorse a fissarlo. «Che cosa vuoi?» sbuffò. «Niente» borbottai, e corsi in camera mia. Per tre giorni sopportai la collera di Valek. Sfogava il suo malumore su di me a ogni occasione, dandomi l'antidoto con malagrazia, parlando seccamente (se mai lo faceva), e guardandomi storto ogni volta che entravo in una stanza. Stanca di evitarlo e di nascondermi in camera mia, decisi di affrontarlo. Sedeva al suo scrittoio, volgendomi la schiena. «Potrei aver scoperto che cosa sono quei fagioli.» Era un esordio deboluccio. Quello che volevo realmente dire era: «Che accidenti ti prende?». Ma ritenni più prudente un approccio morbido. Ruotò su se stesso per guardarmi in faccia. L'energia della sua rabbia si era dissipata, sostituita da una freddezza da gelare le ossa. «Davvero?» La sua voce mancava di convinzione. Il fuoco nei suoi occhi si era spento. Arretrai. La sua indifferenza era più spaventevole della sua ira. «lo...» Deglutii, la bocca secca. «Stavo parlando con Rand, e lui ha detto di sentire la mancanza del caffè. Tu ti ricordi il caffè? Una bevanda del sud.» «No.» «Penso che le nostre fave potrebbero essere caffè. Se tu non sai che cos'è, forse potrei farle vedere a Rand. Se per te va bene?» Esitai. Il mio suggerimento era suonato come quello di un bambino che chiede un dolce. «Va' avanti; condividi le tue idee con Rand. Il tuo cocco, il tuo migliore amico. Sei proprio come lui.» Gelido sarcasmo rendeva pungenti le parole di Valek. Ero allibita. «Che cosa?» «Fa' come ti pare. Non me ne importa.» Valek mi voltò la schiena. Andai barcollando in camera mia, e poi chiusi a chiave la porta con dita tremanti. Appoggiandomi contro la parete, ripercorsi nella mia mente l'ultima settimana per vedere se ci fosse stato qualche

indizio del ritiro di Valek. Non riuscii a ricordare niente di rilevante. Ci eravamo detti a malapena una parola, e io avevo creduto che la sua ira fosse diretta contro il Comandante... fino ad ora. Forse aveva scoperto il mio libro di magia. Forse sospettava che io avessi qualche potere magico. La paura rimpiazzò la confusione. Distesa sul letto, quella notte, fissai la porta. Formicolante in ogni nervo, attendevo l'attacco di Valek. Sapevo che la mia era probabilmente una reazione esagerata, però non riuscivo a smetterla. Non potevo cancellare il modo in cui mi aveva guardata, come se fossi già morta. Giunse l'alba, e compii le azioni della giornata come una morta vivente. Valek mi ignorò. Neppure l'onnipresente buonumore di Janco riuscì a dissipare la mia paura. Attesi alcuni giorni prima di portarmi dietro le fave da mostrare a Rand. Lui era di umore migliore. Un gran sorriso gli graziava la faccia, e mi salutò con l'offerta di una girella alla cannella. «Non ho fame» risposi. «Non hai mangiato niente per giorni. Qual è il problema?» chiese Rand. Schivai la sua domanda chiedendo del Creolo. «Il tuo piano ha funzionato. Ho informato il Comandante che la ricetta di Ving era sbagliata. Ha detto che ci avrebbe pensato lui. Poi si è informato sulla brigata di cucina: stavano lavorando bene? Mi serviva più aiuto? lo sono riuscito solo a fissarlo perché mi sentivo come fossi nella stanza sbagliata. Di solito vengo accolto con sospetto e congedato con una minaccia.» «Questo non suona come buone relazioni.» Rand impilò alcune terrine e rassettò una sfilza di cucchiai. Il suo sorriso svanì. «La mia interazione con il Comandante e con Valek potrebbe essere considerata quantomeno rocciosa. Essendo piuttosto giovane e ribelle, subito dopo il colpo di stato tentai ogni scherzo possibile per sabotare il nuovo regime. Servivo al Comandante latte inacidito, pane raffermo, verdure marce e perfino carne cruda. A quel punto, stavo solo cercando di essere un fastidio.» Raccolse un cucchiaio e se lo picchiettò sul ginocchio. «Divenne una battaglia di volontà. Il Comandante era risoluto che io cucinassi per lui, e io ero

risoluto a essere o arrestato o riassegnato.»

Tump, tump, tump faceva il cucchiaio, e Rand continuò la sua

storia, con voce arrochita. «Poi Valek fece di mia madre l'assaggiatore ufficiale - questo fu prima che mettessero in atto quel dannato Codice di Comportamento - e non potevo sopportare che lei dovesse assaggiare la spazzatura che servivo al Comandante.» Antichi dolori contraevano i lineamenti di Rand. Fece girare il cucchiaio in circoletti tra le dita. Le parole mi mancarono. Il timore mi si insinuò su per la spina dorsale mentre meditavo sul destino della madre di Rand. «Dopo che accadde l'inevitabile, cercai di fuggire via, ma mi riacciuffarono poco prima del confine meridionale.» Rand si massaggiò il ginocchio sinistro. «Mi frantumarono la rotula, azzoppandomi come un dannato cavallo e minacciandomi di sistemarmi anche l'altra gamba se fossi scappato di nuovo. Ed eccomi qui.» Sbuffò sprezzante, spazzando via tutti i cucchiai dal tavolo, che caddero fragorosamente sul pavimento di pietra. «Ti dimostra quanto sono cambiato. Il Comandante è gentile con me e io sono contento. Una volta sognavo di avvelenare quel bastardo, di fare quell'estremo passo nella nostra battaglia. Ma ho questa debolezza, di affezionarmi all'assaggiatore ufficiale. Quando Oscove morì, promisi di non commettere mai più un simile errore.» Rand tirò fuori una bottiglia di vino. «Solo che ho fallito. Di nuovo.» Si ritirò nelle sue stanze. Mi ingobbii sopra il tavolo, rimpiangendo che le mie osservazioni avessero causato dolore a Rand. Le mie tasche erano scomodamente rigonfie delle fave. Mi agitai sullo sgabello. Liza aveva avuto un buon motivo quando mi aveva incolpato di essere causa dei suoi mutamenti d'umore. Le azioni di Valek con la madre di Rand sembravano crudeli dalla prospettiva di Rand. ma quando ci pensavo sotto il punto di vista di Valek, avevano un senso. Il suo compito era proteggere il Comandante. Vissi i due giorni seguenti come nella nebbia. Gli eventi si confondevano gli uni con gli altri. Assaggiare, assaggiare, assaggiare, assaggiare. Le imprecazioni di Ari e Janco e i loro tentativi di riscuotermi restarono senza successo. La notizia che potevo

cominciare a imparare a difendermi con il coltello mancò di produrre un qualsiasi entusiasmo. Mi sembrava di avere il corpo di legno come il bastone che reggevo. Quando Margg si materializzò dopo una delle mie sessioni di allenamento per informarmi che un incontro con il suo contatto era stato messo in programma per la sera seguente, fu con grande difficoltà che racimolai l'energia per tornare in me. Esaminai ogni possibile scenario, e qualsiasi combinazione di eventi continuava a condurmi a un'unica conclusione. Chi mi avrebbe creduto se avessi riferito dell'incontro? Nessuno. Mi occorreva un testimone che potesse anche fare da protettore. Mi balzò alla mente il nome di Ari. Ma non volevo che il sospetto calasse su di lui se qualcosa fosse andato storto. Era anche possibile che il contatto di Margg avesse un capo, o un'intera rete di informatori, e che io potessi mettere a rischio la mia testa. Per quanto la facessi ballare, non c'era che un'unica linea d'azione, e conduceva a un'unica persona: Valek. Temevo l'incontro. I miei rapporti con lui si erano ridotti alla silenziosa, imbarazzata consegna del mio antidoto ogni mattina. Dopo aver controllato la cena del Comandante, però, cercai Valek, con lo stomaco che faceva capriole. Il suo ufficio era chiuso a chiave, così provai nel suo appartamento. Lui non era nel soggiorno, ma udii un lieve suono dal piano di sopra. Una sottile lama di luce brillava sotto la porta dello studio di scultura. Un rumore di mola metallica mi fece venire la pelle d'oca. Esitai sulla soglia. Probabilmente quello era il momento peggiore per disturbarlo, ma dovevo incontrare il contatto di Margg il giorno seguente. Non avevo tempo da perdere. Raccogliendo il coraggio, bussai e aprii la porta senza attendere risposta. La lanterna di Valek vacillò. Lui smise di molare. La ruota girò in silenzio, riflettendo puntolini di luce che turbinavano lungo le pareti e il soffitto. Valek domandò: «Che c'è?». «Ho ricevuto un'offerta. Qualcuno è disposto a pagarmi in cambio di informazioni sul Comandante.»

Lui si girò di scatto. Il suo viso era per metà celato nell'ombra, tuttavia era rigido come la pietra che teneva in mano. «Perché me lo dici?» «Pensavo che tu potessi volerci seguire. Potrebbe essere la stessa persona che ha fatto trapelare notizie su di me.» Lui mi fissò. Rimpiansi allora di non avere in mano un pesante sasso, perché ebbi l'improvviso desiderio di scagliarglielo in testa. «Lo spionaggio è illegale. Potresti volerlo arrestare, o magari perfino fornire a questa fonte qualche informazione falsa. Capisci, roba da spie. Ricordi? O ti è venuto a noia pure questo?» La rabbia alimentava le mie parole. Presi fiato per lanciarmi in un attacco, ma questo mi scivolò inespresso tra i denti serrati. Il viso di Valek si ammorbidì lievemente. Da lui emanava un rinnovato interesse, come se avesse tenuto a lungo contratto ogni muscolo e l'avesse appena rilassato. «Chi?» chiese infine. «E quando?» «Margg si è rivolta a me, e ha fatto menzione di un contatto. Ci incontreremo domani notte.» Studiai la sua espressione. Era sorpreso o ferito dal tradimento di Margg? Non seppi dirlo. Interpretare il reale umore di Valek era come cercare di decifrare una lingua straniera. «D'accordo, procedi come previsto. Ti seguirò fino al luogo dell'incontro, e vedrò con chi abbiamo a che fare. Cominceremo dando in pasto a questo contatto qualche notizia esatta per farti apparire affidabile. Forse il cambio del successore da parte del Comandante funzionerebbe. È una notizia innocua che verrà resa pubblica comunque. Partiremo da lì.» Definimmo i dettagli. Anche se stavo mettendo a rischio la mia vita, mi sentivo gioiosa. Riavevo il mio vecchio Valek. Ma per quanto? Me lo chiesi, mentre la cautela si insinuava. Quando finimmo, mi voltai per andarmene. «Yelena.» Mi fermai sulla soglia, guardando indietro da sopra la spalla. «Una volta hai detto che non ero pronto a credere alla tua

motivazione per aver ucciso Reyad. Ti crederò adesso.» «Ma io non sono pronta a raccontartelo» replicai, e lasciai la stanza.

Capitolo 20 Accidenti a Valek! Dannazione, dannazione, dannazione a lui! Mi ignorava per quattro giorni e poi si aspettava che mi confidassi con lui? Avevo ammesso l'omicidio. Avevano arrestato la persona giusta. Questo era tutto quello che doveva importargli. Scendendo le scale al buio, mi diressi verso la mia camera. Devo uscire da questo posto, pensai con repentina intensità. Il desiderio di andarmene, e all'inferno l'antidoto, era soverchiante. Scappa, scappa, scappa mi cantava nella mente. Era una cantilena familiare, che avevo già sentito in precedenza, quando ero con Reyad. Ricordi che avevo creduto saldamente rinchiusi ora minacciavano di liberarsi, filtrando tra le crepe. Accidenti a Valek! Era colpa sua se non riuscivo più a tenere a bada i ricordi. In camera mia, chiusi a chiave la porta. Quando mi voltai, scorsi lo spettro di Reyad accomodato sul mio letto. La ferita sul collo era spalancata, e il sangue macchiava di nero la sua camicia da notte. In contrasto, i suoi capelli biondi erano pettinati all'ultima moda, i baffetti curati alla perfezione, e gli occhi azzurro chiaro splendevano. «Fuori di qui» gli intimai. Quello, rammentai a me stessa, era soltanto uno spettro intangibile e non c'era niente, assolutamente niente, di cui aver paura. «Si saluta così un vecchio amico?» domandò Reyad prendendo dal comodino un libro sui veleni e sfogliandone le pagine. Lo fissai sconvolta. Parlava nella mia mente. Reggeva un libro. Ma era un fantasma, un fantasma, continuavo a ripetermi. Reyad non ne fu toccato. Rise. «Tu sei morto» affermai. «Non dovresti essere a bruciare nell'eterna dannazione?» Reyad non si lasciò cacciare così facilmente. «La cocca del maestro» sentenziò, agitando il libro in aria. «Se soltanto tu avessi lavorato così duro per me, tutto sarebbe stato diverso.» «Mi piace com'è andata.»

«Avvelenata, inseguita, e nella stessa casa con uno psicopatico. Non è quella che io considererei una bella vita. La morte ha le sue prerogative.» Sbuffò, «lo vengo a osservare la tua miserabile esistenza. Avresti dovuto scegliere il capestro, Yelena. Ti avrebbe risparmiato un po' di tempo.» «Fuori di qui» ripetei, cercando di ignorare il tocco di isteria nella mia voce e il sudore che mi gocciolava lungo la schiena. «Lo sai che non arriverai mai a Sitia viva? Sei un fallimento. Lo sei sempre stata e sempre lo sarai. Affronta questa realtà. Accettala.» Reyad si alzò dal letto. «Hai deluso tutti i nostri sforzi per modellarti. Rammenti? Rammenti quando papà alla fine ha lasciato perdere con te? Quando ti ha lasciata a me?» Rammentavo...

Era la settimana della Festa del Fuoco, e Reyad era stato così occupato con il seguito del Generale Tesso in visita - soprattutto con la figlia di Tesso. Kanna - che non si era dato la pena di controllarmi. Dal momento che da un po' di tempo obbedivo pedissequamente a ogni suo comando per guadagnarmi una certa fiducia, si era adagiato nella presunzione di avermi indotto alla sottomissione. Quale risultato, era trascorso più di un mese da quando mi aveva chiuso a chiave nella mia stanzuccia, adiacente ai suoi alloggi. Ma la festa mi aveva tentato ancora una volta a disobbedire alle istruzioni di Reyad di starmene in disparte, e nemmeno le battiture e le umiliazioni dell'anno precedente bastarono a dissuadermi, quell'anno. In effetti, provavo un orgoglio ostinato a rifiutare di farmi intimidire da lui. Benché fossi terrorizzata all'idea che mi scoprissero, gettai al vento ogni cautela. La Festa del Fuoco era una parte di me, l'unico periodo in cui gustassi una vera libertà. Anche se sarebbe stato solo per pochi momenti, ne valeva la pena. La sfida aggiunse sapore ai miei esercizi acrobatici, rendendomi ardita e instancabile. Veleggiai per i primi cinque turni con padronanza, uscite perfettamente in equilibrio, volteggi serrati, livello di energia illimitato. Proseguii fino alla tornata conclusiva di

gare, che era in calendario per l'ultimo giorno della festa. Mi arrabattai per dare gli ultimi tocchi al mio costume di gara, mentre Reyad guidava Kanna e un gruppo di amici in una battuta di caccia in campagna. Ero andata a rubacchiare in giro per il castello per le due settimane precedenti, così da raggranellare le forniture necessarie al mio abbigliamento. Cucii frange di seta scarlatta su una calzamaglia nera, e poi le sottolineai con lustrini argentei. Delle ali tirate su un'armatura completavano il costume, ma le ripiegai piccole e piatte così che non mi intralciassero i movimenti. Intrecciandomi i capelli in un'unica lunga treccia, me l'avvolsi strettamente attorno alla testa e vi appuntai due fiammeggianti pennacchi rossi. Compiaciuta dei risultati, arrivai in anticipo alla tenda degli acrobati per esercitarmi. Quando la gara ebbe inizio, la tenda rigurgitava di gente. Le acclamazioni della folla presto si ridussero a un indistinto ruggito nelle mie orecchie, mentre eseguivo gli esercizi. Gli unici suoni a raggiungermi erano il tonfo delle mie mani e dei miei piedi sul trampolino, il cigolio della fune mentre mi lanciavo a mezz'aria per eseguire una capriola e mezza, e il crac della corda sottile quando vi atterravo sopra senza cadere. L'esercizio a terra era la mia ultima esibizione. Stavo sulle punte dei piedi sul limitare della pedana, respirando profondamente. Il pesante, terreno odore di sudore e l'asciutto scricchiolio di polvere di gesso mi riempivano i polmoni. Quello era il mio posto. Quella era casa mia. L'aria vibrava come un temporale sul punto di scoppiare. Energizzata come un fulmine, iniziai la prima sequenza di volteggi. Volai, quella notte. Roteando e tuffandomi nell'aria, quasi non toccavo terra con i piedi. Il mio spirito si librava in volo. Mi sentivo come un uccello che eseguiva aerei giochi per pura delizia. Al termine dell'ultima sequenza, mi afferrai le ali con entrambe le mani. Tirandole fino ad aprirle, le sollevai sopra la testa mentre eseguivo un salto mortale e atterravo in piedi. La tela di un vivido scarlatto delle ali si gonfiò dietro di me. Le tonanti acclamazioni della folla mi vibravano nel profondo del petto. La mia anima fluttuava con ali cremisi sull'onda della giubilante ovazione del pubblico. Vinsi il concorso. Una pura gioia senza complicanze mi consumò,

e sorrisi per la prima volta in due anni. I muscoli della faccia doloranti a forza di sorridere, salii sul podio per ricevere il premio dal Maestro di Cerimonie, che mi appuntò sul petto un amuleto rosso sangue, a forma di fiamma e con inciso l'anno e l'evento. Fu il momento più grande di tutta la mia vita... seguito dal peggiore, quando individuai Reyad e Kanna che mi osservavano tra la folla. Kanna era raggiante, ma l'espressione di Reyad era dura e inflessibile mentre la rabbia repressa filtrava dalle sue labbra contorte. Indugiai all'interno dello spogliatoio finché tutti se ne furono andati. C'erano due uscite nel tendone, ma Reyad aveva appostato le sue guardie a entrambe. Sapendo che mi avrebbe portato via la medaglia e l'avrebbe distrutta, la seppellii in profondità sotto il pavimento di terra battuta della stanza. Come mi aspettavo. Reyad mi agguantò non appena misi piede fuori dal tendone. Mi trascinò al maniero. Venne consultato il Generale Brazell. Concordò che non sarei mai stata una del suo gruppo. Troppo indipendente, troppo ostinata e troppo volitiva, disse Brazell, e mi cedette a suo figlio. Niente più esperimenti. Avevo fallito. Quella notte, Reyad riuscì a controllare la sua collera soltanto fino a quando non fummo soli nella sua stanza, ma una volta che la porta fu chiusa e sprangata, diede sfogo a tutta la sua rabbia tempestandomi di pugni e calci. «Volevo ucciderti per avermi disobbedito» disse lo spettro di Reyad scivolando per la mia stanza. «Pensavo di gustarmi la cosa per un lungo periodo di tempo, ma tu mi hai battuto. Dovevi aver tenuto quel coltello infilato sotto il mio materasso da un bel po'.» Fece una pausa, aggrottando la fronte meditabondo. Avevo rubato e nascosto un coltello sotto il letto di Reyad un anno prima, dopo che lui mi aveva picchiato per essermi esercitata. Perché il suo letto? Non avevo una vera strategia, solo un terribile presentimento che quando ne avrei avuto bisogno, sarebbe stato nella camera di Reyad e non nella mia stanzetta lì accanto. Sognare l'omicidio era facile; commetterlo era un'altra storia.

Anche se avevo sopportato molto dolore quell'anno, non avevo varcato la soglia della follia. Fino a quella notte... «Qualcosa ti ha fatto esplodere?» chiese lo spettro. «Oppure stavi procrastinando, come adesso? Imparare a combattere!» Ridacchiò. «Immaginati a respingere un aggressore. Non dureresti a lungo, contro un attacco diretto, lo dovrei saperlo.» Fluttuò sopra di me, costringendo i ricordi ad affiorare. Mi ritrassi da lui e dalla memoria di quella notte. «Va' via» dissi allo spettro. Raccolto il libro sui veleni mi distesi sul letto, decisa a ignorarlo. Lui impallidiva lievemente mentre leggevo, per ravvivarsi ogni volta che guardavo dalla sua parte. «È stato il mio diario a farti scattare?» domandò Reyad quando i miei occhi indugiarono troppo a lungo. «No.» La parola mi uscì di bocca, sorprendendomi. Mi ero persuasa che il suo diario fosse stato l'ultima goccia dopo due anni di tormenti. I ricordi dolorosi affluirono con una forza che mi scosse e mi lasciò tremante.

Una volta ripresi i sensi dopo le percosse, mi ritrovai distesa sul letto di Reyad, nuda. Producendo davanti a me il suo diario, lui mi ordinò di leggerlo, prendendo piacere nell'osservare il crescente orrore sul mio viso. Il suo diario elencava ogni singola lamentela che aveva avuto contro di me nei due anni in cui ero stata con lui. Ogni volta che gli disobbedivo o lo contrariavo, lui lo annotava, e poi aggiungeva una specifica descrizione di come mi avrebbe punito. Ora che Brazell non aveva più bisogno di me per i suoi esperimenti, Reyad non aveva costrizioni. Le sue sadiche inclinazioni e la soverchiante profondità di immaginazione erano scritte in ogni dettaglio. Mentre lottavo per respirare, il mio primo pensiero fu trovare il coltello e uccidermi. ma la lama si trovava dall'altro lato del letto, vicino alla testiera. «Cominceremo con la punizione a pagina uno, stanotte.» Reyad

sembrava ronfare pregustando la cosa mentre attraversava la stanza diretto alla cesta dei suoi giocattoli, estraendone catene e altri strumenti di tortura. Tornai all'inizio del diario sfogliandolo con dita intorpidite. La pagina uno registrava che avevo mancato di chiamarlo signore la prima volta che ci eravamo incontrati. E per non aver mostrato la necessaria deferenza, avrei assunto una postura di sottomissione sulle mani e le ginocchia, e poi sarei stata frustata. Lui avrebbe richiesto che lo chiamassi signore. A ogni frustata, avrei risposto con le parole: «Ancora, signore, per favore». Durante lo stupro che sarebbe seguito, mi sarei rivolta a lui chiamandolo signore, e l'avrei pregato di continuare la mia punizione. Il diario mi scivolò dalle mani paralizzate. Mi lanciai di là dal letto, intenzionata a trovare il coltello, ma Reyad, pensando che stessi cercando di scappare, mi afferrò. Il mio dibattermi fu inutile, quando mi costrinse sulle ginocchia. Tenendomi la faccia premuta sul ruvido pavimento di pietra, Reyad mi incatenò le mani dietro la nuca. L'aspettativa era più agghiacciante del fatto in sé. In un modo nauseante, era una consolazione, perché sapevo cosa aspettarmi e quando lui avrebbe smesso. Recitai la mia parte, comprendendo che se gli avessi negato le mosse preventivate, l'avrei soltanto fatto infuriare di più. Quando l'orrore infine cessò, il sangue mi copriva la schiena e rivestiva l'interno delle mie cosce. Mi rattrappii in una palla sull'orlo del letto di Reyad. La mente morta. Il corpo pulsante di dolore. Le sue dita erano dentro di me. Dove lui sarebbe sempre stato, mi esalò nell'orecchio mentre giaceva accanto a me. Questa volta il coltello era alla mia portata. I miei pensieri indugiarono sul suicidio. Poi Reyad disse: «Immagino che dovrò iniziare un nuovo diario». Non risposi. «Addestreremo una ragazza nuova, adesso che tu hai fallito.» Si rizzò a sedere, e affondò più profondamente le dita dentro di me. «Su. sulle ginocchia. È ora di passare a pagina due.»

«No!» urlai. «Non lo farai!» Annaspando per un frenetico secondo, estrassi il coltello e gli tagliai la gola. Era solo un taglio superficiale, ma lui cadde all'indietro sul letto per la sorpresa, lo gli balzai sul torace, e sferrai un fendente più profondo. La lama grattò sull'osso. Il sangue schizzò. Un caldo senso di soddisfazione mi pervase quando mi resi conto di non poter più stabilire di chi fosse il sangue che si raccoglieva a pozza tra le mie cosce. «Così è quello che ti ha fatto scattare? Il fatto che stavo per stuprarti di nuovo?» chiese lo spettro di Reyad. «No. È stato il pensiero di te che torturavi un'altra ragazza dell'orfanotrofio.» «Oh, sì.» Sbuffò sprezzante. «Le tue amichette.» «Le mie sorelle» lo corressi. «Ti ho ucciso per loro, anche se avrei dovuto farlo per me stessa.» La rabbia mi montò in corpo. Lo misi all'angolo. I miei pugni colpirono benché sapessi in una parte minuscola della mia mente di non potergli fare male. La sua espressione di sufficienza non mutò mai, tuttavia io colpii e colpii di nuovo finché i primi raggi dell'alba non toccarono il fantasma di Reyad facendolo svanire alla vista. Singhiozzando, mi accasciai sul pavimento. Solo dopo un po' mi resi conto del mio stato. Avevo i pugni insanguinati a forza di colpire la ruvida parete di pietra. Ero esausta e svuotata di qualsiasi emozione. Ed era tardi per la colazione. Accidenti a Valek! «Fai attenzione» disse Ari, pugnalandomi allo stomaco con un coltello di legno. «Sei morta. Questa è la quarta volta oggi. Qual è il problema?» «Mancanza di sonno» risposi. «Mi dispiace.» Ari mi indicò la panca lungo la parete. Sedemmo a osservare Maren e Janco, impegnati in un amichevole scontro con l'archetto sul lato più lontano del magazzino. La velocità di Janco aveva sopraffatto la tecnica di Maren, e lei era in ritirata, messa alle strette in un angolo.

«Lei è alta e flessuosa, ma non sarà vittoriosa» canticchiò Janco. Le sue parole miravano a farla infuriare... una tattica che in precedenza aveva funzionato. Troppo spesso la rabbia di Maren le faceva compiere errori fatali. Questa volta però restò calma. Si piantò l'estremità del bastone tra i piedi, trattenendo l'arma vicino al corpo, e poi volteggiò sopra la testa di Janco, atterrò dietro di lui, e lo afferrò per il collo finché non si arrese. Il mio umore schifoso migliorò di una tacca vedendo Maren usare qualcosa che le avevo insegnato io. L'espressione indignata sulla faccia di Janco era impagabile. Insistette per avere la rivincita, così si lanciarono in un altro turbolento duello. Ari e io restammo sulla panca. Penso che Ari intuisse che non avevo energia per continuare la nostra lezione. «C'è qualcosa che non va» mi disse con voce pacata. «Cosa?» «lo...» M'interruppi, incerta su come rispondergli. Dovevo raccontargli della freddezza di Valek e di come avesse cambiato idea? O della mia conversazione, durata tutta la notte, con il fantasma dell'uomo che avevo assassinato? No. Gli chiesi invece: «Pensi che sia tempo sprecato?». Le parole di Reyad sul fatto di procrastinare contenevano un pizzico di verità. Forse il tempo che passavo ad allenarmi era soltanto un sotterfugio del subconscio per evitare di risolvere i miei reali problemi. «Se pensassi che è tempo sprecato, non sarei qui.» Una traccia di collera tingeva la voce di Ari. «Ne hai bisogno, Yelena.» «Perché? Potrei morire ancor prima di avere un'occasione per servirmene.» «Per come la vedo io, sei già brava a scappare e a nasconderti. Ti ci è voluta una settimana per trovare il coraggio di parlare con Maren. E se fosse per te, sarebbe ancora qui a chiamarti Vomitatrice. Hai bisogno di imparare a stare ritta e a combattere per quello che vuoi.» Ari giocherellò con il coltello di legno, facendoselo girare attorno alla mano. «Stai sempre ai bordi, pronta a svignartela se qualcosa va storto. Ma quando saprai sbalzare il bastone di mano a Janco e togliermi i piedi di sotto, ti sentirai più forte.» Fece una pausa, poi aggiunse: «Se

senti di dover spendere il tuo tempo in qualcos'altro, fallo... in aggiunta all'allenamento. Così la prossima volta che qualcuno ti chiama Vomitatrice, avrai la sicurezza necessaria per dirgli di andare all'inferno». Ero sbalordita da come Ah mi aveva inquadrata. Non avrei neanche saputo dire se fossi d'accordo o meno con lui, però sapevo che aveva ragione sul mio impulso a fare qualcos'altro. Lui non sapeva che cosa fosse, ma io sì: trovare l'antidoto alla Polvere di Farfalla. «È questa la tua idea di incoraggiamento?» chiesi con voce scossa. «Sì. Adesso, però, piantala di cercare una scusa per smettere di allenarti e confidati con me. Di che cos'altro hai bisogno?» La pacata intensità della voce di Ari mi fece scoccare un brivido gelido su per la spina dorsale. Sapeva che cosa avevo in progetto, oppure le sue erano semplici supposizioni? Le mie intenzioni erano sempre state trovare l'antidoto e scappare a Sitia. Fuggire, fuggire, fuggire. Ari aveva ragione su questo. Ma scappare a sud rendeva necessario che io fossi al massimo della condizione fisica, e che avessi la capacità di difendermi dalle guardie. Comunque fosse, avevo eluso un importante dettaglio: Valek. Lui mi avrebbe inseguito fino a Sitia, e passare il confine non mi avrebbe messo al sicuro. Neppure la magia di Irys poteva proteggermi. Valek avrebbe considerato la mia cattura o la mia morte una sua personale responsabilità. E questo era ciò che avevo tanto timore di affrontare. Era a questo che stavo danzando intorno. Mi ero concentrata sull'allenamento per non dovermi misurare con il dilemma che temevo di non essere abbastanza intelligente per risolvere. Dovevo migliorare la mia strategia, includere non solo l'ottenimento dell'antidoto, ma anche come vedermela con Valek senza ucciderlo. Dubitavo che Ari avesse la soluzione. «Ah, potresti battere Valek con questi colpi!» Janco sbuffò bloccando il bastone di Maren. «Riderà a crepapelle per come sono pateticamente deboli, dandoti così un'apertura perfetta.» Maren restò silenziosa, ma aumentò l'intensità dell'attacco. Janco arretrò.

Le parole di Janco si rimescolarono nella mia mente. Un bizzarro, piccolo piano a lungo termine cominciò a prendere forma. «Ah, puoi insegnarmi ad aprire le serrature?» Lui considerò in silenzio le mie parole. Infine rispose: «Janco potrebbe farlo». «Janco?» Ari sorrise. «Sembra un innocuo compagnone, ma da ragazzo ha combinato ogni sorta di malefatte fino a quando non si è trovato alle corde, in trappola. Allora gli hanno offerto una scelta, o arruolarsi nell'esercito o andare in galera. Adesso è Capitano. Il vantaggio più grosso che ha, è che nessuno pensa che sia serio, e questo è esattamente quello che vuole.» «Cercherò di ricordarmelo, la prossima volta che tra uno scherzo e l'altro mi spacca le costole.» Guardai Maren battere Janco per la seconda volta. «Battuta tre volte su cinque, la signora non lo può negar!» vociò Janco senza un filo di stanchezza. Maren fece spallucce. «Se il tuo orgoglio può sopportarlo» rispose, spazzandogli con il bastone sotto i piedi. Lui saltò, evitando l'attacco con grazia atletica, e vibrò un affondo. Il ritmico ticchettio di legno contro legno riempì la nostra sala da esercitazione. Ari si alzò, assumendo una posizione di difesa, e in un modo o nell'altro io trovai l'energia per fronteggiarlo. Dopo aver lavorato, sedevamo tutti e quattro a riposare sulla panca quando arrivò Valek. Maren scattò in piedi, come se pensasse che essere sorpresa seduta in ozio fosse un crimine, ma il resto di noi mantenne la posizione rilassata. Trovavo affascinante osservare i piccoli mutamenti nel comportamento di Maren ogni volta che Valek era nei paraggi. Il suo atteggiamento ruvido si ammorbidiva, sorrideva di più e cercava di attirarlo in una conversazione o in uno scontro. Per la maggior parte del tempo lui passava in rassegna tattiche di combattimento insieme a lei, o conduceva un'esercitazione, e lei si lisciava il pelo come una gatta di strada che voleva attrarre il micione più grosso. Questa volta, però, lui voleva parlare con me. Da sola. Gli altri lasciarono la stanza. Maren mi

scoccò un'occhiata cupa con la forza di uno dei suoi fendenti con l'archetto. Avrei pagato per questo l'indomani, pensai. Valek camminava avanti e indietro. Con un senso di disagio, sperai non fosse in cerca di un sasso da scagliare. «C'è qualcosa che non va?» gli domandai. «È per via di stanotte?» L'eccitazione di smascherare Margg inacidì trasformandosi in nervosismo quando pensai al rischio che avrei corso. Mi affiorò alla mente l'idea che questa potesse essere un'altra perdita di tempo. Accidenti al fantasma di Reyad! Mi stava facendo dubitare di ogni cosa. Quella falla investiva la mia vita. Qualcuno aveva tempestivamente avvisato quegli scagnozzi alla Festa del Fuoco, e Irys aveva saputo che io ero nella foresta. Margg doveva essere fermata. «No. Siamo a posto per stasera» rispose Valek. «Si tratta del Comandante.» S'interruppe. «Che cos'ha?» «Si è incontrato settimana?»

con

qualche

personaggio

strano

questa

«Strano?» «Qualcuno che tu non conosci, o un consigliere di un altro Distretto Militare?» «Non che io abbia visto. Perché?» Valek fece un'altra pausa. Potevo veder girare le rotelle nella sua testa mentre rifletteva se fidarsi di me o no. «Il Comandante Ambrose ha acconsentito ad accogliere una delegazione sitiana.» «E questo è un male?» domandai confusa. «Lui odia la gente del sud! Hanno richiesto un incontro con lui ogni anno dal colpo di stato, e per gli ultimi quindici anni il Comandante ha risposto con una sola parola: no. Adesso sembra che arriveranno entro una settimana.» Il passo di Valek accelerò. «Fin da quando tu sei diventata l'assaggiatore ufficiale ed è saltato fuori il Creolo, il Comandante sta agendo in modo insolito. Prima non potevo puntare il dito, era solo una fastidiosa sensazione, ma adesso ho due specifici incidenti.»

«Il cambio del successore e adesso la delegazione del sud?» «Esattamente.» Non avevo risposte. La mia esperienza con il Comandante era stata l'esatto contrario di ciò che mi ero aspettata da un dittatore militare. Prendeva in considerazione le opinioni altrui, era fermo, deciso e onesto. Il suo potere era evidente; ogni ordine veniva eseguito all'istante. Viveva l'esistenza spartana che propagandava. Non c'era paura nei suoi consiglieri e ufficiali d'alto rango, solo inflessibile lealtà e immenso rispetto. L'unico racconto dell'orrore che avessi udito dal colpo di stato era sulla madre di Rand. Ovviamente, gli assassinii commessi in precedenza erano famigerati. Valek si fermò e prese un profondo respiro. «Ho deviato un po' di Creolo al nostro alloggio. Voglio che tu ne mangi un pezzo ogni volta che lo fa lui. Ma non devi dirlo a nessuno, neppure al Comandante. È un ordine.» «Sì, signore» risposi automaticamente, ma la mia mente turbinava sul fatto che avesse chiamato l'alloggio nostro. Avevo sentito bene?, mi domandai. «Vai comunque all'incontro con Margg stanotte, lo sarò là.» «Devo raccontare al contatto di Margg della delegazione del sud?» «No. Usa il cambio del successore del Comandante. Sta già circolando come voce, così ti limiterai a confermarlo.» Valek uscì a grandi passi dalla stanza. Per evitare che qualcuno scoprisse fortuitamente la nostra sala da esercitazione, nascosi le armi da addestramento, rimossi tutte le tracce visibili della nostra presenza e chiusi la porta. Mentre mi dirigevo ai bagni, i miei pensieri insistevano sull'incontro di quella notte. Distratta, superai una porta aperta. Una stranezza. In quel settore del castello, gran parte delle porte conducevano a dei magazzini ed erano tenute chiuse. Vi fu un movimento indistinto alla mia sinistra. Delle mani mi afferrarono il braccio e mi tirarono dentro. La porta si chiuse sbattendo. Calò il buio totale. Fui scagliata faccia avanti contro un

muro di pietra. L'aria mi uscì dai polmoni per l'impatto. Mi voltai. La schiena al muro, ansimai per respirare. «Sta' quieta» cantilenò beffarda una voce maschile. Mirai verso la voce con un calcio frontale, ma incontrai soltanto aria. Una risata mi schernì. Venne accesa una candela. Il debole bagliore giallastro si rifletté su una lunga lama argentea. Terrorizzata, risalii dal coltello fino alla mano, poi lungo il braccio, e su fino alla faccia. Nix.

Capitolo 21 «Perché?» Nix posò la candela tra le ragnatele che coprivano come una trina il piano del tavolo. «Perché sono sempre io il più furbo?» Si fece più vicino. lo tirai un altro calcio, ma lui lo bloccò con facilità. «Perché i miei tentativi di scoraggiarti non hanno funzionato?» Nel vacillare della luce della candela, si mosse. La lama del coltello mi premette alla gola. «Forse devo essere più esplicito?» Gli odori di cavolo bollito e umori corporei mi penetrarono nel naso. Mantenendo il corpo immobile, domandai nel tono di voce più neutro e intemerato che mi riuscì: «Qual è il problema per te?». «Il problema per me è che nessuno ti vede come una minaccia. Ma io sono più furbo di Ari, Janco e Maren. Sono più furbo perfino di Valek. Non è vero?» Quando mancai di rispondere. Nix aumentò la pressione sul coltello. «Non è vero?» Una sottile linea di dolore mi bruciò lungo il collo. «Sì» risposi. Nell'aria, dietro Nix, lo spettro di Reyad si materializzò dal pulviscolo, esibendo un sorrisetto di sufficienza. «Il mio capo vuole che tu la smetta di addestrarti. Non mi è permesso ucciderti, però. Peccato.» Nix mi accarezzò il viso con la mano libera. «Sono qui per avvertirti.» «Parffet? Perché dovrebbe importargli?» Mentre cercavo di distrarlo, la mia mente frugava freneticamente tra le brevi sessioni di autodifesa con il coltello insieme ad Ari. Accidenti, pensai, perché non avevo prestato maggior attenzione? «Non gli importa, infatti. L'unica cosa che interessa a quell'ottuso di Parffet è essere promosso. Ma il Generale Brazell nutre un vivo interesse nel tuo nuovo passatempo.» Nix mi infilò tra le gambe la mano libera e premette il suo corpo sul mio. Per un istante di terrore, restai raggelata. Il panico mi cancellò dalla mente tutte le tecniche di autodifesa. Un morbido ronzio cominciò a crescere dentro la mia testa, ma io lo estinsi, lo

allontanai, ed esso si trasformò in una semplice scala musicale di note. Fluì la calma. Le necessarie mosse di difesa mi apparvero davanti agli occhi. Gemetti e dondolai le anche, rendendo più stabile la mia postura. Nix sorrise deliziato. «Sei proprio la puttana che pensavo. Adesso, ricorda, devi essere punita.» La parte superiore della coscia sostituì la mano. Cominciò a strattonarmi la cintura. lo strusciai il ginocchio tra le sue gambe, poi gli sferrai un colpo dritto all'inguine. Con un grugnito, Nix si piegò in due. lo afferrai la sua lama con entrambe le mani per impedire che mi affondasse ulteriormente nella gola. La voce pratica di Ari, Meglio tagliarti le mani che il collo, mi echeggiò nella mente proprio mentre trasalivo per il dolore acuto. Concentrandomi sul coltello, respinsi da me l'arma. Nix indietreggiò incespicando. «Cagna!» esclamò schifato e tirò indietro il braccio per brandire il coltello. Come la lama si abbatté verso di me, io avanzai avvicinandomi al suo corpo, così quando mi voltai la mia spalla destra gli sfiorò il petto. Usando il taglio delle mani aperte, gli colpii spalla e avambraccio. La forza combinata del mio colpo e del suo fendente indolenzì il braccio di Nix. L'arma cadde tintinnando a terra. Afferrandogli il braccio, lo torsi finché il palmo non puntò al soffitto. Poi ruotai, piazzandogli la mia spalla destra sotto il gomito. Con tutta la forza che avevo, gli tirai la mano verso il basso. Udii un sonoro schiocco seguito da un urlo quando il braccio di Nix si spezzò. Girandomi per fronteggiarlo, gli tirai due pugni sul naso. Il sangue ruscello. Mentre lui era in equilibrio instabile, gli diedi un calcio alla rotula, rompendogliela. Nix crollò a terra. Gli ballonzolai attorno, sferrandogli calci nelle costole. Il sangue mi rombava e ribolliva nelle vene. I suoi deboli tentativi di bloccarmi non fecero che alimentare la mia frenesia. In quello stato mentale, avrei potuto ucciderlo. Lo spettro di Reyad mi incitò. «Così si fa, Yelena» incalzò. «Uccidi un altro uomo, ed è la forca assicurata.» In qualche modo le sue parole raggiunsero la parte razionale della

mia mente, e io mi fermai, respirando forte. Nix era immobile. Mi inginocchiai accanto a lui e gli tastai il polso. Le punte delle mie dita incontrarono un battito energico. Il sollievo che mi invase svanì quando Nix mi afferrò il gomito. Strillai e lo colpii in faccia con un pugno. La presa si allentò, e io liberai il braccio con uno strattone. Recuperando il coltello dal pavimento, accolsi il consiglio spesso ripetuto da Janco a proposito dell'autodifesa: Colpisci e vai. Mi misi a correre. Ma questa volta la paura non mi seguì. Corsi con immaginarie ali scarlatte che fluttuavano dietro di me. Muovendomi in fretta per tenere sotto controllo il tremito che minacciava di sopraffarmi, raggiunsi i bagni. Erano deserti a quell'ora della giornata, così nascosi il coltello di Nix sotto uno dei tavolini per gli asciugatoi. Controllai nello specchio l'estensione della mia ferita. Il taglio sul collo aveva smesso di sanguinare, ma due profonde incisioni sui palmi delle mani mi parvero abbastanza serie da esigere l'attenzione del medico. C'era anche un bagliore selvaggio, irriconoscibile, nei miei occhi, come se fossi diventata ferina. Snudai i denti e pensai: Adesso chi è il topo? Meditai sulla prossima mossa da fare, incerta. Il Comandante mi aspettava per assaggiare la sua cena, ma non potevo certo sanguinare sul cibo. L'iniziale impeto di energia proveniente dallo scontro con Nix stava scemando, e un'ondata di stordimento prese il suo posto. Mi diressi verso l'infermeria, sperando di raggiungerla prima di svenire. Il dottor Mammina, valutata rapidamente la situazione, mi indicò un lettino da visita. Mi appollaiai in bilico sull'orlo e protesi le mani per l'esame. «Come...» iniziò lei. «Vetri rotti» risposi. Lei annuì, le labbra serrate, riflettendo. «Prendo l'occorrente per suturare.» Mi sdraiai sul lettino quando lei tornò con il vassoio metallico carico di strumenti. Un vasetto della colla di Rand sembrava fuori posto tra gli arnesi chirurgici, come un giocattolo da bambini circondato da armamentari da adulti. Le mani avevano cominciato a

pulsarmi, e avevo paura delle azioni del medico. Voltai il capo in tempo per vedere Valek irrompere nell'infermeria. Proprio quello che mi ci voleva, pensai sospirando. Era stata una giornataccia d'inferno. «Cos'è successo?» domandò Valek. Io guardai la dottoressa. Lei mi prese la mano destra e cominciò a pulirmi la ferita. «Il vetro rotto lascia lacerazioni frastagliate. Questi tagli netti sono evidentemente di coltello. Sono tenuta a fare rapporto.» Il medico aveva fatto rapporto a Valek e lui non se ne sarebbe andato senza una risposta. Con rassegnazione mi concentrai su di lui, sperando di distrarmi dal dolore alle mani. «Sono stata aggredita.» «Da chi?» Tono tagliente. Lanciai un'occhiata in tralice al medico, e Valek capì. «Potresti scusarci per un minuto?» le chiese. Lei imbronciò le labbra come se valutasse la richiesta. La sua autorità superava quella di Valek in tutte le situazioni sanitarie. «Cinque minuti» ordinò, e andò alla sua scrivania all'estremità opposta dell'infermeria. «Chi?» ripeté Valek. «Nix, una guardia dell'unità di Parffet. Ha detto che lavorava per Brazell e mi ha avvertito di smetterla di allenarmi.» «Lo ucciderò.» L'intensità della voce di Valek mi scosse e mi allarmò. «No, non lo farai» ribattei, cercando di suonare ferma. «Lo userai. Lui è una connessione con Brazell.» I suoi duri occhi blu cercarono i miei e catturarono il mio sguardo, indagando nel profondo. «Dove ti ha assalito?» «In un magazzino a circa quattro o cinque porte dal nostro luogo di esercitazione.» «Ormai se ne sarà già andato da un pezzo. Manderò qualcuno alle baracche.»

«Non sarà là.» «Perché no?» Valek mi rivolse uno sguardo che mi ricordò il Comandante. Le sue sopracciglia erano sollevate nello sforzo di reprimere le emozioni, invitandomi a continuare. «Se non è nel magazzino, non sarà andato così lontano. Potresti doverci mandare un paio di uomini.» «Capisco.» Valek fece una pausa. «Così il tuo addestramento ha dato risultati soddisfacenti?» «Meglio di quanto mi aspettassi.» Valek lasciò l'infermeria. Il dottor Mammina, la spiona, tornò al mio fianco. La prossima volta, pensai amaramente, mi curerò da sola, così eviterò di venire tradita dal medico. Avevo ancora un vasetto della colla di Rand nello zaino. Quanto poteva essere dura sigillare un paio di tagli? Mi morsi il labbro inferiore mentre lei terminava di pulire e sigillare le mie ferite. Avvolgendomi strettamente delle bende attorno alle mani, mi diede istruzioni che avrebbero loro permesso di guarire: niente immersioni in acqua per un giorno, niente sollevamento pesi né scrivere per una settimana. Il che significava niente allenamenti per un po', pensai. Entrarono gli uomini di Valek. Lasciarono cadere Nix su un altro lettino da visita. La dottoressa mi scoccò un'espressione interrogativa, dopodiché si diede da fare sulla forma gemente di Nix, dandomi la perfetta occasione per andarmene. Mi affrettai verso l'ufficio del Comandante, ma Valek mi aveva battuto sul tempo. Chiuse la porta dietro di sé mentre si univa a me nella sala del trono. «Mi sono occupato io della cena» disse, guidandomi a ritroso attraverso il labirinto di scrivanie. Erano le prime ore della sera, e solo una manciata di consulenti stava lavorando. «Trova Margg e annulla l'incontro di stanotte, poi torna ai nostri alloggi e riposati un po'» ordinò. «Annullare? E perché? Sembrerebbe sospetto. Porterò dei guanti per coprire le bende. Fa abbastanza freddo la notte; nessuno ci farà

caso.» Quando lui non ribatté, aggiunsi: «Sto bene». Lui sorrise. «Dovresti guardarti allo specchio.» Esitò, aggrottando il viso nell'indecisione. «D'accordo. Procederemo come stabilito.» Ci fermammo sulla porta del suo ufficio. «Ho del lavoro da finire. Riposati e non preoccuparti. Sarò lì vicino, per stanotte.» Inserì la chiave. «Valek?» «Sì.» «Che cosa accadrà a Nix?» «Lo rappezzeremo un po', lo minacceremo prospettandogli anni nelle segrete se non coopera, e quando avrà finito di esserci d'aiuto lo riassegnerò a DM-I. È abbastanza? O dovrei ucciderlo?» Il Distretto Militare I era il più freddo e squallido distretto di Ixia. La possibilità che Nix cadesse preda di un gatto delle nevi mi fece comparire sul viso un ghigno maligno. «No. Il riassegnamento va bene. Se l'avessi voluto morto, avrei provveduto io stessa.» Valek irrigidì la schiena, scoccandomi un'occhiata. Una combinazione di sorpresa, divertimento e allerta per la mia affermazione gli lampeggiò sul viso prima che tirasse le redini alle sue emozioni e fosse di nuovo il mio Valek dal viso di pietra. lo sorrisi con la mia migliore espressione alla Janco e mi avviai giù per il corridoio. Il riposo avrebbe dovuto aspettare dal momento che avevo una quantità di commissioni da fare prima dell'incontro di quella sera. Primo, avevo bisogno di un paio di guanti e di un mantello. Siccome la stagione fresca declinava rapidamente verso quella fredda, le nottate si erano fatte pungenti e frizzanti, rivestendo ogni cosa di una coltre di brina così che i fili d'erba scintillavano come diamanti quando venivano toccati dal sole mattutino. Ringraziando la sorte che Dilana fosse ancora nel laboratorio di sartoria, chiacchierai con lei degli ultimissimi pettegolezzi prima di presentare la mia richiesta. «Povera me» esclamò con il tono di una matrona preoccupata. «Non hai nessun abito per il freddo!» Si affaccendò attorno alle pile

di uniformi. I suoi soffici riccioli color miele ondeggiavano a ogni movimento. «Perché non sei venuta da me prima?» mi rimproverò. lo risi. «Non ne ho avuto bisogno, finora. Dilana, fai la madre con tutti nel castello?» Lei smise di impilare vestiti per guardarmi. «No, cara, solo con quelli che ne hanno bisogno.» «Grazie» risposi in tono di affezionato sarcasmo. Quando ebbe finito di equipaggiarmi per la stagione fredda, ero inondata di un mucchio di vestiti. Con tutta quella biancheria di flanella, calzettoni di lana e stivali pesanti, probabilmente sarei potuta sopravvivere sulla banchisa polare per settimane. Accantonai il mucchio in un angolo della stanza e chiesi a Dilana di farli recapitare da qualcuno agli alloggi di Valek. «Ancora là?» domandò lei con un sogghigno. «Per ora. Ma penso che quando le cose si saranno aggiustate, tornerò nella mia vecchia stanza.» Quando?, pensai acida. Era piuttosto un se. Scelsi un pesante mantello nero dalla pila, infilai nelle sue profonde tasche dei guanti di lana nera, e poi me lo drappeggiai sul braccio. Il mantello aveva due diamanti rossi delle dimensioni di una mano impunturati a sinistra sul petto e un enorme cappuccio la cui funzione era più quella di ripararmi la faccia dalla pioggia che tener calda la testa. «Penso che ci resterai a lungo» commentò Dilana. «Perché?» «Credo che Valek provi del tenero per te. Non l'ho mai visto interessarsi tanto a un assaggiatore prima d'ora. Di solito li addestra e li lascia nel loro brodo. Se c'era il potenziale per dei guai, incaricava uno dei suoi scagnozzi di spiare l'assaggiatore, ma non si disturbava per lui personalmente, figuriamoci viverci insieme!» Il suo viso irradiava l'avido barlume di un pettegolezzo. «Sei matta. Visionaria.» «In effetti, non si è mai interessato a una donna prima d'ora. Iniziavo a sospettare che potesse preferire uno dei suoi spioni, ma

adesso...» Fece una pausa teatrale. «Adesso abbiamo l'adorabile, intelligente Yelena a far battere il cuore di Valek.» «Davvero dovresti uscire di più dal tuo laboratorio. Hai bisogno di aria fresca e di una bella dose di realtà» commentai, troppo accorta per credere a una sola parola che Dilana avesse detto, e tuttavia incapace di controllare lo sciocco sorrisetto sulla mia faccia. Il suo riso dolce e melodioso mi seguì nel corridoio. «Tu sai che ho ragione» mi gridò dietro. L'unica ragione per cui Valek si interessava a me, pensai mentre camminavo per i cupi corridoi, era perché mi considerava un enigma da risolvere. Una volta che avesse avuto tutte le risposte sulla maga del sud e su Brazell, mi avrebbe rispedito nella mia cameretta nell'ala dei servitori. Non potevo permettermi di credere niente di diverso. Un conto era avere un'innocua infatuazione che non avrebbe avuto alcuna influenza sui miei piani - perché non l'avrebbe avuta, assolutamente no - tutt'altro pensare che lui provasse lo stesso verso di me. Sarebbe stato disastroso. Così cercai di convincermi che Dilana, benché fosse un tesoro, era vittima della propria immaginazione iperattiva e si sbagliava. Ci provai con tutte le forze. Tentai per tutta la strada fino alle cucine. Ci provai quando vidi Rand zoppicare attorno ai suoi forni, rammentandomi che Valek era spietato e aveva assassinato dozzine di persone. Il sangue del Re ancora decorava il pugnale di Valek. Valek era mortale, lunatico ed esasperante. Ma per qualche ragione, non riuscivo a far sparire quel sorrisetto sciocco dalla mia faccia, per quanto ci provassi. Posando il soprabito su uno sgabello, mi servii una cena tardiva. Rand terminò di far girare allo spiedo le sue porchette e tirò uno sgabello accanto a me. Mi venne l'acquolina in bocca all'aroma di maiale arrosto. «Qual è l'occasione?» domandai. Maiale arrosto era un piatto raro, che richiedeva un giorno intero per cuocersi ed era servito solo in speciali momenti. «I Generali che vengono in visita questa settimana. Sono stati richiesti tutti i miei piatti speciali. Mi è stato perfino ordinato di

preparare un festino abbiamo avuto uno labbra. «In effetti, Comandante è salito sperimentare.»

per la prossima settimana. Un festino! Non ne da quando...» Scosse il capo, imbronciando le non ne abbiamo mai avuti da quando il al potere.» Rand sospirò. «Non avrò tempo per

«Avresti tempo per dare un'occhiata a queste?» Tirandomi fuori di tasca una manciata delle fave del mistero, le porsi a Rand. Avevo aspettato a lungo la perfetta opportunità per mostrargliele. «Le ho trovate in un vecchio magazzino, e pensavo che forse potevano essere le tue fave di caffè.» Immediatamente lui chinò la testa e aspirò profondamente. «No, sfortunatamente no. Non so che cosa siano. Le fave del caffè sono lisce e hanno una forma più tondeggiante. Queste sono ovali. Vedi? E a protuberanze.» Rand le sparpagliò sul tavolo e ne prese una. La addentò. Masticando, trasalì al gusto amaro. «Non ho mai visto né assaggiato niente del genere. Dove le hai trovate?» «Da qualche parte nel livello inferiore del castello.» Oh, insomma, pensai, valeva la pena di provare. Il disappunto mi pesava sulle spalle. Avevo sperato di risolvere quell'enigma per il Comandante Ambrose, ma sembrava che avessi imboccato un altro vicolo cieco. Rand dovette percepire la mia frustrazione. «Importante?» s'informò. lo annuii. «Sai che cosa facciamo?» propose. «Le lasci qui e dopo il festino ci lavorerò sopra per te. D'accordo?» «Lavorarci?» «Proverò a macinare, cuocere e bollire le fave. Gli ingredienti possono cambiare sapore e consistenza quando aggiungi calore, e queste potrebbero trasformarsi in qualcosa che conosco. D'accordo?» «Non voglio incomodarti.» «Sciocchezze. Mi piacciono le sfide. Inoltre, dopo il festino tornerò comunque alla mia routine di tutti i giorni, e questo mi darà un progetto in cui impegnarmi.» Versò le fave in un vasetto, che posò in alto su uno scaffale pieno di altri strani ingredienti

similmente confezionati nei loro vasi di vetro. Discutemmo le opzioni per il menu del festino fino a quando Rand non dovette di nuovo rigirare le sue porchette. Un quarto di giro ogni ora, disse, rammentandomi che si avvicinava in fretta l'ora in cui dovevo incontrare Margg. Una piccola fitta di nervosismo mi toccò lo stomaco quando augurai a Rand la buonanotte. Mi fermai ai bagni con l'intenzione di recuperare il coltello di Nix, ma c'era troppa gente. Forse essere disarmata sarebbe stato meglio, mi dissi cercando di calmare l'agitazione. Forse mi avrebbero perquisito. Se avessero trovato un'arma, avrei potuto essere in guai peggiori. Margg esibiva la sua consueta espressione di disgusto quando la incontrai appena al di là del cancello sud del complesso. Ci scambiammo insulti a mo' di saluto e continuammo la passeggiata verso Castletown in silenzio. Sperai che Valek fosse vicino, dietro di noi, ma non ero così sciocca da guardarmi alle spalle e mettere in allarme Margg. Le stelle decoravano il cielo notturno, e la faccia piena della luna brillava luminosa, proiettando ombre. La strada per la cittadina era incisa da solchi di ruote di carri e consunta dal passaggio di molti stivali. Presi una profonda boccata della fredda aria notturna e provai una sensazione di rinnovamento mentre il forte odore di terra e foglie secche mi puliva i polmoni. Sul limitare della città, vidi file nette di edifici di legno a quattro piani. Fui colpita dalla loro simmetria. Mi ero talmente abituata allo stile casuale, asimmetrico del castello, con le sue finestre di ogni possibile forma geometrica, che l'ordinaria semplicità della cittadina mi sembrava bizzarra. Perfino la collocazione di attività economiche in mezzo alle residenze era stata pianificata in maniera logica. I pochi abitanti che individuai sulla strada camminavano con uno scopo. Nessuno bighellonava, o chiacchierava, o sembrava essere in giro per una passeggiata. Nessuno, tranne le guardie della città. Soldati che un tempo avevano giocato un ruolo di rilievo nel colpo di stato erano stati riassegnati come poliziotti nelle città di

tutto il Territorio di Ixia. Facendo rispettare il coprifuoco e il codice di abbigliamento, amministravano la giustizia in accordo con il Codice di Comportamento controllando documenti, disponendo trasferimenti ed eseguendo arresti. Ogni visitatore di qualsiasi città era tenuto a presentarsi alla stazione principale per completare l'incartamento necessario prima di cercare alloggio. Il nostro incontro era stato programmato con cura per darci il tempo di tornare al castello prima che la nostra presenza sulla strada venisse guardata con sospetto. Le coppie di soldati che stazionavano lungo le strade ci seguivano con lo sguardo. Mi sentivo accapponare la pelle sotto il loro esame, e mi ero mezzo convinta che da un momento all'altro sarebbero calati su di noi. In mezzo a una strada libera da guardie, Margg si fermò davanti a una casa indistinguibile da quelle vicine. Bussò due volte alla porta. Dopo un certo tempo, l'uscio si aprì verso l'interno e una donna alta dai capelli rossi con l'uniforme da locandiera sporse fuori la testa. Guardando Margg annuì, riconoscendola. Aveva un naso aguzzo, cascante, che guidava i movimenti della testa mentre lei puntava la faccia verso di me. I suoi occhi scuri indugiarono su di me con un'intensità che mi fece innervosire. Una goccia di sudore mi colò giù per la schiena. Finalmente la donna diresse altrove il suo naso per guardare giù lungo la strada. Subodorando una trappola, pensai. Apparentemente soddisfatta, aprì un po' di più la porta e ci lasciò entrare. Nessuno parlò mentre salivamo tre rampe di scale. L'ultimo piano della casa era pieno di luce, e io strinsi gli occhi per il bagliore che li feriva. Una profusione di candele circondava la stanza su più livelli, riscaldando l'aria con un fumoso odore di mele. Guardai la finestra. Ero sicura che tutta quella luce si riversasse nella strada, ma dei tendaggi neri che arrivavano fino a terra coprivano il vetro. Scaffali di libri, uno scrittoio e una sparsa scelta di comode poltrone mi indusse a credere che la camera venisse usata come studio. La donna che ci aveva fatto entrare sedette dietro la scrivania. Curiose statue di metallo che sembravano lanterne con anelli sulla sommità decoravano ogni lato. Altri strani oggetti luminosi erano

stati artisticamente sistemati su scaffali e tavoli. Alcuni pendevano perfino dal soffitto, e dondolavano nell'aria mossa dal nostro passaggio. La donna dal naso aguzzo non ci offrì una sedia, così Margg e io restammo in piedi davanti alla scrivania. La massa dei suoi capelli rossi era raccolta in una crocchia, ma piccole ciocche crespe ne erano sfuggite. «L'assaggiatrice» disse con una piega soddisfatta delle labbra. «Sapevo che era solo questione di tempo prima di averti sul mio libro paga.» «Chi sei?» La mia immediatezza la informò che non avrei tollerato giochetti. «Tu chiamami Capitano Star.» lo guardai all'uniforme da locandiera. «Non faccio parte dell'esercito di Ambrose. Ho il mio. Margg ti ha spiegato come lavoro?» «Sì.» «Bene. Sarà un semplice scambio. Questa non è una visita di cortesia; non voglio pettegolezzi né sentito dire. E tu non indagare su di me e sui miei affari. Tutto quello che ti occorre sapere è il mio nome. Siamo intesi?» «D'accordo.» Dal momento che volevo guadagnare la sua fiducia, non avrei causato alcun problema... almeno per il momento. «Bene. Che cos'hai portato?» Con il naso ad aprire la strada. si sporse in avanti dalla sedia. «Il Comandante Ambrose ha cambiato il suo successore» dissi. Star si irrigidì mentre assorbiva quel bocconcino. Lanciai un'occhiata a Margg, che sembrava colpita e seccata che io avessi notizie così interessanti. «Come lo sai?» domandò Star. «Ho sentito il Comandante e Valek che ne parlavano.» «Ah, sì. Valek.» Star inclinò il naso verso di me. «Perché vivi nel suo appartamento?»

«Non sono affari tuoi» risposi in tono fermo. «Allora perché dovrei fidarmi di te?» «Perché Valek mi ucciderebbe se sapesse che sono stata qui. Lo sai bene quanto me. Quanto vale la mia informazione?» Star aprì una borsetta di velluto nero e ne trasse una moneta d'oro. Mi lanciò la moneta come il padrone lancerebbe un osso al cane. L'afferrai a mezz'aria, impedendomi di scansarmi. I tagli sulle mani cominciarono a pulsarmi. «Il tuo quindici per cento.» Lanciò una moneta d'argento e una di rame a Margg, che conosceva i modi di Star e le afferrò facilmente. «Qualcos'altro?» mi domandò Star. «Non al momento.» «Quando hai qualcosa per me, dillo a Margg. Organizzerà un altro incontro.» Congedata, seguii la silenziosa governante fuori dalla casa e lungo la via. Proprio mentre mi guidava in un passaggio buio, Valek comparve dalle tenebre. Prima che mi potessi chiedere perché, mi spinse attraverso una porta in una minuscola stanza. Ero sorpresa e confusa dal suo improvviso arrivo; avevo pensato che avrebbe atteso un po' prima di arrestare Margg. Lei mi aveva seguito dentro la stanza, e stava lì con un ghigno beffardo sulla faccia tonda. Era quanto di più simile a un'espressione di piacere avessi mai visto su di lei, e l'opposto di ciò che mi ero aspettata quando fosse stata smascherata come la talpa. Inclinai la testa verso Valek, sperando di avere spiegazioni. «Avevo ragione, Valek. Ha venduto il Comandante per una moneta d'oro. Controlla nella sua tasca» incalzò Margg. «Effettivamente, Yelena è venuta da me prima dell'incontro. Credeva di portare a esporre te» Valek rispose a Margg. Il ghigno esultante scomparve. «Perché non me l'hai detto?» domandò lei. «Non c'era tempo.» «Margg non è la talpa?» domandai, ancora confusa.

«No. Margg lavora per me. Da tempo forniamo a Star delle informazioni abbastanza uniche, sperando di scoprire chi sono gli altri suoi clienti. Star ha insistito a lungo con Margg per coinvolgerti, e io ho pensato che sarebbe stata una buona opportunità per mettere alla prova la tua lealtà.» Nella mia mente scattò una completa comprensione del cattivo umore di Valek. Si era aspettato che io tradissi lui e il Comandante. Come aveva potuto crederlo?, mi domandai. Non mi conosceva proprio? Collera, delusione e sollievo battagliavano nel mio cuore. Ero incapace di spingere altre parole fuori dalla mia gola. «Speravo di rispedire questo sorcio alla segreta a cui appartiene» si lamentò Margg. «Adesso sarà ancora a scorrazzare in giro. Ancora una minaccia.» Seccata, mi punse il braccio con un dito carnoso. Mi mossi. Nello spazio di un battito le torsi il braccio dietro la schiena. Lei strillò quando le tirai in alto la mano, costringendola a piegarsi in avanti. «lo non sono un sorcio» dissi a denti stretti. «Ho provato la mia lealtà. Tu ti toglierai di mezzo. Niente più messaggi maligni nella polvere. Mai più metterai il naso nelle mie cose. Altrimenti la prossima volta ti spezzerò il braccio.» La spintonai con forza, lasciando la presa. Lei barcollò e cadde a terra in un mucchio. Rossa in viso, si trascinò in piedi. Come aprì bocca per protestare, Valek la fermò con un'occhiata. «Ben detto, Yelena. Margg, sei congedata» disse Valek. La bocca le si chiuse di scatto mentre Margg girava sui tacchi e lasciava la stanza. «Non è amichevole» commentai. «No. È esattamente per questo che mi piace.» Valek scrutò la porta per un momento, poi disse: «Yelena, sto per mostrarti una cosa che non ti piacerà, ma ritengo sia importante che tu sappia». «Oh, davvero? Come mi è piaciuto il tuo test di fedeltà?» Il sarcasmo rendeva tagliente la mia voce. «Ti avevo avvertito che di tanto in tanto mettevo alla prova

l'assaggiatore.» Prima che potessi replicare, lui mi bloccò. «Sta' zitta e resta subito dietro di me.» Tornammo fuori nel vicolo. Tenendoci in ombra, facemmo il cammino a ritroso fino alla casa di Star, dove Valek mi guidò in un ingresso buio dal quale si vedeva la porta di Star. «La persona che ha passato finora informazioni a Star dovrebbe arrivare presto» mi bisbigliò all'orecchio Valek. Le sue labbra mi sfiorarono la guancia. Al suo tocco mi scattarono brividi lungo la spina dorsale, distraendomi da ciò che aveva detto. L'impatto delle parole di Valek non mi raggiunse finché non vidi una solitaria sagoma dal passo ineguale camminare lungo la via.

Capitolo 22 Riconobbi subito quell'andatura. Il cuore mi andò in pappa mentre guardavo Rand zoppicare verso la casa di Star, bussando due volte. La donna lo fece entrare in casa senza un attimo di esitazione. Il debole tonfo della porta che si chiudeva echeggiò vuoto nel mio petto. «Un'altra prova?» domandai a Valek con disperata urgenza. «Lui sta lavorando per te?» Ma conoscevo la risposta nel profondo della mia anima, anche prima di vederlo scuotere tristemente la testa. Mi sentii vuota, come se ogni emozione mi fosse stata strappata da dentro. Era troppo. Dopo lo spettro di Reyad, l'attacco di Nix e il test di Valek, ero mentalmente incapace di affrontare un altro colpo. Mi limitai a fissare il mio compagno senza pensieri, senza sentimenti e senza desideri. Valek mi fece cenno di seguirlo. Obbedii. Girammo sul retro della casa di Star. Entrando nell'edificio sulla sinistra, salimmo in punta di piedi tre piani. L'interno era buio e vuoto tranne che per l'ultimo piano. Uno degli uomini di Valek sedeva a gambe incrociate con la schiena appoggiata contro la parete in comune con lo studiolo di Star. Scriveva su un quadernetto, usando un'unica candela come illuminazione. La voce di Rand si poteva udire chiaramente. Usando un linguaggio gestuale, Valek comunicò con l'uomo. Quello gli consegnò il quadernetto e scomparve giù per le scale. Valek sedette al posto dell'uomo, e poi tamburellò con le dita sul pavimento vicino a sé. Io mi accosciai accanto a lui, di fronte alla parete. Non avevo alcun desiderio di udire il tradimento di Rand, ma non ebbi la forza di volontà per andarmene. Valek indicò una serie di piccoli fori nel legno. Vi scrutai attraverso. Tutto quello che riuscii a vedere fu la parte posteriore di un mobile. Dedussi che i fori servissero soltanto allo scopo di sentire. Così, accoccolandomi sul pavimento, appoggiai la fronte alla parete e chiusi gli occhi mentre origliavo la conversazione di Rand.

«I Generali verranno in città questa settimana. Non è niente di nuovo, ma il Comandante ha ordinato un banchetto, dunque c'è qualcosa nell'aria, qualcosa di significativo. Ma non sono riuscito a individuare che cosa» diceva Rand. «Fammi sapere il più presto possibile» rispose Star. Poi fece una pausa. «Forse Yelena sa che cosa c'è in ballo.» Il cuore mi diede un balzo quando udii il mio nome. Scappa, scappa, scappa, urlò la mia mente, ma io mi limitai a premere più forte la fronte contro il muro. «Ne dubito. Era sorpresa quando ho nominato il festino, così non le ho chiesto nulla. Potrebbe sapere di più, più avanti questa settimana. Ritenterò.» «Non disturbarti. Glielo chiederò io stessa.» Il tono viscido della voce di Star implicava che aveva nascosto quella rivelazione fino al momento in cui farla avrebbe causato il massimo danno. «Yelena?» farfugliò Rand. «Lavorare per te? Impossibile. Non è nel suo stile.» «Stai suggerendo che lavora per Valek?» L'allarme le indurì la voce. Altrettanto allarmata, guardai Valek. Lui scosse il capo, agitando la mano in un gesto che significava Non preoccuparti. «No. Non lo farebbe.» Rand si era ripreso. «Sono soltanto sorpreso, anche se forse non dovrei. Il denaro potrebbe servirle, e chi sono io per pensar male di lei per questo?» «Ebbene, non dovresti pensare a lei affatto. A quanto vedo, lei è disponibile. L'unica preoccupazione che avrò quando muore, è: chi la rimpiazzerà e quanto ci metterò ad adescarlo?» «Star, ancora una volta mi hai mostrato nel modo più repellente che prima pagherò il mio debito con te e meglio sarà. Quanto credito ottengo per la notizia di stanotte?» «Due monete d'argento. Lo segnerò nel mio libro, ma non farà molta differenza.» «Che cosa vuoi dire?»

«Non l'hai ancora capito a quest'ora? Non estinguerai mai il tuo debito. Non appena ci vai vicino, perdi al gioco e ti trovi in un altro buco. Sei troppo debole, Rand. Troppo sbattuto dalle tue emozioni. Diventi facilmente dipendente, manchi di forza di volontà.» «Oh, giustissimo. Tu ti vanti di essere un mago. Mi hai letto la mente, Capitano? Capitano Star... che ridere! Se tu possedessi realmente la magia, Valek si sarebbe preso cura di te molto tempo fa. So che non sei furba come affermi.» La pesante, ineguale concatenazione di passi risuonò attraverso la parete mentre il cuoco si avviava per andarsene. Ero attonita. Non avevo mai sentito Rand parlare con un così aspro sarcasmo prima d'ora, e inoltre, se Star era una maga, io potevo essere in serio pericolo. La mia mente turbinava, ma era tutto troppo complicato da esaminare in quel momento. «Non ho bisogno di leggerti la mente» gli gridò dietro Star. «Tutto quello che devo fare è ripassare la tua storia, Rand. È tutto lì.» Cadde il silenzio. L'unico rumore proveniente dallo studio di Star era il fruscio di pagine che venivano girate. Valek si alzò in piedi, tirandomi su con lui. Il suo uomo era tornato. Consegnandogli il quadernetto, Valek scese i gradini. Lo seguii per le strade buie di Castletown. Ci tenemmo nell'ombra, evitando le pattuglie. Una volta superati i confini della città, Valek si rilassò e camminò accanto a me sulla strada principale per il castello. «Mi dispiace» disse. «So che Rand era tuo amico.» Il fatto che avesse usato il passato mi colpì come la punta di un coltello tra le costole. «Da quanto lo sai?» chiesi. «Lo sospetto da tre mesi, ma mi sono procurato la dura prova solo pochi giorni fa.» «Che cosa ti ha messo sull'avviso?» «Rand e la sua brigata mi hanno aiutato con quell'esame sui veleni che ti ho fatto. Lui era lì mentre condivo il cibo. Avevo lasciato quel bicchiere di succo di pesca sul mio scrittoio per tenerlo puro. Era un

esame pulito. C'era veleno di Moranera in quel bicchiere, ma non ce l'ho messo io.» Valek fece una pausa, lasciando che l'informazione penetrasse. «Un'interessante proprietà delle more selvatiche è che soltanto quando vengono preparate in una speciale soluzione di alcol e lievito e cotte con estrema cura alla giusta temperatura sono velenose. La maggior parte dei cuochi, e senz'altro non i loro assistenti, non possiedono l'abilità o le conoscenze per raggiungere quel risultato.» Valek sembrava ammirare la capacità di Rand di distillare il veleno. La piena consapevolezza che il cuoco aveva cercato di avvelenarmi mi fece quasi cadere a terra. Barcollai mentre un'ondata di nausea mi ribolliva nello stomaco. Precipitandomi sul ciglio della strada, vomitai nei cespugli. Solo quando il mio corpo ebbe terminato le convulsioni mi resi conto che Valek mi stava sorreggendo. Un braccio mi cingeva la vita, mentre una mano fredda mi premeva contro la fronte. «Grazie» dissi, pulendomi il mento con delle foglie. Le gambe tremanti, lasciai che Valek mi conducesse al castello. Se non avesse continuato a sostenermi, mi sarei raggomitolata sul terreno per restarci tutta la notte. «C'è dell'altro. Vuoi sentirlo?» domandò Valek. «No.» Era la verità, ma mentre ci avvicinavamo al muragliene esterno del complesso del castello, feci un brutto collegamento. «Mi ha tradito Rand alla Festa del Fuoco?» «In un certo senso.» «Questa non è una risposta.» «I bravacci che ti hanno catturato ti aspettavano vicino al tendone della gara di cucina, così ho sospettato che Rand avesse detto a Star che saresti stata lì. Ma poi lui non voleva perderti di vista. Era come se ti stesse proteggendo. Ricordi com'era turbato quando non riusciva a trovarti? E com'era sollevato quando ti ha visto sana e salva?» «Ho pensato fosse ubriaco» dissi.

«Sospetto che Rand sia un coinvolto riluttante. All'epoca dell'esame sui veleni ti conosceva a malapena, ma da quando la vostra amicizia è cresciuta, immagino si trovi in una situazione difficile. Non vuole farti del male, ma ha bisogno di estinguere i suoi debiti di gioco. Star ha un'organizzazione vasta, con abbondanza di altri sicari a rimpiazzare quelli che ho sistemato, sicari che sarebbero disposti a rompersi qualche osso per il capo. Questo ti fa sentire un po' meglio?» «No.» La mia reazione al tradimento di Rand sembrava estrema perfino a me, eppure non riuscivo a placarla. Non era la prima volta che qualcuno aveva fatto il doppio gioco con me e non sarebbe stata l'ultima. Brazell mi aveva ingannato. lo l'avevo amato come un padre, e gli ero stata fedele. Alla fine, ci era voluto praticamente un anno a sopportare i suoi esperimenti prima che i miei sentimenti scadessero fino al punto in cui avevo potuto vederlo quale era realmente. Tuttavia avevo sempre saputo che la mia infantile devozione verso di lui era a senso unico. Dal momento che lui non mi aveva mai dato alcun motivo di pensare che mi volesse bene, i suoi atti erano stati più semplici da digerire. L'amicizia di Rand, d'altro canto, mi era parsa sincera. Avevo cominciato a sentirmi come se avessi infine fatto un buco di dimensioni accettabili nella barricata di pietra che mi ero costruita attorno. Abbastanza grande per me per sgusciarci attraverso e goderci il nostro tempo insieme. Ora il muro stava sbriciolandosi. Sentivo le pietre che mi tempestavano e mi seppellivano profondamente sotto le macerie. Come avrei potuto fidarmi di nuovo di qualcuno? «C'è qualcos'altro che mi vuoi dire?» domandai a Valek quando ci fermammo a pochi passi dall'ingresso sud del castello. «Ari e Janco mi hanno preparata apposta per l'aggressione di Nix? Hai un altro test di lealtà per me nascosto nella manica? Forse la prossima volta fallirò davvero. Una prospettiva che sembra attraente!» Spinsi via il braccio di Valek che mi sorreggeva. «Quando mi hai avvertito che mi avresti messo alla prova di tanto in tanto, pensavo intendessi aggiungere qualcosa al cibo. Ma pare ci sia più di un modo per

avvelenare il cuore di una persona, e non richiede neppure un pasto.» «Tutti compiono delle scelte nella vita. Alcune cattive, alcune buone. Si chiama vivere, e se vuoi adeguarti, allora va' avanti diritto. Ma non farlo a metà. Non indugiare nel limbo dei piagnoni» disse Valek con voce burbera, «lo non so quali orrori hai affrontato prima del tuo arrivo nella nostra prigione. Se dovessi immaginare, penserei che sono stati peggiori di quello che hai scoperto stanotte. Forse questo metterà le cose nella giusta prospettiva.» Entrò a passi decisi nel castello, lo mi appoggiai contro il muro freddo, riposando la testa sulla superficie rigida. Forse se fossi rimasta lì abbastanza a lungo, il mio cuore si sarebbe mutato in pietra. Allora tradimenti, prove di lealtà e veleni non avrebbero avuto effetto su di me. Alla fine, però, il freddo mi spinse a entrare. «Fai forza sulla storta. Non troppo. Ti serve un tocco gentile ma deciso» disse Janco. Con le mani in via di guarigione anche se ancora doloranti, infilai goffamente la chiave fissa nel foro della serratura e feci pressione. «Adesso usa il punteruolo a diamante per sollevare il perno che è intrappolato dalla storta, e sollevalo finché non scatta» mi istruì. «Scatta?» domandai. «Raggiunge l'allineamento. Quando infili una chiave nella toppa, le creste di metallo spingono in alto i perni così da poter girare il cilindro e aprire la serratura. I perni mantengono il cilindro in posizione. Dovrai muovere un perno alla volta, e continuare a premere.» Feci scivolare lo strumento appuntito dentro il meccanismo, oltre la chiave fissa. Manovrai il punteruolo, sollevando uno alla volta i cinque perni. Potei sentire una piccola vibrazione nelle giunture delle dita ogni volta che un perno scattava con un clic lieve ma netto. Quando furono tutti allineati, il cilindro girò e la porta si aprì. «Ottimo lavoro! Accidenti, Yelena, impari in fretta!» Janco s'interruppe, la fronte aggrottata per la preoccupazione. «Non vorrai

usare questo sistema per fare qualcosa di stupido, vero? E cacciarci tutti nei guai?» «Definisci stupido» replicai io. Quando Janco spalancò gli occhi, aggiunsi: «Non ti preoccupare. Sono solo io che mi metterei nei guai». Lui si rilassò, e io feci pratica su un'altra serratura. Eravamo al livello inferiore del castello, dove nessuno ci avrebbe scoperti. Erano passati quattro giorni dalla notte in cui avevo saputo di Rand. Gli ordini di Valek erano stati di agire come se niente fosse successo. Voleva scoprire la piena estensione dell'organizzazione di Star prima di smascherarli. Valek era un vero predatore, pensai acida, che adocchia la sua preda prima di avventarsi per uccidere. Sapevo di non essere pronta a fingere amicizia per Rand, così l'avevo evitato, il che non era difficile da farsi. Il castello brulicava di Generali e dei loro seguiti, dando molto da fare a ogni lavoratore del castello, Rand compreso. Brazell era un'altra ragione per cui ero contenta di restarmene in disparte. I suoi soldati neri e verdi avevano infettato il castello, e tenermi alla larga da loro stava diventando difficile. Tuttavia non mi dispiaceva nascondermi negli alloggi di Valek. Lui aveva sottratto una scatola di Creolo, e io mi accontentavo di mangiucchiarne un pezzo ogni volta che assaggiavo il cibo del Comandante. Ah, Janco e io avevamo sospeso le nostre sessioni di allenamento per la durata della visita dei Generali, ma ero riuscita a costringere Janco a insegnarmi a forzare le serrature. Dare a lui la moneta d'oro di Star aveva fornito un incentivo in più. Valek aveva detto che potevo tenerla, visto che lavorare sotto copertura non era parte dei doveri dell'assaggiatore, tuttavia il peso della moneta nella tasca era stato un continuo rammentarmi del tradimento di Rand, così avevo deciso di farne buon uso. «Quest'ultima serratura ha dieci perni. Se riesci ad aprire questa qui, sarai in grado di affrontare tutte le serrature a perno o a chiave del castello. Tranne i chiavistelli della prigione. Sono complicati, e non è che su quelli possiamo fare pratica.» Janco aggrottò la fronte. «Non avrai bisogno di quella capacità, vero?»

«Sinceramente, spero di no.» «Bene.» Dopo svariati tentativi falliti, riuscii a far scattare il meccanismo. «Adesso hai bisogno di fare pratica. Più in fretta riesci a far scattare una serratura e meglio è» spiegò Janco. «Ti lascerei prendere a prestito i miei punteruoli, ma non so esattamente quando potrei averne bisogno.» Ammiccò, con uno scintillio malizioso negli occhi. «Dunque...» Ne sfilò un altro set completo dalla tasca. «Ho usato quella moneta che mi hai dato per comprartene una serie.» Mi tese un astuccio di tela nera. «Quel denaro era per te.» «Oh, ne è rimasto abbastanza anche dopo averti comprato questo.» Esibì una verga in legno color ebano lunga come la mia mano. Era decorata con un lucido bottone d'argento, e simboli d'argento erano incisi sul lato. «Che cos'è?» domandai. «Premi il bottone» rispose lui, allegro. Schiacciai verso il basso con il pollice, e sobbalzai quando scattò fuori una lunga lama lucente. Era un coltello a serramanico. Sbalordita, fissai i miei regali. «Grazie, Janco. Ma perché hai comprato queste cose per me?» «Senso di colpa, immagino.» «Colpa?» Non era la risposta che mi aspettavo. «Ti ho chiamata criminale, lo un tempo sono stato un criminale, ma ho superato quella fase, e nessuno me ne ha fatto una colpa. Inoltre, ho la terribile sensazione che tu possa averne bisogno. I soldati del Generale Brazell sono stati a fare i prepotenti in giro per le caserme, vantandosi su chi toglierà di mezzo l'assassina di Reyad. Sono molto fantasiosi, e ho dovuto trattenere Ari dallo sfidare tutta la marmaglia un paio di volte. Dieci contro uno non è una proporzione onesta. neppure per Ari e me.» «Starò alla larga da loro» promisi. «Bene. Farò meglio a muovermi. Mi è toccato il turno di notte.

Ma prima ti scorterò alla tua stanza.» «Non è necessario.» «Ari mi ucciderebbe se non lo facessi.» Camminammo insieme verso l'appartamento di Valek. Quando raggiungemmo l'angolo prima della porta principale, Janco si fermò appena fuori vista delle guardie. «Quasi me ne dimenticavo» disse, infilandosi la mano nella tasca dell'uniforme. Ne estrasse un fodero per il coltello a serramanico. «Va legato attorno alla coscia destra. Ricorda di fare un bel buco nella tasca dei calzoni, così quando estrai l'arma non si impiglierà nella stoffa.» Stava per andarsene quando lo fermai. «Janco, che cosa sono questi simboli?» Indicai i marchi in argento sul manico del coltello. Lui sorrise. «Sono gli antichi simboli di battaglia usati dal Re quando inviava messaggi e ordini in tempo di guerra. Non aveva importanza se il nemico li intercettava, perché erano incomprensibili a chiunque non sapesse come decifrarli. Alcuni dei soldati li usano ancora. Funzionano bene nelle esercitazioni militari.» «Che cosa dicono?» Il suo ghigno si allargò. «Troppo facile, Yelena. Sono certo che lo scoprirai da te... alla fine.» Sempre il solito burlone, Janco rise deliziato. «Vieni qui» intimai, «così posso prenderti a pugni.» «Adorerei obbedirti, mia cara.» Janco arretrò oltre la mia portata. «Ma sono in ritardo.»

Capitolo 23 Dopo aver nascosto i regali di Janco in fondo alla tasca dell'uniforme, entrai negli alloggi di Valek. Lui stava lavorando alla scrivania, tuttavia alzò gli occhi non appena entrai nella stanza, dandomi l'impressione che mi stesse aspettando. «Dove sei stata?» domandò. «Con Janco» risposi. Ma ero all'erta. Finché arrivavo agli orari stabiliti durante la giornata, Valek non chiedeva conto di che cosa facevo del mio tempo libero. «A fare cosa?» insistette Valek, in piedi con le mani sui fianchi. La comica immagine di un marito geloso mi balzò alla mente. Soffocai un sorriso. «A discutere di tattiche di combattimento.» «Oh.» Valek si rilassò, ma mosse goffamente le braccia come se sentisse di aver reagito in modo eccessivo e stesse cercando di dissimularlo. «D'accordo, va bene. Ma d'ora in poi, voglio sapere dove sei in ogni momento, e ti suggerisco di restare dentro il castello e di tenere un profilo basso per un po'. Le guardie del Generale Brazell hanno messo una taglia sulla tua testa.» «Una taglia?» La paura mi pulsò attraverso il petto. «Potrebbe essere una diceria, o soltanto chiacchiere di soldati ubriachi. Ma finché non se ne vanno, ti voglio al sicuro.» Il tono di Valek era fermo, anche se poi aggiunse: «Non voglio addestrare un altro assaggiatore». «Starò attenta.» «No. Sarai paranoica. Ti muoverai in gruppo, ti terrai in aree ben illuminate e ti accerterai di avere una scorta con te ogni volta che camminerai per corridoi deserti a tarda notte. Capito?» «Sì, signore.» «Bene. l'Incontro del brandy con i Generali è in calendario per domani sera. Ogni Generale porterà una bottiglia del suo liquore migliore da offrire mentre discuteranno delle faccende di Ixia fino a notte tarda. Sarai richiesta per assaggiare le bevande del

Comandante.» Valek alzò una scatola di otto bottiglie dal pavimento. Tintinnarono con un suono musicale mentre posava la confezione sul tavolo. Tirando fuori un bicchierino da degustazione, disse: «Voglio che tu provi ogni brandy una volta stasera e almeno due volte domani, così saprai che sapore ha ciascuno di essi senza veleni». Mi porse il bicchiere. «Ogni bottiglia è etichettata a seconda del tipo di liquore e del Generale che lo porta.» Afferrai una caraffa a casaccio. Era l'acquavite di ciliegie del Generale Dinno, fatta nel DM-8. Versatone un goccio, ne bevvi un sorso e mi rigirai il liquido attorno alla lingua, tentando di mandare a memoria il sapore prima di deglutire. L'alcol mi bruciò giù per la gola, lasciandomi un fuocherello nel petto. Il viso mi avvampò per il calore. «Ti suggerisco di usare il sistema lecca e sputa, così non ti ubriacherai» disse Valek. «Buona idea.» Trovai un altro bicchiere per sputare, e poi feci passare il resto delle bottiglie. Il giorno della riunione, assaggiai di nuovo due volte ciascun liquore nell'alloggio di Valek, poi mi misi alla prova con una terza tornata. Solo quando riuscii a indicare, in base al gusto soltanto, quale cordiale appartenesse a un Generale o all'altro fui soddisfatta. Quella sera attesi che Valek mi scortasse alla sala tattica. Scese dabbasso in uniforme di gala. Cordoni rossi intrecciati erano drappeggiati sulle spalle, e sul petto, a sinistra, c'erano medaglie allineate su sei file. Trasudava dignità, un uomo di rilievo. Sarei rimasta impressionata, non fosse stato per l'espressione imbarazzata e stizzosa che mostrava. Sembrava un bambino petulante costretto a indossare i suoi abiti migliori. Mi coprii la bocca, ma non riuscii a bloccare la risata. «Basta. Sono costretto a indossare questa dannata cosa una volta all'anno e, per quanto mi riguarda, è una volta di troppo.» Valek si tirò il colletto. «Pronta?» Lo raggiunsi sulla porta. L'uniforme esaltava la sua figura atletica,

e i miei pensieri volarono via, a quanto sarebbe stato magnifico con l'uniforme calata attorno ai piedi. «Hai un aspetto fantastico» sbottai. Mortificata, arrossii mentre un'ondata di calore mi invadeva il corpo. Dovevo aver mandato giù più liquore di quanto mi fossi resa conto. «Davvero?» Valek chinò lo sguardo sull'uniforme. Poi spinse indietro le spalle e smise di strattonare il colletto. L'espressione contrariata mutò in un sorriso meditabondo. «Sì. Assolutamente» risposi. Arrivammo nella sala tattica del Comandante proprio mentre i Generali si riunivano. Le lunghe, strette vetrate dai vetri piombati scintillavano alla debole luce del sole al tramonto. I servitori si affaccendavano in giro per la sala circolare, accendendo lanterne e disponendo vassoi di cibi e bevande. Tutto il personale militare indossava le uniformi di gala. Medaglie e bottoni luccicavano, lo conoscevo di vista soltanto tre Generali; l'identità degli altri la dedussi dal colore dei diamanti sulle loro uniformi altrimenti nere. Esaminando le loro facce, memorizzai i diversi lineamenti nel caso Valek più tardi mi mettesse alla prova. Brazell fece tanto d'occhi quando i nostri sguardi s'incontrarono. Il Consigliere Mogkan stava in piedi accanto a lui, e io rabbrividii quando i suoi occhi scivolarono su di me valutandomi con attenzione. Quando Brazell e Reyad avevano condotto i loro esperimenti su di me, Mogkan era sempre stato nei paraggi. La sua presenza, percepita benché non vista, mi aveva dato violenti incubi. I soliti consiglieri di Brazell non erano presenti, e mi chiesi perché al loro posto avesse portato Mogkan. Il Comandante sedette al tavolo da conferenza ovale. La sua uniforme era semplice ed elegante con diamanti veri appuntati sul colletto. I Generali, fiancheggiati dai loro consiglieri, si sedettero attorno al resto del tavolo. La sedia di Valek era alla destra di Ombrose, e il mio sgabello era posizionato dietro di loro, contro l'unica parete di pietra della sala. Sapevo che la riunione sarebbe durata tutta la notte, e fui contenta di potermi riposare la schiena. Un altro vantaggio della mia posizione era che da dove mi trovavo non vedevo direttamente Brazell. Anche se potevo evitare di vedere

le occhiate velenose che avrebbe lanciato nella mia direzione, però, non potevo nascondermi dagli sguardi fissi di Mogkan. Il Comandante batté sul tavolo un martelletto di legno. Cadde il silenzio. «Prima di affrontare gli argomenti in agenda» esordì Ambrose, indicando il dettagliato ordine del giorno che era stato distribuito in precedenza, «ho un importante annuncio da fare. Ho designato un nuovo successore.» Un mormorio si diffuse nella sala tattica mentre il Comandante girava attorno al tavolo e consegnava a ogni Generale una busta sigillata. Dentro le buste c'erano otto pezzi di un puzzle in codice che avrebbe rivelato il nome del nuovo successore, una volta decifrato dalla chiave di Valek. La tensione permeava la sala. La sentivo premere contro di me come una vescica d'acqua troppo piena e pronta a scoppiare. Un turbine di espressioni - sorpresa, ira, preoccupazione e meditazione passò sulle facce dei Generali. Il Generale Rasmussen di DM-7 bisbigliò all'orecchio del suo consigliere, mentre le guance gli diventavano rosse quanto i capelli e i baffi. Mi sporsi in avanti dal sedile e vidi Brazell lottare per mantenere un'espressione neutra mentre il piacere gli animava i lineamenti. Invece di erompere, la tensione decrebbe e svanì perché il Comandante la ignorò dando inizio alla riunione. Le faccende relative a DM-I erano il primo punto in discussione, seguite da ogni distretto nell'ordine. Mentre una bottiglia dello speciale brandy bianco del Generale Kitvivan veniva fatta girare attorno al tavolo, i Generali discussero di gatti delle nevi e diritti minerari. «Andiamo, Kit. Basta con i gatti. Basta che diate loro da mangiare sulla banchisa di ghiaccio come facciamo noi, e non vi daranno noia» esclamò esasperato il Generale Chenzo di DM-2, passandosi una mano carnosa tra i capelli di un bianco lunare. La sua criniera intatta spiccava irta contro la pelle abbronzata. «Dar loro da mangiare così che si facciano sani e grassi e comincino a figliare come conigli? Andremmo in bancarotta per procurare loro la carne» scattò di rimando Kitvivan. Il mio interesse nei lavori andava e veniva a seconda degli

argomenti. Dopo un po' cominciai a sentirmi svaporata e calda mentre il liquore influiva sul mio corpo, dal momento che il protocollo esigeva che deglutissi quando assaggiavo per il Comandante. I Generali votarono su vari argomenti, ma Ambrose aveva il voto definitivo. Per lo più decideva in favore della maggioranza, tuttavia nessuno azzardava una lamentela quando non lo faceva. Il Comandante Ambrose era cresciuto nel DM-3, arrabattandosi in una vita di stenti insieme alla sua famiglia sulle pendici collinari delle Montagne dell'Anima. Annidata tra le montagne e la banchisa di ghiaccio, la sua casa si trovava sopra una grande miniera di diamanti. Quando era stato scoperto il ricco filone, il Re aveva reclamato i diamanti, e permesso alla famiglia del Comandante di vivere lì e lavorare nelle miniere. Ambrose aveva perso molti parenti a causa di crolli nella miniera, o dell'ambiente circostante umido e malsano. Da giovane uomo insofferente alle ingiustizie della monarchia, aveva studiato e aveva cominciato a predicare di riforme. La sua intelligenza, schiettezza e acume gli avevano guadagnato molti leali sostenitori. La mia mente si concentrò di nuovo sulla riunione quando i Generali raggiunsero i punti riguardanti DM-5. Il Generale Brazell suscitò una considerevole animazione quando, anziché far girare il suo brandy migliore, mandò in giro un vassoio d'argento contenente quelli che sembravano piccoli sassi marroni. Valek me ne porse uno. Era una goccia tonda del Creolo di Brazell. Prima che le proteste sull'inosservanza della tradizione potessero aumentare, Brazell si alzò e invitò tutti ad assaggiare il dolce. Dopo un breve istante di silenzio, esclamazioni deliziate riempirono la sala tattica. Il Creolo era farcito di liquore alla fragola. Diedi al Comandante il segnale di tutto pulito così da poter assaporare il resto del mio pezzettino. La combinazione del gusto dolce di noce del Creolo mischiato con la consistenza morbida del brandy era divina. Rand sarebbe stato sconvolto di non aver pensato a mescolare le due cose, supposi, poi rimpiansi di sentirmi dispiaciuta per lui, raffigurandomi la sua faccia ingannevole. Dopo che le lodi si furono spente, Brazell annunciò che la

costruzione della sua nuova fabbrica era terminata. Poi passò ad argomenti più prosaici, come quanta lana fosse stata tosata e la resa prevista delle piantagioni di cotone. Il Distretto Militare 5 produceva e tingeva tutti i filati per Ixia, poi li inviava al DM-3 del Generale Franis per essere tessuti in stoffe. Franis annuiva preoccupato mentre annotava i dati enumerati da Brazell. Era il più giovane dei Generali, e aveva l'abitudine di tastarsi con un dito i diamanti dell'uniforme quando si stava concentrando. Mi appisolai sullo sgabello mentre pensieri confusi si raccoglievano nella mia mente come nubi di tempesta. Strani sogni su brandy, pattuglie confinarie e licenze turbinavano come fiocchi di neve. Poi le immagini si fecero chiare e nitide quando si insinuò nella mia mente l'immagine di una giovane donna vestita di bianche pellicce da caccia. Reggeva alta in aria una lancia insanguinata, trionfante. Un gatto delle nevi giaceva morto ai suoi piedi. La donna conficcò la punta dell'arma nella banchisa di ghiaccio ed estrasse un coltello. Praticando un'incisione nella pelliccia del gatto, usò una coppa per raccogliere il sangue che ne spillava. Si esaltò mentre beveva, e rivoletti scarlatti le colavano lungo il mento. Udii chiaramente i suoi pensieri nella mia mente. «Nessuno è riuscito in questa impresa» pensava. «Nessuno tranne me!» urlò al di sopra della neve. La sua ebbrezza mi riempì il cuore. «Prova che sono un forte, astuto cacciatore. Prova che la mia mascolinità mi è stata portata via. Prova che io sono un uomo. Gli uomini non mi domineranno più» gridò. «Diventa gatto delle nevi per vivere con i gatti delle nevi; diventa uomo per vivere con gli uomini.» La cacciatrice girò il viso. Dapprima, la presi per una sorella del Comandante, giacché avevano le stesse fattezze magre e delicate e gli stessi capelli neri. Lei indossava come un manto forza e fiducia in se stessa. Scrutando il mio io sognante, i suoi dorati occhi a mandorla mi trapassarono come un fulmine. L'improvvisa consapevolezza che lei era il Comandante mi fece svegliare di colpo. Il cuore mi batteva forte e la testa mi pulsava, e mi resi conto che stavo fissando dritto nello sguardo bruciante di Mogkan. Che sorrise di soddisfazione.

Il motivo per cui il Comandante odiava i maghi mi fu chiaro come cristallo. Lui era una lei, ma con l'assoluta convinzione che sarebbe dovuta nascere uomo. Che un fato crudele aveva deciso di caricarlo del fardello di una mutazione che lui doveva superare. E il Comandante temeva che un mago potesse strappargli quel segreto dalla mente. Pura follia, pensai, scuotendo la testa per liquidare l'intera insana idea. Solo perché avevo sognato una donna, non significava che il Comandante lo fosse. Era una totale assurdità. O no? Strofinandomi gli occhi, mi guardai attorno per vedere se qualcun altro avesse notato che mi ero addormentata. Il Comandante fissava un punto lontano, e Valek sedeva rigido e all'erta, scrutando la sala, cercando qualcosa o qualcuno. Aveva la parola il Generale Tesso. Valek riportò lo sguardo sul Comandante e gli toccò il braccio, allarmato. «Che cosa succede?» bisbigliò con urgenza. «Dove eravate?» «Stavo solo ricordando un tempo molto lontano» rispose il Comandante con voce malinconica. «Più gradevole che ascoltare il rapporto tormentosamente dettagliato del Generale Tesso sul raccolto del grano in DM-4.» Studiai i lineamenti del Comandante, cercando di sovrapporvi la donna dei miei sogni. Combaciavano, ma ciò non significava niente, i sogni distorcevano la realtà ed era facile immaginare Ambrose che uccideva un gatto delle nevi. Il resto della riunione continuò senza incidenti, e io sonnecchiai sul mio sgabello di tanto in tanto, senza essere disturbata da sogni bizzarri. Quando il Comandante batté il martelletto, fui sveglia in un istante. «Ultimo punto, signori» annunciò Ambrose. «Una delegazione di Sitia ha chiesto un incontro.» La sala esplose di voci. Le argomentazioni presero vita come se i Generali stessero riprendendo una vecchia discussione da dove l'avevano lasciata. Parlarono di trattati commerciali, e litigarono a proposito di attaccare Sitia. Invece di commerciare beni, perché non prenderseli?, dibattevano. Volevano espandere i loro distretti e

acquisire più uomini e risorse, mettendo fine alla preoccupazione che Sitia tentasse di attaccare Ixia. Il Comandante rimase seduto in silenzio e lasciò che il flusso di consigli gli si rovesciasse addosso. Infine i Generali si calmarono abbastanza da dichiarare il proprio parere sull'opportunità di permettere o meno ai Siriani di entrare nel Territorio. I quattro Generali del nord (Kitvivan, Chenzo, Franis e Dinno) non volevano incontrarsi con la delegazione, mentre i quattro Generali del sud (Tesso, Rasmussen, Hazal e Brazell) vedevano con favore un summit con i Siriani. Il Comandante scosse il capo. «Prendo atto delle vostre opinioni, ma so che i Siriani preferirebbero commerciare con noi piuttosto che attaccarci. Noi abbiamo più uomini e più metallo, fatto questo di cui sono ben consapevoli. Per attaccare Sitia dovremmo investire molte vite e grosse somme di denaro. E per che cosa? I loro beni di lusso non valgono il prezzo, lo mi accontento di Ixia. Abbiamo guarito la terra dalla malattia che era il Re. Forse il mio successore vorrà di più. Dovrete aspettare fino ad allora.» Un mormorio si diffuse tra i Generali. Brazell annuì concorde, le labbra sottili bloccate in un sorriso da predatore. «Ho già acconsentito a incontrarmi con il contingente del sud» continuò il Comandante. «Sono attesi tra quattro giorni. Avete tempo fino ad allora per esprimere le vostre specifiche preoccupazioni a me, prima di partire per i vostri distretti di residenza. La seduta è tolta.» Il colpo del martelletto del Comandante echeggiò nella sala mortalmente silenziosa. Il Comandante si alzò e, con le sue guardie del corpo e Valek subito dietro, si preparò ad andarsene. Valek mi fece cenno di unirmi a loro, lo mi trascinai in piedi. L'effetto pieno del brandy che avevo consumato mi si abbatté addosso. Stordita, seguii gli altri fuori dalla sala. Un'esplosione di suoni filtrò dalla porta subito prima che si richiudesse dietro di noi. «Questo dovrebbe agitare le acque un tantino» commentò il Comandante con un fugace sorriso. «Sconsiglierei di andare in vacanza a DM-8 quest'anno» replicò

Valek, sarcastico. «Dal modo in cui Dinno ha reagito al vostro annuncio sulla delegazione del sud, mi aspetterei che imbottisse la vostra casa sulla spiaggia di ragni delle sabbie.» Valek rabbrividì. «Un modo orribilmente doloroso di morire.» Anche a me formicolò la pelle, al pensiero dei mortali ragni delle dimensioni di un cagnolino. La nostra processione proseguì per un po' in silenzio mentre tornavamo agli alloggi del Comandante. La mia andatura era malferma. Le pareti di pietra si sfuocavano dietro di me, come se si stessero muovendo e fossi io quella che restava ferma. Fuori dall'alloggio del Comandante, Valek disse: «Starei in guardia anche da Rasmussen. Non ha preso bene la notizia del cambio di successore». Il Comandante aprì la porta. Lanciai una rapida occhiata dentro l'appartamento. Vi regnava lo stesso semplice stile utilitaristico che distingueva il suo ufficio e il resto del castello. Che cosa mi ero aspettata? Forse una chiazza di colore, o qualcosa un tantino più femminile? Diedi un piccolo scrollone con la testa per scacciare quegli assurdi pensieri. Il movimento mi diede un capogiro, e dovetti appoggiare una mano sulla parete per evitare di cadere. «lo sto in guardia da tutti, Valek, lo sai» rispose il Comandante prima di chiudere la porta dietro di sé. Appena entrato nei nostri alloggi, Valek si sfilò la giacca dell'uniforme e la gettò sul divano. Poi mi indicò una sedia e ordinò: «Siediti, Yelena. Dobbiamo parlare». lo mi lasciai cadere sulla poltrona lasciando penzolare una gamba da sopra il bracciolo, guardando Valek percorrere la stanza in camicia intima senza maniche e calzoni aderenti. Immaginare le mie mani che aiutavano ad alleviare la tensione nei lunghi muscoli nerboruti delle sue braccia per poco non diede inizio a un accesso di risolini. Il brandy mi scorreva nel sangue, accelerandomi il polso. «Due cose erano molto sbagliate stanotte» disse Valek. «Oh, andiamo. Mi sono appisolata solo per un minuto» replicai a mia difesa. Valek mi scoccò un'occhiata interrogativa. «No, no. Tu sei andata

benissimo. Intendevo a proposito della riunione: i Generali.» Continuò a camminare qua e là. «Primo, Brazell sembrava insolitamente lieto per il cambio di successore e per la delegazione sitiana. Ha sempre voluto un trattato commerciale, ma di solito pratica un approccio più cauto. E, secondo, c'era un mago nella sala.» «Che cosa?» Mi si mozzò il respiro in gola. Ero stata scoperta? «Magia. Molto sottile, da un professionista addestrato. L'ho avvertita solo una volta, un breve tocco, ma non sono riuscito a individuare la fonte. Il mago però doveva essere nella stanza, o io non l'avrei percepita.» «Quando?» «Durante la prolungata dissertazione di Tesso sul grano.» La postura di Valek si era rilassata un po', come se il fatto di esporre un problema lo aiutasse ad affrontarlo. «Circa nello stesso momento in cui si poteva sentirti russare da metà della sala.» «Ah!» esclamai ad alta voce. «Eri così rigido a quell'incontro che pensavo ti avesse preso il rigor mortis.» Valek sbuffò divertito. «Dubito che tu avresti potuto avere un'aria migliore, a star seduta in quella scomoda uniforme di gala per tutta la notte. Immagino che Dilana vi abbia spruzzato dell'amido in più, con allegra malizia.» Poi tornò serio. «Conosci il Consigliere Mogkan? Ti ha tenuto d'occhio per gran parte della serata.» «So qualcosa di lui. Era il consigliere principale di Reyad. Andavano perfino a caccia insieme.» «Che tipo è?» chiese Valek. «Stessa razza di parassiti di Reyad e Nix» risposi. Le parole mi sgorgarono dalle labbra. Mi schiaffai entrambe le mani sulla bocca, ma era troppo tardi. Valek mi studiò per un momento. Poi disse: «C'erano una quantità di nuovi consiglieri all'incontro. Immagino che dovrò controllarli uno per uno. Sembra che abbiamo una nuova spia del sud con poteri magici». Sospirò. «Non finisce mai.» Piombò a sedere sul

bordo del divano mentre la stanchezza si posava su di lui come una coltre di polvere. «Se finisse, tu non avresti più un lavoro.» Prima di riuscire a fermarmi, mi infilai dietro Valek e cominciai a massaggiargli le spalle. L'alcol aveva assunto pieno controllo dei miei movimenti, e la minuscola sezione ancora sobria del mio cervello non poté far nulla se non urlare inutili avvertimenti.

Capitolo 24 Valek si irrigidì sotto il mio tocco. Mi chiesi se si aspettasse che lo strangolassi, ma a poco a poco, mentre le mie mani gli impastavano i muscoli, si rilassò. «Che cosa faresti» gli domandai, «se improvvisamente il mondo fosse perfetto e non avessi nessuno da spiare?» «Mi annoierei» rispose lui divertito. «Andiamo, seriamente. Un cambiamento di professione.» Affondai i pollici nel muscolo alla base della sua nuca. «Un danzatore del fuoco?» Si irradiò una vampata di calore mentre il brandy mi pulsava nel sangue. «No. Un maestro d'armi?» suggerì Valek. «No. È un mondo perfetto. Non sono ammesse armi.» Portai le mani in basso lungo la sua schiena. «Che ne dici di uno studioso? Hai letto tutti questi libri, non è vero? O stanno qui solo per rendere difficile a chiunque di intrufolarsi qui dentro?» «I libri mi sono utili in vari modi. Tuttavia, dubito che il tuo mondo perfetto avrebbe bisogno di uno studioso che indaga i vari modi di uccidere.» Le mie mani si fermarono per un secondo. «No. Decisamente no.» «Uno scultore? Potrei scolpire statue stravaganti. Potremmo ridecorare il castello e ravvivare l'ambiente. E tu?» do-mandò mentre premevo le punte delle dita dove la schiena si stringeva. «Che cosa faresti?» «L'acrobata.» Le parole mi uscirono senza pensiero cosciente. Avevo pensato di essermi lasciata dietro l'acrobazia insieme al mio amuleto a forma di fiamma, ma pareva che la escursione tra gli alberi avesse risvegliato il mio desiderio. «Un'acrobata! Ebbene, questo spiega molte cose.» Eccitata dal contatto con il corpo scolpito di Valek, gli feci scivolare le mani attorno allo stomaco. Che Reyad fosse dannato. Il brandy mi aveva rilassato fino a superare la paura. Cominciai a

slacciare i calzoni di Valek. Lui mi afferrò i polsi, fermandomi. «Yelena, sei ubriaca.» Aveva la voce roca. Mi lasciò le mani e si alzò in piedi, lo sedetti, guardandolo sorpresa mentre si chinava a sollevarmi dal divano. Senza parole, mi portò in camera mia e mi depose sul letto. «Fatti una dormita, Yelena» disse sottovoce lasciando la stanza. Il mio mondo roteava mentre fissavo nelle tenebre. Posare una mano sul freddo muro di pietra accanto al mio letto mi aiutò a rinsaldare i pensieri. Ora sapevo. Valek non aveva alcun interesse per me al di là del mio lavoro come assaggiatore ufficiale. Mi ero lasciata catturare dai pettegolezzi di Dilana e dalla gelosia di Maren. Il dolore del rifiuto, che mi pulsava nell'anima, era solo colpa mia. Perché non avevo ancora imparato? Le persone si trasformavano in mostri. Quantomeno le persone di mia esperienza. Prima Brazell, poi Rand, anche se Reyad era rimasto immutato. E Valek? Si sarebbe trasformato in mostro oppure lo era già? Come diceva Star, non avrei dovuto pensare affatto a lui, non come compagno, e non per riempire il vuoto morto nel mio cuore. Come se avessi potuto. Risi. Un suono da ubriaco, spezzato e incerto, la musica dei miei pensieri. Guardati attorno,

Yelena, mi rimbrottai. L'assaggiatrice avvelenata che chiacchiera

con i fantasmi. Avrei dovuto essere grata di respirare, di esistere. Non avrei dovuto aspirare ad altro che alla libertà, a Sitia. Allora avrei potuto riempire il vuoto. Congedando tutti i deboli pensieri sentimentali, mi concentrai sulla questione di restare viva. Fuggire a Sitia non avrebbe spezzato alcun legame con Valek. Solo una volta che avessi ottenuto l'antidoto alla Polvere di Farfalla avrei potuto mettere in atto i miei piani. Determinata, passai in rassegna mentalmente le tecniche per scassinare una serratura finché non piombai in un profondo sonno indotto dall'alcol. Mi svegliai un'ora prima dell'alba con la testa che mi martellava. Mi sentivo la bocca come una ragnatela abbandonata. Immaginai polvere che mi sbuffava dalle labbra a ogni esalar di respiro. Muovendomi con estrema cautela, uscii dal letto lentamente, un dito

alla volta, mi avvolsi la coperta attorno alle spalle, e andai a cercare da bere. A Valek piaceva l'acqua fredda e teneva sempre una brocca fuori sul balcone. La frizzante aria notturna soffiò via il residuo stordimento del sonno. Le mura di pietra del castello splendevano, riflettendo misteriosamente la luce della luna. Individuai la brocca di metallo. Una sottile patina di ghiaccio si era formata sulla superficie. Rompendola con un dito, mi versai l'acqua in bocca, inghiottendo. Quando inclinai all' indietro la testa per una seconda bevuta, notai un oggetto nero a forma di ragno aggrappato al muro del castello sopra la mia testa. Con allarme crescente, mi resi conto che la sagoma stava scendendo verso di me. Non era un ragno, ma una persona. Cercai un posto dove nascondermi, tuttavia smisi quando mi resi conto che l'intruso probabilmente mi aveva già vista. Chiudermi a chiave nell'appartamento e svegliare Valek sembrava un piano migliore. Prima che potessi rientrare nel soggiorno buio come la pece, però, esitai. All'interno, gli abiti scuri dell'intruso sarebbero stati difficili da vedere. Da quando avevo preso lezioni di scasso da Janco, le porte chiuse a chiave non mi davano più un senso di sicurezza. Maledicendomi per aver lasciato in camera il coltello a serramanico, mi spinsi verso l'estremità più lontana del terrazzo, serrando in mano la brocca d'acqua. Lo scalatore di muri saltò la residua distanza fino al pavimento della balconata. Il movimento privo di sforzo fece scattare il riconoscimento. «Valek?» bisbigliai. Un lampo abbagliante di denti bianchi, poi Valek si tolse un paio di occhiali scurì. Il resto del viso era nascosto da un cappuccio che gli copriva la testa ed era infilato dentro una tuta aderente. «Che cosa stai facendo?» domandai. «Ricognizione. I Generali tendono a restare alzati fino a tardi dopo che il Comandante lascia l'Incontro del brandy. Così ho dovuto aspettare finché non sono andati tutti a letto.» Valek entrò

nell'appartamento. Si sfilò il cappuccio. Accesa la lanterna sulla scrivania, si tolse un foglio di tasca. «Odio i misteri. Avrei lasciato che l'identità del successore del Comandante restasse un segreto, come ho fatto per quindici anni, ma l'occasione di stanotte era una tentazione troppo grande. Con otto Generali ubriachi che smaltivano la sbornia dormendo, avrei potuto ballare sui loro letti senza svegliarli. Nessuno tra loro ha dell'immaginazione. Ho visto tutti i Generali riporre la busta ricevuta dal Comandante direttamente nelle loro cartelle.» Valek mi accennò di raggiungerlo allo scrittoio. «Qui, aiutami a decifrare questo.» Mi tese un pezzo di carta rigida su cui era scarabocchiato un guazzabuglio di lettere e numeri. Valek aveva copiato gli otto pezzi differenti del messaggio cifrato intrufolandosi nella stanza di ciascun Generale. Mi chiesi perché si stesse confidando con me. Troppo curiosa per domandarglielo, avvicinai una sedia per aiutarlo. «Come hai superato il sigillo di cera?» domandai. «Scherzetto da baro. Tutto quello che ti serve è un coltellino affilato e una fiammella. Adesso leggimi il primo gruppo di lettere.» Lo scrisse, poi riordinò le lettere finché non ebbe composto la parola assedio. Aprendo un libro, ne sfogliò le pagine. Simboli simili a quelli sull'impugnatura del mio serramanico disseminavano il documento. La pagina a cui si fermò era decorata con un grande simbolo azzurro che assomigliava a una stella al centro di tre cerchi. «Che cos'è?» domandai. «L'antico simbolo di battaglia per assedio. Il defunto Re usava questi marchi per comunicare con i suoi Capitani in tempo di guerra. Furono creati in origine centinaia d'anni fa da un grande stratega. Leggimi il prossimo gruppo. Dovrebbero essere numeri.» Gli dissi i numeri. Lui cominciò a contare le righe del testo. Mi venne in mente che potevo prendere in prestito quel libro e decifrare il messaggio di Janco sul mio serramanico. Alla fine un corno! Sarebbe stata una bella sorpresa, per lui, quando gli avrei detto che avevo già svelato il mistero. Quando Valek raggiungeva il numero, scriveva una lettera su una pagina pulita. Dopo che ebbe finito di decifrare il messaggio, sedette

silenzioso come un respiro trattenuto. Incapace di aspettare oltre, domandai: «Chi è?». «Indovina» rispose lui. Lo guardai. Ero stanca e stordita dai postumi della sbornia. «Ti darò un indizio. Chi era il più contento del cambiamento? Qual è il nome che continua a balzar fuori durante le situazioni più bizzarre?» Il terrore si abbatté sul mio corpo come una cappa. Se fosse capitato qualcosa al Comandante, Brazell avrebbe avuto il comando, lo sarei stata probabilmente il suo primo ordine del giorno, e non sarei vissuta abbastanza per vedere qualunque mutamento lui potesse avviare a Ixia. Valek comprese l'espressione sulla mia faccia. Annuì. «Esatto. Brazell.» Per due giorni il Comandante si incontrò a turno con ciascun Generale. Le mie brevi e periodiche interruzioni per assaggiare il cibo creavano imbarazzanti momenti di silenzio. La tensione nel castello era palpabile perché i soldati al seguito dei Generali si beffavano di tutti e si scontravano con tutti. Il terzo giorno, quando arrivai per controllare la colazione del Comandante, lo trovai assorto in conversazione con Brazell e il Consigliere Mogkan. Gli occhi di Ambrose erano velati, la sua voce monocorde. «Fuori di qui!» abbaiò Brazell. Mogkan mi spinse nella sala del trono. «Aspetta qui finché non ti convochiamo» ordinò. lo esitai fuori dalla porta, incerta se dovessi dar retta a quell'insolita richiesta. Se fosse giunta da Valek o dal Comandante non avrei dubitato, ma che ci si aspettasse che io seguissi gli ordini di Mogkan mi bruciava. Le mie preoccupazioni crebbero quando immaginai Brazell che tentava un assassinio. Stavo per andare in cerca di Valek, quando lui irruppe nella sala del trono, l'espressione dura mentre si affrettava verso l'ufficio del Comandante.

«Che cosa stai facendo qui fuori?» mi domandò. «Non gli hai ancora assaggiato la colazione?» «Mi è stato ordinato di aspettare. Il Comandante Ambrose al momento è impegnato con Brazell e Mogkan.» Una subitanea paura attraversò il viso di Valek. Mi superò ed entrò nell'ufficio, io lo seguii. Mogkan stava ritto dietro il Comandante, con le punte delle dita che premevano sulle tempie di Ambrose. Quando apparve Valek, si scostò e disse mellifluo: «Potete senz'altro sentire, Signore, che questo è un sistema eccellente per alleviare il mal di capo». L'animazione tornò sul viso del Comandante. «Grazie, Mogkan» disse. Facendo tanto d'occhi all'intrusione di Valek, domandò: «Che cosa c'è di così importante?». «Notizie inquietanti. Signore.» Valek lanciò occhiate affilate come pugnali a Brazell e Mogkan. «Gradirei discuterne in privato.» Il Comandante rinviò l'incontro a più tardi quello stesso giorno, poi li congedò. «Yelena, assaggia la colazione del Comandante, adesso.» «Sì, signore.» Valek mi osservò assaggiare le pietanze. Un'intensa espressione gli contraeva il viso, rendendomi nervosa. Pensava che il cibo fosse contaminato? Controllai di nuovo il tè che andava raffreddandosi e l'omelette tiepida, ma non individuai sostanze estranee. Posai il vassoio sulla scrivania. «Yelena, se dovrò mangiare di nuovo cibo freddo ti farò frustare. Intesi?» La voce del Comandante mancava di passione, ma la minaccia era genuina. «Sì, Signore» risposi, sapendo che scusarsi era inutile. «Sei congedata.» Corsi via dall'ufficio, notando a malapena il turbinio di attività nella sala del trono. Oltrepassato l'ingresso, mi fermai. Fame, disse una voce piatta nella mia testa. Mi gorgogliava lo stomaco; ero affamatissima. Mi diressi verso la cucina.

Quando svoltai l'angolo, il Consigliere Mogkan era là a bloccarmi la strada. Mi prese sottobraccio e mi guidò in un settore isolato del castello. Andare con lui mi parve naturale. Volevo spingerlo via. Volevo essere spaventata, terrorizzata perfino, ma non riuscivo a produrre le emozioni. La mia fame si era dissipata. Mi sentivo appagata. Mogkan mi sospinse lungo un corridoio deserto. Una strada senza uscita, pensai, ancora incapace di concepire una reazione. I suoi grigi occhi di seta mi fissarono per un momento prima di sganciare il braccio dal mio. Le sue dita seguirono la fila di diamanti neri lungo la manica della mia uniforme. «Mia Yelena» disse possessivamente. La paura mi scattò su per il braccio e mi esplose nel petto nell'istante in cui il contatto fisico con Mogkan si interruppe. La mia apatia emozionale si era dissolta, tuttavia non riuscivo a muovermi. I muscoli del mio corpo non volevano obbedire ai frenetici ordini della mia mente di combattere. Un mago! Mogkan aveva il potere. L'aveva usato durante l'Incontro del brandy, mettendo Valek sull'avviso. Ma ulteriori riflessioni su quella rivelazione furono interrotte quando Mogkan si fece più vicino. «Se avessi immaginato che avresti provocato tanti guai non ti avrei mai portata all'orfanotrofio di Brazell.» Sorrise alla mia confusione. «Reyad non ti aveva detto che fui io a trovarti?» «No.» Avevo la voce arrochita. «Eri persa nella giungla, avevi solo sei anni. Una bambina così bella, così brillante. Una tale delizia. Ti salvai dalle grinfie di un leopardo arboreo perché sapevo che avevi potenziale. Ma tu eri troppo ostinata, troppo indipendente. Più duramente provavamo, più tu resistevi.» Mogkan pose la mano a coppa sotto il mio mento, costringendomi a incontrare il suo sguardo. «Perfino adesso, quando sono annidato dentro di te, mi stai ancora combattendo, lo posso comandare il tuo corpo.» Sollevò il suo braccio sinistro, e il mio braccio sinistro rispecchiò il movimento. «Ma se tentassi di controllare entrambi, la tua mente e il tuo corpo, alla fine mi

contrasteresti.» Scosse il capo con incredulità, come se l'intero concetto lo sbalordisse. «Fortunatamente, una pressione sottile è tutto ciò che occorre.» Staccò la mano, e poi fece il gesto di pizzicare con le dita e il pollice. La mia gola si serrò. Non potevo respirare. Impotente a difendermi, crollai a terra. Le urla della mia mente restarono inespresse. Poi la logica afferrò il panico e lo costrinse a terra. Mogkan stava usando la magia. Forse potevo bloccarla prima di venir meno. Provai a recitare i nomi dei veleni nella mia mente. «Una tale forza» disse Mogkan con ammirazione. «Ma non ti salverà, stavolta.» Si chinò a baciarmi teneramente, in modo quasi paterno, sulla fronte. La pace fluì attraverso di me. Cessai di resistere. La vista mi si annebbiò. Sentii Mogkan prendermi la mano, tenerla nella sua.

Capitolo 25 Afflosciandomi contro la parete, restai appesa alla mano di Mogkan mentre il mondo impallidiva intorno a me. Sentii uno sgradito scossone, poi la stretta sulla mia gola si allentò. Ansimando per respirare, ripresi i sensi e mi resi conto che giacevo prona sul pavimento. Accanto a me Valek era seduto sopra il torace di Mogkan, le mani strette attorno al suo collo. Ma i suoi occhi erano su di me. Mogkan sorrise quando il capo della sicurezza si alzò e lo tirò in piedi con uno strattone. «Spero tu sia consapevole della pena a cui sono condannati i maghi a Ixia» disse Valek. «Altrimenti, sarà un piacere illuminarti.» Mogkan si lisciò l'uniforme e si aggiustò la lunga treccia di capelli scuri. «Qualcuno direbbe che la tua capacità di resistere alla magia fa di te un mago, Valek.» «Il Comandante pensa altrimenti. Sei in arresto.» «Allora avrai una grossa sorpresa. Suggerisco che tu discuta queste false accuse con il Comandante prima di fare alcunché di drastico» disse Mogkan. «E se invece ti uccidessi all'istante?» Valek gli andò più vicino. Un dolore ardente, bruciante mi trafisse l'addome. Gridai e mi rotolai raggomitolandomi stretta. L'agonia era incessante. Valek fece un altro passo, lo urlai mentre il fuoco mi di-vampava su per la schiena e mi circondava la testa. «Un po' più vicino, e lei sarà un cadavere» ammonì Mogkan, un'astuta untuosità nella voce. Tra le ciglia imperlate di lacrime di dolore, vidi Valek spostare il proprio peso alle punte dei piedi, anche se restò sul posto. «Ebbene, questo è interessante. Il vecchio Valek non si sarebbe davvero curato che io uccidessi il suo assaggiatore. Yelena, bambina mia, mi sono appena reso conto di quanto incredibilmente utile tu sia.»

Il dolore era insopportabile. Sarei volentieri morta per sfuggirvi. Prima di perdere i sensi, l'ultima cosa che vidi fu la schiena di Mogkan che se ne andava indenne. Mi svegliai nel buio totale. Qualcosa di pesante mi premeva contro la fronte. Allarmata, cercai di mettermi a sedere. «Va tutto bene» disse Valek, spingendomi giù. Mi toccai la testa e ne levai un panno bagnato. Battendo le palpebre per la luce, mi guardai intorno, al familiare mobilio della mia stanza. Valek stava accanto a me, una tazza in mano. «Bevi questo.» Presi un sorso e trasalii al sapore di medicinale. Valek insistette perché lo finissi. Quando la tazza fu vuota, lui la posò sul comodino. «Riposa» ordinò, poi si voltò per andarsene. «Valek» lo chiamai, fermandolo. «Perché non hai ucciso Mogkan?» Lui rifletté per un momento, inclinando la testa. «Una manovra tattica. Mogkan ti avrebbe ucciso prima che io potessi finirlo. Tu sei la chiave di troppi enigmi. Mi servi.» Avanzò a grandi passi verso la porta, però si arrestò sulla soglia. La sua presa sulla maniglia era abbastanza forte da fargli sbiancare le nocche. «Ho denunciato Mogkan al Comandante, ma lui era...» La mano di Valek si torse sul pomolo, e udii il metallo cigolare. «... indifferente, così terrò d'occhio il Comandante finché Brazell e Mogkan non se ne andranno. Ho riassegnato Ari e Janco come tue guardie del corpo personali. Non lasciare questo appartamento senza di loro. E smetti di mangiare Creolo. Assaggerò io quello del Comandante. Voglio vedere se ti accade qualcosa.» Valek chiuse la porta, lasciandomi sola con i miei turbinosi pensieri. Fedele alla sua parola, e con molto fastidio del Comandante, Valek non lasciava il fianco di Ambrose. Ari e Janco furono contenti del cambiamento nella loro routine, ma io li feci lavorare duro. Ogni momento in cui non stavo assaggiando i pasti del Comandante, costringevo Ari ad allenarmi nella difesa col coltello e Janco a darmi altre lezioni di scasso sulle serrature.

La partenza dei Generali era prevista per il giorno seguente, il che significava che era tempo di fare un po' di ricognizione per conto mio. Erano le prime ore della sera e sapevo che Valek sarebbe rimasto con il Comandante fino a tardi. Dissi ad Ari e Janco che sarei andata a letto presto, e augurai loro la buonanotte sulla soglia dell'alloggio di Valek. Dopo aver atteso un'ora, sgattaiolai di nuovo nel corridoio. I passaggi interni del castello non erano deserti come avevo sperato, ma l'ufficio di Valek era situato fuori dai percorsi principali. Mi accostai alla sua porta, controllando che non vi fosse passaggio di gente all'esterno. Non vedendo nessuno, inserii i miei punteruoli nella prima delle tre serrature, ma ero troppo nervosa e non riuscii a far scattare il meccanismo. Presi un paio di profondi respiri e riprovai. Avevo fatto scattare due serrature quando udii delle voci che si avvicinavano. Alzandomi in piedi, sfilai i punteruoli dalla toppa e bussai alla porta proprio mentre sopraggiungevano due uomini. «È con il Comandante» disse la guardia a sinistra. «Grazie» risposi, e presi a camminare nella direzione opposta con il cuore che mi batteva come le ali di un colibrì. Mi guardai alle spalle finché non se ne furono andati, poi tornai di corsa all'ufficio di Valek. La terza serratura si dimostrò la più difficoltosa. Ero coperta di sudore quando infine la feci scattare. Mi precipitai dentro la stanza, chiudendo la porta dietro di me. La prima cosa che feci fu aprire lo stipetto di legno che conteneva il mio antidoto. Forse Valek vi teneva chiusa anche la ricetta. Accesi una debole lanterna per guardare dentro. Bottiglie di vetro di varie forme e dimensioni scintillarono alla luce. La maggior parte delle bottiglie erano contrassegnate Veleno. Un senso d'ansia crescente mi consumava mentre cercavo. Tutto ciò che scoprii fu una grossa bottiglia contenente l'antidoto. Ne versai solo poche dosi nella fiaschetta che mi ero nascosta in tasca, sapendo che Valek l'avrebbe notato se ne avessi preso troppo. Dopo aver nuovamente chiuso a chiave lo stipetto, avviai una ricerca sistematica fra i documenti di Valek, cominciando dai cassetti della scrivania. Anche se il suo ufficio era disseminato di libri e

mappe, i suoi incartamenti personali erano ben organizzati. Trovai documenti su Margg e sul Comandante e fui tentata di leggerli, ma mi costrinsi a rimanere concentrata sul mio obiettivo: trovare un fascicolo che portasse il mio nome o un riferimento a Polvere di Farfalla. Valek aveva scritto molte osservazioni interessanti sulle mie capacità come assaggiatore nel mio fascicolo personale, tuttavia non c'era alcuna menzione del veleno o dell'antidoto. Quando ebbi terminato con la scrivania, mi spostai al tavolo da riunione. Libri sui veleni erano mischiati a fascicoli e ad altri documenti di spionaggio. Passai in rivista le pile. Il mio tempo si esauriva in fretta. Dovevo essere di ritorno nell'alloggio di Valek prima che lui scortasse il Comandante ai suoi appartamenti. Soffocai il disappunto quando finii con il tavolo. Rimaneva ancora metà del suo ufficio da esplorare. Ero a metà della stanza silenziosa quando udii il rumore distinto di una chiave che veniva inserita nella serratura. Un giro, poi la chiave venne estratta. Spensi con un soffio la lanterna mentre la seconda serratura si apriva con un clic. Tuffandomi dietro il tavolo da conferenza, sperai che le scatole impilate lì sotto mi nascondessero alla vista. Per favore, pregai le forze del destino, fate che sia Margg e non Valek. Un terzo scatto mi fece stringere il cuore. La porta si aprì e si chiuse. Una lieve catena di passi attraversò la stanza. Qualcuno sedette allo scrittoio. Non mi arrischiai a sbirciare, ma sapevo che era Valek. Il Comandante si era ritirato presto? Passai in rassegna le mie scarse opzioni: essere scoperta o aspettare che lui fosse uscito. Mi sedetti in una posizione più comoda. Pochi minuti dopo, qualcuno bussò alla porta. «Avanti» disse Valek. «Il vostro, ehm... pacco è arrivato, signore» annunciò una voce maschile. «Portalo dentro.» Valek trascinò la sedia sul pavimento di pietra. Sentii il cigolio delle catene e un passo strascicato. «Sei congedato» disse Valek. La porta si chiuse con un rumore secco. Un familiare odore rancido di prigione mi raggiunse il naso.

«Ebbene, Tentil. Sei consapevole di essere il prossimo in lista per il patibolo?» domandò Valek. Provai una stretta al cuore per il prigioniero condannato. Sapevo esattamente come si sentiva. «Sì, signore» mormorò una voce. Un fruscio di pagine. «Sei qui perché hai ucciso tuo figlio di tre anni con l'aratro, affermando che è stato un incidente. È esatto?» chiese ancora Valek. «Sì, signore. Mia moglie era appena morta. Non potevo permettermi una balia. Non sapevo che lui si fosse infilato là sotto.» La voce dell'uomo era serrata dal dolore. «Tentil, non esistono scusanti a Ixia.» «Sì, signore. Lo so, signore, lo voglio morire, signore. La colpa è troppo dura da sopportare.» «Allora morire non sarebbe una punizione adeguata, non credi?» Valek non attese risposta. «Vivere sarebbe una sentenza più aspra. In effetti, so di una lucrosa fattoria in DM-4 che ha tragicamente perduto sia il fattore sia sua moglie, lasciando indietro tre figli sotto i sei anni. Tentil sarà impiccato domani, o così crederanno tutti, ma tu sarai scortato a DM-4 per occuparti della gestione di una piantagione di grano e del compito di allevare quei tre ragazzi. Suggerisco che il tuo primo pensiero sia assoldare una balia. Intesi?» «Ma...» «Il Codice di Comportamento è stato eccellente nel ripulire Ixia dagli indesiderabili, tuttavia è in qualche modo manchevole nella basilare compassione umana. Malgrado le mie argomentazioni, il Comandante non riesce a cogliere questo punto, così occasionalmente prendo io in mano la faccenda. Tieni la bocca chiusa, e vivrai. Uno dei miei incaricati ti controllerà di tanto in tanto.» Mi raggomitolai dietro le scatole, raggelata dall'incredulità. Udire Valek usare la parola compassione era per me incomprensibile quanto il pensiero di Margg che si scusasse per il suo comportamento brusco.

Bussarono di nuovo alla porta. «Avanti» disse Valek. «Tempismo perfetto come sempre, Wing. Hai portato i documenti?» Udii un frusciare di carte. «La tua nuova identità» disse Valek. «Credo che il nostro affare sia concluso. Wing ti scorterà a DM-4.» Le catene tintinnarono cadendo a terra. «Sei congedato.» «Sì, signore» disse Tentil. La voce gli si spezzava. Era probabilmente sopraffatto. Sapevo come mi sarei sentita se Valek mi avesse offerto una nuova vita. Dopo che gli uomini se ne furono andati, calò un penoso silenzio. Temevo che il suono del mio respiro mi tradisse. La sedia di Valek grattò per terra. Due deboli colpi sordi furono seguiti da un rumoroso sbadiglio. «Allora, Yelena, hai trovato interessante la nostra conversazione?» Rimasi immobile, sperando stesse tirando a indovinare, ma la successiva affermazione rafforzò la mia costernazione. «So che sei dietro il tavolo.» Mi alzai in piedi. Non c'era collera nella sua voce. Stava allungato sulla sedia con i piedi posati sul piano della scrivania. «Come hai...» cominciai. «Il tuo sapone preferito al profumo di lavanda, e poi oggi non sarei vivo se non sapessi accorgermi di quando qualcuno forza le serrature del mio ufficio. Gli assassini amano tendere imboscate, lasciando cadaveri dietro porte misteriosamente chiuse. Roba da divertirsi.» Valek sbadigliò di nuovo. «Non sei in collera?» «No, sollevato, in realtà. Mi chiedevo quando avresti esplorato il mio ufficio in cerca della ricetta dell'antidoto.» Una furia improvvisa mi sgorgò dalla gola. «Sollevato? All'idea che io possa cercare di scappare? Che abbia frugato tra le tue carte? Sei così fiducioso che io non possa avere successo?» Valek inclinò la testa da un lato, riflettendo. «Sono sollevato che tu stia seguendo i normali stadi di un'evasione, e non inventando un

piano unico. Se so quel che stai facendo, allora riesco ad anticipare la tua prossima mossa. Se no, potrebbe sfuggirmi qualcosa. Imparare a scassinare serrature naturalmente conduce a questo.» Valek accennò alla stanza circostante. «Ma, dal momento che la formula non è stata messa per iscritto e soltanto io la conosco, sono fiducioso che tu non la scoprirai.» Serrai i pugni per impedire alle mie mani di avvinghiarsi attorno al superiore collo del Signor Sotuttoio. «D'accordo, dunque non c'è possibilità di fuga. E questo? Hai dato a Tentil una nuova vita, perché non a me?» «Come sai che non l'ho già fatto?» Valek posò i piedi sul pavimento e si sporse in avanti. «Perché pensi di essere rimasta in prigione per quasi un anno? È stata solo fortuna che per caso fossi tu la prossima in lista quando è morto Oscove? Forse stavo solo recitando al nostro primo incontro, quando sembravo così sorpreso che tu fossi una donna.» Era troppo da sopportare. «Che cosa vuoi, Valek?» domandai. «Vuoi che io la smetta di provare? Che mi accontenti di questa vita avvelenata?» «Vuoi davvero saperlo?» La voce di Valek si fece più intensa. Si alzò in piedi e venne verso di me. «Sì.» «lo ti voglio... non come una servente riluttante, ma come un fedele membro dello staff. Tu sei intelligente, sveglia, e stai diventando una combattente accettabile. Ti voglio devota quanto lo sono io alla sicurezza del Comandante. Sì, è un lavoro pericoloso, ma d'altro canto, un salto mortale mal calcolato sulla fune sospesa e potresti spezzarti il collo. Ecco che cosa voglio. Sarai capace di darmelo?» Gli occhi di Valek bruciarono in profondità dentro i miei, cercando una risposta. «E poi, dove andresti? Il tuo posto è qui.» Fui tentata di conciliare. Ma sapevo che se non fossi stata avvelenata o assassinata da Brazell, la magia non imbrigliata nel mio sangue sarebbe infine esplosa, portandomi con sé. L'unico segno fisico che avrei lasciato su questo mondo sarebbe stato una turbolenza nella fonte del potere. Senza l'antidoto, ero perduta

comunque. «Non lo so» risposi. «C'è troppo...» «Che non mi hai raccontato?» Annuii, incapace di parlare. Raccontargli dei miei poteri magici, pensai, mi avrebbe solo fatto uccidere più in fretta. «Fidarsi è duro, sapere di chi fidarsi, ancor di più» disse Valek. «E il mio curriculum è stato abbastanza orrido. Una mia debolezza.» «No, una forza. Guarda Ari e Janco. Si sono autonominati tuoi protettori molto prima che li assegnassi io. Tutto perché ti sei schierata dalla loro parte con il Comandante, quando il loro stesso Capitano non l'avrebbe fatto. Pensa a quello che hai al momento, prima di darmi una risposta. Ti sei guadagnata il rispetto del Comandante e di Maren, e la lealtà di Ari e Janco.» «Che cosa mi sono guadagnata da te, Valek? Lealtà? Rispetto? Fiducia?» «Hai la mia attenzione. Ma dammi ciò che voglio, e potrai avere tutto.» Il mattino seguente, i Generali si prepararono a partire. Ci vollero quattro ore perché gli otto seguiti si radunassero, quattro ore di rumore e confusione. Quando tutti ebbero finalmente oltrepassato i cancelli esterni, parve che il castello esalasse un sospiro di sollievo. Sulla scia di quell'improvviso calo di tensione, servitori e guardie gironzolavano, riunendosi in piccoli crocchi e prendendosi una pausa prima di pulire gli alloggi degli otto ospiti. Fu durante questo rallentamento delle attività che il Comandante informò il resto dei lavoranti del castello che la delegazione siriana era attesa per il giorno seguente. Le sue parole colpirono come un fulmine. Un lampo di silenzio attonito fu seguito da una frenesia di attività mentre i servitori sciamavano via per fare gli opportuni preparativi. Benché felice di vedere la schiena di Mogkan e di Brazell che si allontanavano, vagabondai inquieta per il castello. Non avevo dato a Valek la sua risposta. Per vivere dovevo andare a sud, ma senza

l'antidoto non sarei sopravvissuta. La paura mi riempiva il cuore mentre la realtà del mio fato inevitabile mi riempiva la mente. Il giorno dopo fu richiesta la mia presenza alla speciale cerimonia di benvenuto per la delegazione in arrivo dal sud. L'angoscia di dover vedere i Sitiani mi mise lo stomaco in subbuglio. Mi sentivo come se qualcuno stesse dicendo: «Yelena, dai una bella occhiata a ciò che non puoi avere». Dal momento che la sala del trono era stata trasformata in ufficio, l'unico posto nel castello idoneo ad affari di stato era la sala tattica del Comandante. Ancora una volta Valek sedette rigidamente nella sua uniforme di gala alla destra di Ambrose, mentre io attendevo dietro di loro. La mia ansia si trasformò in timore non appena avvertii le ondate di energia nervosa che pulsavano dagli ufficiali d'alto grado e dai consiglieri selezionati per partecipare alla cerimonia. Quando la delegazione fu annunciata e invitata a entrare, mi spostai per avere una visuale migliore. I Sitiani veleggiarono dentro la sala. I loro lunghi abiti esotici, vivacemente colorati, erano drappeggiati fino al suolo coprendo loro i piedi. Portando maschere animalesche orlate di vivaci pennacchi di piume e pelliccia, si fermarono davanti al Comandante e si aprirono a ventaglio nella forma di una V. Il loro capo, che indossava una testa di falco, parlò in toni formali. «Vi portiamo auguri e saluti dai vostri vicini del sud. Speriamo che questo incontro avvicini le nostre due terre. Per mostrare il nostro impegno in questo tentativo, siamo venuti preparati a rivelarci a voi.» L'oratore e i quattro compagni si tolsero le maschere con un solo, teatrale movimento. Battei le palpebre più volte per lo sbalordimento, sperando che durante i secondi di buio ogni cosa si sarebbe sistemata. Disgraziatamente, il mio mondo era appena cambiato di male in peggio. Valek mi lanciò un'occhiata rassegnata, come se neanche lui riuscisse a credere a quella nuova svolta degli eventi. Il capo dei Sitiani era Irys. Un mago del livello di maestro stava ad appena tre piedi davanti al Comandante Ambrose.

Capitolo 26 «Ixia vi dà il benvenuto nella nostra terra, nella speranza che questo incontro sia di buon auspicio per un nuovo inizio» annunciò il Comandante Ambrose alla delegazione del sud. Mentre aspettavo dietro di lui, mi chiesi che cosa sarebbe accaduto ai Sitiani una volta che Valek avesse informato il Comandante che Irys era una maga. Immaginando il danno che quella donna avrebbe potuto causare prima di lasciare il castello, cercai di pensare a uno scenario migliore. Non ci riuscii, e mi resi conto che quello era probabilmente solo l'inizio della fine. Valek osservava meditabondo mentre la gente del sud e il Comandante si scambiavano altri convenevoli. Indovinai dall'atteggiamento di Valek che Irys non aveva usato la sua magia. Dopo che la cerimonia ufficiale di benvenuto fu conclusa, la delegazione venne condotta ai suoi alloggiamenti per riposare e attendere il festino organizzato per quella sera: il protocollo imponeva infatti che spettacoli e intrattenimenti precedessero i negoziati. Tutti, tranne il Comandante e Valek, uscirono in fila dalla sala tattica, lo feci per andarmene, ma Valek mi afferrò per un braccio. «D'accordo, Valek, sentiamo. Qualche cupo ammonimento, presumo?» chiese il Comandante, sospirando. «Il capo sitiano è un maestro mago» disse Valek con una punta d'irritazione nella voce. Probabilmente non era abituato ai sospiri al suo indirizzo. «Questo c'era da aspettarselo. Altrimenti come potrebbero sapere che siamo sinceri dicendo di voler stringere un trattato commerciale? Una mossa logica.» Per nulla preoccupato, il Comandante si volse verso la porta. «Quella donna non vi preoccupa?» domandò Valek. «Ha cercato di uccidere Yelena.» Il Comandante mi guardò per la prima volta da quando eravamo entrati nella sala tattica. «Non sarebbe saggio uccidere il mio

assaggiatore ufficiale. Un simile atto potrebbe essere erroneamente interpretato come un tentativo di assassinare me, e bloccare i negoziati. Yelena è al sicuro... per ora.» Liquidò con una scrollata di spalle ogni ulteriore pensiero sulla mia sicurezza futura e lasciò la sala. Valek fece una smorfia. «Dannazione.» «E adesso?» domandai. Lui sferrò un calcio a una delle sedie. «Avevo previsto la presenza di un mago con la delegazione del sud, ma non lei.» Scosse il capo, come per scacciare la frustrazione che gli annodava la voce. «Lascerò i Poteri Gemelli assegnati a te finché lei è qui. Tuttavia, se è decisa ad averti, non c'è niente che loro o io possiamo fare. Con Mogkan ho avuto fortuna ero proprio dietro l'angolo quando ho percepito l'impeto del suo potere. Speriamo che lei si comporti bene mentre è ospite nella nostra terra.» Valek scagliò la sedia contro il tavolo, con forte rumore. «Almeno so dove sono tutti i maghi. Mogkan era quello che ho percepito durante l'Incontro del brandy con i Generali. E il maestro del sud è ora nel castello. A meno che non ne compaiano degli altri, dovremmo essere al sicuro.» «Che ne dici del Capitano Star?» domandai. «Star è una ciarlatana. Le sue vanterie di essere una maga sono soltanto una tattica per spaventare gli informatori, in modo che non facciano il doppio gioco con lei» sospirò Valek. «Generali, Sitiani e festini accrescono il mio carico di lavoro. Il che mi fa ricordare che tu dovrai restare per l'intero banchetto, stanotte. Un compito faticoso, ma quantomeno il cibo dovrebbe essere buono. Ho sentito che Rand voleva usare il Creolo per un nuovo dessert, ma il Comandante ha respinto la sua richiesta. Un altro mistero, dal momento che Brazell ha continuato a mandare quella roba a vagonate, e ha promesso di spedire il dolce anche a tutti gli altri Generali. Ne stavano parlando come se fosse oro.» Vidi un lampo negli occhi di Valek. «Qualche sintomo insolito, sensazioni, o voglie, da quando hai smesso di mangiare il Creolo?»

Erano passati tre giorni dall'ultima volta che ne avevo assaggiato un pezzo, e non riuscii a evocare nessun reale sintomo fisico che potesse esservi correlato. Mangiarlo mi aveva sollevato il morale e dato una sferzata di energia. Mi mancava il suo gusto dolce, specialmente ora che le mie probabilità di essere libera erano diminuite. «Un moderato desiderio» dissi a Valek. «Ma niente di simile a una dipendenza. Mi ritrovo a pensarci di tanto in tanto, desiderandone un pezzo.» Valek si accigliò. «Potrebbe essere troppo presto. Il Creolo potrebbe ancora essere nel tuo circolo sanguigno. Mi informerai se succede qualcosa?» «Sì.» «Bene. Ci vedremo stasera.» Povero Valek, pensai, costretto a indossare l'uniforme di gala per ben tre volte nel giro di pochi giorni. Per la festa elaborate decorazioni erano state appese nella sala da pranzo. Drappi cremisi e neri pendevano lungo le pareti, e nastri rossi e oro piovevano attorcigliandosi dal soffitto. La stanza era splendente di luci. Vi era stata costruita una piattaforma rialzata per sostenere una tavolata d'onore alla quale sedevano la delegazione del sud, il Comandante e Valek, tutti in abiti di gala. Ufficiali d'alto grado e consiglieri di livello superiore erano seduti a tavoli rotondi disposti tutt'attorno alla sala, lasciando vuoto il centro. In un angolo una formazione di dodici musicanti eseguiva brani tranquilli, il che fu una sorpresa dal momento che il Comandante guardava con sfavore la musica, considerandola uno spreco di tempo. lo sedevo dietro il Comandante Ambrose così che lui potesse passarmi il suo piatto. Come predetto, il cibo era fantastico. Rand aveva superato se stesso. La mia uniforme scura si confondeva con i drappeggi neri lungo la parete, e poiché dubitavo che qualcuno al di là della piattaforma notasse che c'ero, osservavo gli altri mentre aspettavo tra una portata e l'altra. Ari e Janco sedevano l'uno accanto all'altro a un

tavolo presso la porta. Partecipando alla loro prima cerimonia formale in veste di Capitani, erano palesemente a disagio. Conoscendoli, ero sicura che avrebbero preferito tornare a bere birra con i camerati in caserma. Irys e il suo seguito erano seduti alla sinistra del Comandante. I loro abiti di gala erano turbinanti di colori e scintillavano alla luce del fuoco. Irys portava un pendente di diamante a forma di fiore, che le brillava sul petto. Ignorò la mia presenza, il che per me andava bene. Dopo aver sparecchiato i tavoli, i servitori spensero metà delle lanterne. I musici accelerarono il tempo finché un ritmo pulsante fece vibrare le cristallerie sui tavoli. Danzatori in costume irruppero nella sala, tenendo alti sopra la testa bastoni infuocati. Danzatori del fuoco! Eseguirono una coreografia intricata e complessa. Osservarli turbinare e roteare a tempo di musica mi lasciò senza fiato. Ora capivo perché il loro tendone alla festa traboccava di spettatori entusiasti. A un certo punto Valek si appoggiò allo schienale della sedia e mi disse: «Non penso che avrei passato l'audizione, Yelena. Probabilmente a questo punto mi sarei già incendiato i capelli». «Che cos'è una testa bruciacchiata per amore dell'arte?» scherzai. Lui rise. L'atmosfera della sala era piena di energia e di rilassamento. Mi augurai che il Comandante non aspettasse altri quindici anni prima di dare un altro festino. I ballerini terminarono il loro secondo bis e uscirono dalla sala. Irys si alzò per proporre un brindisi. I Sitiani avevano portato il loro cognac migliore, e lei ne versò un bicchiere per il Comandante, per Valek e per se stessa. Non parve offesa quando il calice del Comandante passò a me. Feci ruotare il liquido ambrato nel bicchiere e ne inalai l'odore pungente. Sorbendone un piccolo sorso, mi rigirai il cognac attorno alla lingua, poi lo sputai sul pavimento. Tossendo e provocandomi conati di vomito per lo sforzo, cercai di espellerne ogni goccia residua dalla mia bocca. Valek mi fissò allarmato. «Amor Mio» dissi con voce strozzata.

Valek rovesciò gli altri due bicchieri, versandone il contenuto sulla tavola. Mentre il mio corpo reagiva al veleno, guardai Valek tramutarsi in una macchia d'inchiostro nero, e le pareti colare sangue. Galleggiavo in un mare cremisi, con i colori che danzavano e turbinavano attorno alla mia testa. Il suono di vetro spezzato che pioveva sulle pietre creava nella mia mente una bizzarra melodia. Veleggiai su una ventata fatta di bianchi capelli ricciuti, trasportata da una forte corrente. La voce consolante di Irys parlò in mezzo alla tempesta di colori: «Starai bene, limitati a tenerti stretta alla ventata della tua vita. Puoi superare questa tempesta». Mi svegliai nella mia stanza. Era stata accesa una lanterna, e Janco sedeva su una sedia leggendo un libro. La situazione era infinitamente migliore dell'ultima volta che avevo provato Amor Mio. Un morbido letto era preferibile a giacere in una pozza del proprio vomito. Anche se questo andazzo di svegliarmi nella mia stanza senza sapere come ci fossi arrivata doveva finire. «Ma guarda, Janco, non sapevo che sapessi leggere» scherzai. Avevo la voce arrochita, la gola dolorante, e un dolore sordo mi pulsava nel profondo dentro la testa. «Sono uomo dai molti sconosciuti talenti» sorrise lui. «Bentornata.» «Quanto sono stata via?» «Due giorni.» «Che cosa è successo?» «Dopo che ti sei trasformata in una pazza furiosa?» domandò Janco. «O perché lo sei diventata?» Feci una smorfia. «Dopo.» «È sorprendente quanto rapidamente Valek sappia agire» disse Janco con ammirazione. «Ti ha spinto fuori vista sul pavimento turando nel contempo la bottiglia contaminata e usando un qualche gioco di mano per scambiarla con un'altra. Si è scusato con tutti quanti per essere stato così maldestro, e ha provveduto a versare altri tre bicchieri perché quella strega del sud potesse fare il suo brindisi da impostora. L'intero incidente è stato appianato e coperto

così rapidamente che soltanto le persone sulla pedana hanno capito che cosa fosse realmente accaduto.» Janco si grattò la barbetta. «Ecco, loro e Ari. Ti ha tenuto gli occhi addosso per tutta la sera, così quando sei andata giù noi stavamo già per venire da te. Siamo sgusciati dietro la tavola d'onore durante il brindisi e lui ti ha portato qui. Sarebbe ancora qui, ma l'ho costretto a mano armata a prendersi un paio d'ore per riposare.» Questo spiegava la ventata dai capelli ricci. Mi rizzai a sedere. Il mal di testa si intensificò. Sul comodino c'era una brocca d'acqua. Ne versai un bicchiere, vuotandolo fino all'ultima goccia. «Valek ha detto che avresti avuto sete. È passato a vederti un paio di volte, ma è stato occupato con quelli del sud. Non posso credere che quella strega abbia avuto l'ardire di cercare di avvelenare il Comandante.» «Non è stata lei. Rammenti? Ha versato tre bicchieri dalla stessa bottiglia. Deve averlo fatto qualcun altro» dissi. Ma il colpevole mi sfuggì, mentre lo sforzo di concentrarmi mi faceva pulsare la testa. «A meno che non fosse disposta a un omicidio-suicidio. Una morte rapida invece di aspettare nella nostra segreta di essere impiccata.» «Possibile» dissi, anche se lo ritenevo improbabile. «Valek dev'essere d'accordo con te. Le discussioni sul trattato stanno procedendo come se niente fosse successo.» Janco sbadigliò. «Bene, adesso che sei di nuovo in te, mi farò una dormita. Mancano ancora quattro ore all'alba.» Janco mi risospinse giù nel letto. «Riposati un po'. Torneremo domattina.» Mi scrutò, il viso contratto dall'indecisione. «Ah ha detto che hai urlato e delirato un bel po' mentre si prendeva cura di te. In effetti, ha detto che se Reyad oggi fosse vivo, sventrerebbe lui quel bastardo senza un attimo di esitazione. Ho solo pensato che magari avresti voluto saperlo.» Janco mi diede un fraterno bacio sulla fronte e se ne andò. «Oh, grandioso» gemetti. Che cos'altro aveva saputo Ari? Come sarei stata capace di guardarlo in faccia il mattino dopo? Ebbene, pensai, non c'era niente che potessi fare al momento. Cercai di

tornare a dormire, ma lo stomaco vuoto continuava a gorgogliarmi. Tutto ciò a cui riuscivo a pensare era del cibo. Esaminai la mia fame, cercando di distinguere se fosse un comando mentale da parte di Irys, simile a quello che in precedenza mi aveva procurato Mogkan, ma non riuscii a concepire un buon motivo per cui lei dovesse convocarmi. Una volta che ebbi deciso di arrischiarmi a compiere il viaggio, aprii il coltello a serramanico e mi avviai su gambe tremanti verso la cucina, dove speravo di sgattaiolare dentro e di abbrancare un po' di pane prima che Rand si svegliasse per avviare i suoi impasti. Dopo aver tagliato un pezzo di formaggio da mangiare insieme a una pagnotta, stavo per andarmene quando la porta di Rand si aprì. «Yelena» esclamò sorpreso. «'Giorno, Rand. Sto solo rubacchiando qualcosa da mangiare.» «Non ti ho visto per settimane» borbottò. «Dove ti eri cacciata?» Si spostò verso i forni. Aperto il primo sportello di metallo, attizzò le braci del fuoco e aggiunse altro carbone. «Sono stata occupata. Sai, i Generali, la delegazione, il banchetto... Che, tra l'altro, era magnifico, Rand. Sei un genio.» Lui si rianimò molto dopo che ebbi fatto leva sul suo ego. Mi rassegnai al fatto che, se volevo pensasse che eravamo ancora amici, avrei dovuto parlare con lui. Posai la mia colazione su un tavolo e avvicinai uno sgabello. Rand venne zoppicando verso di me. «Qualcuno ha detto che eri indisposta.» «Già. Un'influenza intestinale. Non ho mangiato per due giorni, ma adesso sto meglio.» Accennai al pane. «Aspetta, ti farò qualche frittella dolce.» Lo osservai mescolare la pastella, assicurandomi che non v' facesse scivolare dentro qualche ingrediente velenoso. Ma quando ebbi i dolci sotto il naso, mi ci buttai con incurante abbandono. La scena familiare di Rand che faceva il pane mentre io sedevo lì vicino dissolse l'imbarazzo tra noi e ben presto stavamo chiacchierando e ridendo.

Fu solo quando le sue domande si fecero mirate e specifiche che mi resi conto di come mi stesse mungendo per avere informazioni sul Comandante e su Valek. Strinsi la forchetta, infilzandola con energia nelle frittelle. «Sentito niente su questo trattato con i Sitiani?» chiese Rand. «No.» Il mio tono era aspro, e lui mi guardò con curiosità. «Mi dispiace, sono stanca. Meglio che torni a letto.» «Visto che te ne vai, puoi anche portarti via questi semi.» Rand tirò giù il vaso di vetro. «Li ho saltati in padella, grattugiati, perfino bolliti, ma hanno comunque un sapore irriconoscibilmente orrido.» Li versò in un sacchetto, e andò a controllare il fuoco dei suoi forni. Osservarlo attizzare i carboni ardenti mi diede un'idea. «Forse non sono da mangiare» dissi. «Magari sono una fonte di carburante.» I baccelli del sud erano stati consegnati alla nuova fabbrica di Brazell. Forse lì stava usando come combustibile per i forni. «Vale la pena di provare» convenne Rand. Gettai le fave nel fuoco. Aspettammo un po', ma non vi furono fiammate improvvise o aumento di temperatura. Mentre Rand girava le teglie con le pagnotte, io fissavo le braci, pensando che per quanto riguardava il mistero delle fave, ero del tutto priva di idee. Quando Rand ricominciò con le sue domande, distolsi gli occhi dal fuoco del forno. Avevo un nodo in gola. «Farò meglio ad avviarmi o Valek si chiederà dove sono.» «Sì, vai. Ho notato che tu e Valek siete diventati intimi. Digli, da parte mia, di non uccidere nessuno, vuoi?» Il sarcasmo rendeva tagliente la voce di Rand. Persi il controllo e sbattei lo sportello del forno, richiudendolo. Il rumore echeggiò nella cucina silenziosa. «Almeno Valek ha la decenza di informarmi quando mi sta avvelenando» sbottai, ma desiderai poter ritirare le parole e ricacciarmele in bocca. Accusare la mia stanchezza, la mia collera, o Rand per il mio scatto non avrebbe cancellato ciò che avevo appena detto. Il suo viso si contorse, ondeggiando dalla sorpresa alla colpa, all'ira. «Te l'ha detto Star?» domandò.

«Ah...» Non sapevo che cosa rispondere. Se dicevo di sì, lui avrebbe saputo da Star che stavo mentendo, e se dicevo di no, avrebbe insistito per conoscere la mia fonte. In un modo o nell'altro, l'avrebbe immaginato. Avevo appena svelato l'intera operazione sotto copertura di Valek. Fortunatamente Rand non attese che rispondessi prima di lanciarsi in una tirata. «Avrei dovuto saperlo che lei te l'avrebbe detto. Adora fare perfidi giochetti cervellotici. Quando sei comparsa tu, io non desideravo conoscerti. Tutto quello che volevo era il mucchietto di crediti d'oro che Star offriva di detrarre dal mio debito se avessi truccato il test di Valek.» Rand batté un pugno sul tavolo. «Poi i miei dannati principi e la tua dannata gentilezza hanno complicato le cose. Vendere informazioni su di te, poi doverti proteggere senza aver l'aria di proteggerti, ha reso la mia vita un inferno.» «Mi rincresce per l'inconveniente» replicai. «Immagino che dovrei essere grata, avvelenamenti e rapimenti a parte.» Il sarcasmo rendeva tagliente la mia voce. Rand si passò le mani sulla faccia, la collera improvvisamente dissolta. «Mi dispiace, Yelena. Avevo le spalle al muro, e non potevo uscirne senza ferire qualcuno.» Mi ammorbidii. «Perché Star voleva avvelenarmi?» «È stato il Generale Brazell a commissionarle l'incarico. Questo non dovrebbe essere una sorpresa.» «No.» Riflettei per un momento, poi domandai: «Rand, c'è qualcuno che possa aiutarti a uscire da questo garbuglio? Magari Valek?». «Assolutamente no! Perché hai una così alta opinione di lui? È un assassino. Dovresti odiarlo già solo per averti dato la Polvere di Farfalla, io lo farei.» «Chi te l'ha detto?» lo interrogai. «Chi altri ne è al corrente? Pensavo che solo il Comandante e Valek lo sapessero.» «Il tuo predecessore, Oscove, mi raccontò perché non tentò mai la fuga; e no, non ho venduto questa informazione a nessuno. Ho dei limiti.» Si tirò il grembiule. «L'odio di Oscove per Valek rivaleggiava con il mio, e questo lo capivo, ma la tua relazione con

quell'individuo...» Le sopracciglia aggrottate di Rand schizzarono su verso la fronte. «Sei innamorata di lui» gridò. «Questo è ridicolo!» urlai io. Ci fissammo l'un l'altro, troppo allibiti per dire alcunché d'altro. Poi un dolce aroma nocciolaio mi raggiunse il naso. Anche Rand annusò l'aria. Seguii la pista olfattiva fino al forno nel quale avevo buttato i fagioli del mistero. Aprendo lo sportello, fui salutata da un forte sbuffo di aroma celestiale. Creolo.

Capitolo 27 «Dove hai trovato quei semi?» domandò Rand. «Sono l'ingrediente mancante della ricetta del Creolo. Non ho pensato di tostarli per cambiare il sapore.» «Un magazzino di sotto» mentii. Non avevo intenzione di dirgli che Valek e io li avevamo intercettati sulla via della nuova fabbrica di Brazell. Che, mi resi conto in quel momento, probabilmente non stava producendo mangimi bensì Creolo. «Che magazzino?» chiese Rand, una traccia di disperazione nella voce. «Non ricordo.» «Sforzati ancora. Se riesco a riprodurre la ricetta di Ving per il Creolo, allora forse non verrò trasferito.» «Trasferito? Dove?» «Vuoi dire che Valek non gongola di già a questa prospettiva? Ha desiderato liberarsi di me fin dal colpo di stato. Sto per essere mandato al maniero di Brazell, e Ving verrà qui. Non durerà una settimana!» Rand sputò le parole con amarezza. «Quando?» «Non lo so. Non ho ancora ricevuto i documenti di trasferimento, così suppongo che ci sia qualche speranza di bloccarlo. Sempre se tu riesci a trovarmi quei semi.» Pensa che siamo ancora amici, mi resi conto sbalordita. Pur avendo ammesso di aver cercato di avvelenarmi e dopo avermi accusata di amare il suo nemico, crede che farò questo per lui. Non avevo risposta. Tergiversai. «Proverò» promisi, e uscii in fretta. Il primo bagliore dell'alba affiorava dalle creste delle Montagne dell'Anima quando arrivai non vista all'appartamento di Valek. Le alte finestre del soggiorno guardavano a est, e nella debole luce grigia vidi il profilo di Valek che sedeva sul divano, aspettandomi. «Di ritorno così presto?» domandò. «Malissimo. Stavo giusto per organizzare le ricerche del tuo cadavere. Che cosa è successo quando

hai bussato alla porta della maga del sud per sacrificarti? Ti hanno sbattuta fuori a calci, ritenendoti troppo scema per sprecare il loro tempo?» Mi lasciai cadere su una sedia attendendo la fine della sarcastica lezioncina di Valek. Nessuna scusa che potessi offrirgli l'avrebbe soddisfatto. Aveva ragione, andarmene in giro da sola era stata una cosa stupida da fare, ma la logica e lo stomaco vuoto erano come olio e acqua, non andavano d'accordo. Quando finalmente si zittì, chiesi: «Hai finito?». «Cosa? Non ribatti?» Scossi il capo. «Allora ho finito.» «Bene» dissi. «Dal momento che sei già di cattivo umore, potrei anche raccontarti che cosa è successo mentre ero in cucina. Effettivamente due cose: una cattiva e una buona. Quale ti piacerebbe sentire per prima?» «Quella cattiva» rispose Valek. «Se non altro posso concedermi di sperare che quella buona riequilibri le cose.» Mi feci forza e ammisi di aver rivelato la sua operazione sotto copertura. Il viso di Valek s'indurì. «È colpa tua. Stavo difendendo te!» sbottai. Lui esitò. «Per proteggere il mio onore, hai esposto mesi di lavoro. Dovrei esserne lusingato?» «Dovresti» risposi. Non avevo intenzione di sentirmi in colpa. Se lui non avesse messo alla prova la mia lealtà con Star per poi usarmi per portare avanti le sue indagini, non si sarebbe trovato in quella situazione. Le spalle gli si incurvarono mentre si appoggiava allo schienale del divano, massaggiandosi le tempie. «Non avevo in progetto di effettuare arresti fino a più avanti questo mese. Meglio che perfezioni il mio piano di pulizia prima che Rand abbia l'opportunità di avvertire Star.» Valek si strofinò gli occhi. «Questo potrebbe persino essere un bene. Ho l'impressione che Star stia diventando sospettosa: non ha condotto alcun commercio illecito nel suo ufficio.

Se la sbatto dentro adesso, potrei scoprire chi l'ha assoldata per avvelenare la bottiglia dei Sitiani.» «Star? Come?» «Ha un sicario del sud al suo servizio. Sarebbe l'unico ad averne avuto le capacità e l'opportunità. Sono sicuro che l'avvelenamento non era una risultante delle vedute politiche personali di Star. La sua organizzazione farebbe qualunque cosa per chiunque, per il giusto prezzo. Devo scoprire chi rischierebbe così tanto per compromettere la delegazione.» Si alzò in piedi, elettrizzato. «Qual è la notizia buona?» «I fagioli del mistero sono un ingrediente per fare il Creolo.» «Allora perché Brazell ha mentito sulla sua richiesta di licenza? Non c'è nessuna legge contro la produzione di un dessert» disse Valek, facendo il mio stesso salto logico circa la vera natura della fabbrica di Brazell. «Forse perché i semi sono importati da Sitia» teorizzai. «Quello sarebbe illegale; almeno fino a quando il trattato commerciale non sarà definito. Forse Brazell sta usando altri ingredienti del sud o anche macchinari.» «Possibile. Ecco perché era così impaziente di avere un trattato. Dovrai dare una buona occhiata in giro quando visiterai la fabbrica.» «Che cosa?» «Il Comandante ha preventivato un viaggio a DM-5 quando la delegazione sarà partita. E dove va il Comandante, vai tu.» «E tu? Verrai anche tu, non è vero?» Il panico che mi montava in gola rese la mia voce simile a uno squittio. «No. Mi è stato ordinato di restare qui.» «Uno, e due, e tre, quattro, cinque, e dai! Continua a combattere così e morirai» canterellò Janco. Ero bloccata contro la parete. Il mio archetto rimbalzò rumorosamente a terra mentre il bastone di Janco mi toccava la tempia, enfatizzando il concetto.

«Che cosa c'è che non va? Di rado sei cosi facile da battere.» Janco si appoggiò al suo bastone. «Troppo distratta» ammisi. Era stato solo il giorno prima che Valek mi aveva informata dei progetti del Comandante. «Allora che cosa stiamo facendo qui?» domandò Ari. Lui e Maren avevano guardato lo scontro. Ancora a disagio per quello che lui poteva aver udito quando deliravo, ebbi una certa difficoltà a incontrare il suo sguardo. «Al prossimo giro ci proverò con maggior convinzione» dissi mentre Janco e io riprendevamo fiato. Ripercorrendo il nostro scontro, chiesi a Janco: «Perché canti in rima quando combatti?». «Mi aiuta a tenere il ritmo.» «Gli altri soldati non ti prendono in giro per questo?» «Non quando li batto.» Avviammo un altro incontro. Feci uno sforzo per concentrarmi, ma fui battuta di nuovo. «Adesso ci stai provando con troppa convinzione. Posso vederti progettare ogni mossa offensiva» disse Janco. «Ti stai tradendo, e io sono qui a bloccarti ancor prima che tu colpisca.» Ari aggiunse: «Giostriamo per un motivo. Le mosse offensive e difensive devono essere istintive. Lascia che la tua mente si rilassi, ma resta all'erta. Blocca fuori tutte le distrazioni. Rimani concentrata sul tuo avversario, ma non troppo concentrata». «Questa è una contraddizione» gridai frustrata. «Funziona» fu tutto quello che rispose Ari. Presi un paio di profondi respiri e cancellai dalla mia mente gli inquietanti pensieri sul mio imminente viaggio al distretto di Brazell. Passando le mani sul bastone, mi concentrai invece sulla levigata solidità dell'arma. Lo sollevai nella presa, cercando di dar vita a una connessione, creando un'estensione dei miei pensieri attraverso il bastone. Una leggera vibrazione mi punse i polpastrelli mentre seguivo la venatura del legno. La mia coscienza fluì nel bastone, torcendosi e

intrecciandosi lungo la venatura, e quindi di nuovo lungo il mio braccio. Possedevo il bastone e il mio corpo allo stesso tempo. Entrai nel terzo scontro con un senso di accentuata consapevolezza. D'istinto, sapevo che cosa stava progettando Janco, e un mezzo secondo prima che lui si muovesse io avevo il mio archetto sollevato a bloccarlo. Invece di arrabattarmi a difendermi, ebbi più tempo per contrattaccare oltre che per parare. Respinsi Janco. Un battito musicale mi pulsava nella mente, e io gli permisi di guidare il mio attacco. Vinsi lo scontro. «Sorprendente» urlò Janco. «Hai seguito il consiglio di Ari?» «Alla lettera.» «Puoi farlo di nuovo?» domandò Ari. «Non lo so.» «Prova con me.» Ari pigliò il suo archetto e assunse una posizione di combattimento. lo feci scorrere le dita lungo la grana lignea del bastone, rispedendo la mia mente nella sua precedente zona mentale. Fu più facile, la seconda volta. Ari era un avversario più forte di Janco. Ciò che gli mancava in rapidità, lo pareggiava in forza. Dovetti modificare la mia difesa schivando i suoi colpi, o mi avrebbe mandato a gambe all'aria. Avvalendomi della mia taglia minuta per passare sotto uno dei suoi fendenti, portai il bastone dietro le sue caviglie e sferrai un colpo. Lui cadde come un sacco di granaglie. Avevo vinto ancora. «Incredibile» commentò Janco. «È il mio turno» mi sfidò Maren. Di nuovo, mi sintonizzai con quella zona mentale. Gli attacchi di Maren erano scattanti come quelli di una pantera. Preferiva le stoccate di finta anziché di faccia, il che di solito attirava la mia guardia in alto e verso l'esterno invece di proteggermi il torace, lasciandolo esposto a un colpo in pieno corpo. Stavolta, io fui un passo avanti a lei, ignorando la finta e parando il colpo.

Avversaria astuta, Maren metteva in gioco le tattiche anziché rapidità o forza. Mi caricò, e quando avanzai per impegnarla intuii che meditava di spostarsi sul mio fianco. Invece di muovere verso l'alto, roteai e le feci lo sgambetto con il mio bastone. Piombando sulla sua figura prona, le premetti il bastone contro il collo fino a quando non si arrese. «Dannazione!» esclamò. «Quando un'allieva comincia a battere la sua maestra, significa che non ha più bisogno di lei. Me ne vado.» Maren uscì a passo deciso dalla stanza. Ari, Janco e io ci guardammo l'un l'altro. «Ci sta prendendo in giro, vero?» domandai. «Hai dato uno schiaffo al suo orgoglio. Si riprenderà presto, vedrai» mi rispose Ari. «A meno che tu non cominci a sconfiggerla ogni volta che vi battete...» «Improbabile» risposi io. «Molto» sbuffò Janco, che probabilmente stava curando il proprio orgoglio ferito. «Basta con gli scontri» propose Ari. «Yelena, perché non fai qualche kata per raffreddarti? Poi finiremo, per oggi.» Un kata era una sequenza fissa di diversi affondi e parate, difensivi e offensivi. Ogni kata aveva un nome, e si facevano più complessi a ogni livello di abilità. Cominciai con un semplice kata difensivo con il bastone. Muovendomi osservavo Ari e Janco sempre più immersi nella conversazione. Sorrisi, pensando che bisticciavano come una vecchia coppia di coniugi, e poi mi concentrai sui miei kata. Mi esercitai a trovare la mia zona mentale di combattimento, sgusciandovi dentro e fuori mentre eseguivo le relative sequenze di kata. Quando terminai, notai Irys che mi osservava dalla soglia con grande interesse. Indossava la sua uniforme da falconiere e aveva i capelli raccolti, in osservanza dei regolamenti militari di Ixia. Probabilmente aveva girato tutto il castello indisturbata. Lanciai un'occhiata alle mie guardie del corpo. Erano accalorate

nella loro discussione, e ignoravano Irys e me. Un senso di disagio mi rimescolò lo stomaco. Mi avvicinai palmo a palmo ai miei compagni mentre lei entrava nella stanza. «Valek non percepisce la tua magia?» le chiesi, facendo cenni ad Ari e Janco. «Si trova dall'altra parte del castello» rispose lei avvicinandosi. «Ma ho percepito qualcuno che attingeva potere prima che arrivassimo. Due brevi impulsi. Dunque c'è o c'era un altro mago nel castello.» «Non dovresti saperlo?» domandai allarmata. «Sfortunatamente no.» «Ma sai chi è... giusto?» Lei scosse il capo. «Ci sono vari maghi che sono scomparsi. O sono morti o si sono nascosti. E alcuni stanno per conto proprio e non sappiamo mai nulla di loro. Potrebbe trattarsi di chiunque. Posso identificare un mago soltanto se ho stabilito un legame con lui, o lei, come mi sono collegata con te.» Irys esaminò le armi allineate contro la parete. «Che cosa c'è che non va nel Comandante?» chiese. «I pensieri gli colano praticamente dalla testa. È così aperto, potrei entrare nella sua mente ed estrarne qualsiasi informazione volessi, se questo non fosse contro il nostro codice morale, la nostra etica.» Non potei risponderle. «Che cosa stai facendo qui?» domandai invece. Irys sorrise. Accennò al bastone tra le mie mani. «Che cosa stai facendo con quell'arma?» Non vedendo alcuna ragione per mentire, spiegai del mio addestramento. «Come sei andata oggi?» s'informò lei. «Ho battuto tutti e tre gli avversari per la prima volta.» «Interessante.» Irys parve compiaciuta. lo lanciai un'occhiata in tralice ad Ari e Janco, che erano ancora tutti presi nel loro conversare. «Perché sei qui?» chiesi di nuovo. «Mi

hai promesso un anno.» Poi ebbi un improvviso, orribile pensiero. «Sono più vicina alla deflagrazione?» «C'è ancora tempo. Ti sei stabilizzata, per ora, ma quanto sei più vicina a venire a Sitia?» «L'antidoto è fuori della mia portata. A meno che tu non riesca a rubare le relative informazioni dalla mente di Valek.» Lei si accigliò. «Impossibile. Ma i miei guaritori dicono che se riesci a sgraffignare abbastanza antidoto per durare un mese, c'è una possibilità che noi si riesca a estrarre il veleno dal tuo corpo. Vieni con noi quando partiamo. Ho un consigliere giusto della tua taglia. Lei indosserà la tua uniforme e attirerà lontano Valek e i suoi uomini mentre tu prendi il suo posto. Con una maschera indosso, nessuno se ne accorgerebbe.» Irys parlava con sicurezza. O non era preoccupata, oppure non era consapevole dei rischi. La speranza mi fiorì nel petto. Il cuore mi galoppava. Dovetti calmarmi con il freddo ammonimento che Irys aveva detto soltanto che c'era una possibilità di estrarre il veleno. In altre parole, nessuna garanzia. Il piano di fuga appariva semplice, tuttavia lo esaminai in cerca di falle. Non ero così sciocca da fidarmi del tutto di lei. Infine, decisi. «Il Consigliere Mogkan era qui la settimana scorsa. È una delle tue spie?» «Mogkan, Mogkan.» Irys si rigirò il nome sulla lingua. «Alto, occhi grigi, con i capelli neri lunghi raccolti in una treccia.» Formai un'immagine di lui nella mia mente. «Valek ha detto che ha potere.» «Kangom! Che scarsa originalità! È scomparso di vista dieci anni fa. Ci fu un grosso scandalo su un suo presunto coinvolgimento in un giro di rapimenti di bambini. Oh.» Irys prese un secco respiro ed esaminò il mio viso. Poi, con una secca scrollata di capo, domandò con vivo interesse: «Dunque dov'è rimasto nascosto?». «DM-5. È ricercato?» «Solo se diventa un pericolo per Sitia. Ma questo spiega perché abbiamo individuato occasionali fiammate di magia da quella direzione.» Inclinò il capo come se si sforzasse di udire una qualche

debole musica. «C'è un lieve fluire di magia nel castello. Potrebbe provenire da Kangom... Mogkan, anche se è altamente improbabile. Lui non possiede quel genere di energia. Probabilmente è solo una minuscola increspatura nella fonte del potere, come un nodo in un filo che pende. Capita, di tanto in tanto. Ma ho percepito qualcuno che attingeva potere di recente.» Fece una pausa, fissandomi con il suo diretto sguardo smeraldino. «Verrai con me?» La magia di Mogkan a lei poteva non interessare, però interessava a me. Sembrava esserci un legame tra la magia di Mogkan e l'insolito comportamento del Comandante, anche se non riuscivo proprio a coglierne il motivo. Indecisa, mi rigirai la questione nella mente, proprio come se mi spostassi del cibo in bocca, assaggiando in cerca di pericolo. Scappare era sempre stata una mossa automatica di difesa, e andare a sud mi offriva la migliore opportunità di sopravvivenza. Mesi prima, avrei colto l'offerta al volo; ora mi sentivo come se stessi abbandonando la nave troppo presto: sentivo che c'era un rimedio ancora da scoprire. «No» risposi. «Non ancora.» «Sei pazza?» «Probabilmente, ma ho bisogno di finire una cosa, prima; poi manterrò la promessa e verrò a Sitia.» «Se sarai ancora viva.» «Magari tu potresti aiutarmi. C'è un modo in cui io possa schermare la mia mente dall'influsso magico?» Irys inclinò il capo. «Ti preoccupi di Kangom?» «Moltissimo.» «Ci credo. Ma sei abbastanza forte per cavartela.» Mi porse il bastone. «Fa' uno dei tuoi kata, a occhi chiusi, e svuota la mente.» Cominciai un kata per bloccare un bastone. «Immagina un mattone. Posa il mattone per terra, e poi fanne una fila. Usando della malta immaginaria, innalza un'altra fila. Continua a costruire finché non hai un muro alto quanto la tua testa.»

Feci secondo le istruzioni, e udii una nota distinta ogni volta che un mattone veniva posato. Un muro si formò nella mia mente. «Fermati» ordinò lei. «Apri gli occhi.» Il mio muro scomparve. «Adesso bloccami!» Una musica forte mi vibrò nella testa, sopraffacendomi. «Immagina il tuo muro» urlò Irys. La mia difesa di mattoni mi lampeggiò completa nella mente. La musica cessò a metà di una nota. «Molto bene. Ti suggerisco di portare a termine le tue faccende il prima possibile e di fuggire a sud. Con questo genere di forza, se non raggiungi il completo controllo della tua magia, qualcun altro potrebbe impadronirsene e usarla, trasformandoti in una schiava priva di intelletto.» Il dispetto le distorceva il viso mentre girava sui tacchi e lasciava la sala di addestramento. Nell'istante in cui la porta si chiuse ticchettando, Ari e Janco terminarono la loro conversazione e batterono le palpebre come se si fossero appena svegliati da un profondo sonno. «Già fatto? Quanti kata?» chiese Ari. lo risi e misi via il bastone. «Andiamo, sono affamata.» Quando tre giorni dopo la delegazione sitiana partì, io ebbi un improvviso attacco di panico. Che accidenti stavo facendo? La mia unica, perfetta opportunità di fuga era sgusciata via verso il sud, mentre io restavo indietro, preparandomi a partire per il maniero di Brazell. Irys aveva ragione: ero pazza. Mi si bloccava il respiro ogni volta che pensavo al viaggio. Il seguito del Comandante sarebbe partito in mattinata. Corsi in giro per il castello, preparando i miei speciali bagagli per il tragitto. Il viso addolorato di Dilana mi accolse quando mi fermai al suo laboratorio per avere dei vestiti da viaggio. La pratica di Rand era stata completata, disse. Lui sarebbe venuto con noi. «Ho chiesto il trasferimento anche io, ma dubito che sarà

approvato» mi confidò Dilana frugando nelle sue pile di abiti. «Se quello zotico mi avesse sposata, non ci troveremmo in questa situazione.» «C'è ancora tempo per presentare la domanda. Se viene approvata, puoi venire a DM-5 per il matrimonio.» «Lui non vuole far sapere a nessuno quanto tiene a me. Si preoccupa che la mia incolumità possa venire usata come merce di scambio contro di lui.» Scosse il capo, rifiutando di lasciarsi tirar su il morale perfino quando le dissi che il nuovo trattato commerciale con Sitia avrebbe permesso di importare la seta. Il trattato con il sud era un semplice scambio di beni. Venivano elencati articoli specifici, che solo mercanti con le opportune licenze avrebbero potuto comprare e vendere a un prezzo fissato. Tutte le carovane sarebbero state soggette a ispezione al passaggio del confine con Ixia nelle località concordate. La tazza di caffè di Rand era lontana solo pochi mesi, ma io dubitavo che me ne avrebbe fatto un po', dal momento che non gli avevo più parlato dalla nostra lite in cucina. Non potevo procurargli altre fave, e non potevo spiegargli perché. Il mattino della nostra partenza era grigio e coperto; minacciava neve. Stava iniziando la stagione fredda, il che solitamente segnava la fine dei viaggi, non l'inizio. Con ogni probabilità le nevi avrebbero trattenuto il seguito del Comandante da Brazell fino al disgelo. Rabbrividii al pensiero. Valek mi fermò prima che lasciassi il nostro alloggio. «Questa è una trasferta molto rischiosa per te. Mantieni un basso profilo e tieni gli occhi aperti. Metti in dubbio i pensieri nella tua mente: potrebbero non essere tuoi.» Mi consegnò una fiaschetta d'argento. «Il Comandante ha la tua dose quotidiana di antidoto, ma se si dimenticasse di dartela, ecco qui una fornitura di emergenza. Non dire a nessuno che ce l'hai, e tienila nascosta.» Per la prima volta, Valek si fidava di me. La fiaschetta di metallo era calda nelle mie mani. «Grazie.» Una piuma di paura mi stuzzicò lo stomaco mentre infilavo la fiaschetta nello zaino. Un altro pericolo che non avevo riconosciuto.

Che cos'altro mi era sfuggito? «Aspetta, Yelena, c'è una cosa ancora.» I modi e il tono di Valek erano stranamente rigidi e formali. «Voglio che tu abbia questa.» Tese la mano. Sul suo palmo stava la bellissima farfalla che aveva scolpito. Puntolini d'argento sulle ali scintillavano alla luce del sole, e una catenella d'argento pendeva da un buchetta trapanato nel corpo. Valek mi mise al collo il pendente. «Quando ho scolpito questa statuetta, stavo pensando a te. Delicata in apparenza, ma con una forza invisibile a prima vista.» I suoi occhi incontrarono i miei. Mi si serrò il petto. Valek agiva come se non dovesse mai più rivedermi. Il suo timore per la mia incolumità sembrava genuino, ma era preoccupato per me o per il suo prezioso assaggiatore ufficiale?

Capitolo 28 La scorta da viaggio del Comandante Ambrose consisteva in una cinquantina di soldati della sua guardia d'élite. Alcuni aprivano la strada, altri camminavano a fianco del Comandante e dei suoi consiglieri in sella alle loro cavalcature. Le guardie circondavano anche il piccolo gruppo dei servitori, che precedeva i cavalli, e i restanti soldati chiudevano il corteo. Ari e Janco esploravano il tragitto previsto ed erano ore avanti al corteo. Procedevamo a passo spedito nella frizzante aria mattutina. I vividi colori della stagione torrida erano da tempo svaniti dalla foresta, lasciando dietro di sé una sterile semplicità dalle tinte grigie, lo mi ero infilata sotto la camicia la farfalla di Valek, e mi scoprii a toccare la piccola protuberanza che mi creava sul petto, mentre viaggiavamo. Quel dono aveva mandato le mie emozioni in subbuglio. Proprio quando pensavo di averlo inquadrato, lui mi sorprendeva. Insieme al bagaglio, reggevo anche un bastone da viaggio che era un archetto appena dissimulato. Alcune delle guardie lanciavano occhiate sospettose nella mia direzione, ma io le ignorai. Rand rifiutava di incontrare il mio sguardo. Fissava dritto davanti a sé in un silenzio di pietra. Non ci volle molto prima che restasse indietro: la sua gamba gli impediva di tenere il passo. Dopo una sosta per il pranzo, continuammo fino a un'ora prima del tramonto. Il Maggiore Granten, capo ufficiale della spedizione, voleva porre l'accampamento alla luce del giorno. Spaziose tende furono innalzate per il Comandante e i suoi consiglieri, e tende più piccole, da due persone, vennero erette per i domestici. Scoprii che avrei diviso lo spazio con una donna di nome Bria, che faceva commissioni e serviva i consiglieri del Comandante. Mi sistemai nella tenda mentre Bria si scaldava vicino al fuoco. Accesa una piccola lanterna, tirai fuori il libro sui simboli di guerra che avevo preso a prestito da Valek. Dopo che avevamo decifrato il nome del nuovo successore, non avevo avuto un momento libero per interpretare il messaggio di Janco sul mio coltello a serramanico.

C'erano sei marchi d'argento incisi sull'impugnatura di legno. Cominciai da quello in cima e proseguii fino in fondo. Il mio sorriso si allargava a ogni traduzione. Janco poteva essere esasperante, ma sotto sotto sapeva essere molto dolce. Quando Bria entrò nella tenda con addosso l'odore del fumo di legna, feci sparire il libro dentro lo zaino. Sogni inquietanti causarono una notte di scarso riposo. Mi svegliai stanca nel grigio polverio dell'alba. Con tutto il tempo che il corteo impiegò a mangiare e a riformarsi, insieme alle ore di luce più brevi, calcolai che il tragitto per il maniero di Brazell avrebbe preso circa cinque giorni. La seconda notte di viaggio, trovai nella mia tenda un biglietto. La richiesta di un incontro. La sera seguente, mentre i soldati montavano il campo, avrei dovuto seguire una stretta pista diretta a nord che intersecava la via principale appena dopo il luogo dove ci saremmo accampati. Il messaggio era firmato Janco, con una grafia svolazzante. Esaminai la firma alla luce morente, cercando di ricordare se avessi mai visto Janco scrivere. Messaggio genuino oppure trappola? Dovevo andare o dovevo restare al campo dove sarei stata al sicuro? Dibattei la questione nella mia mente per tutta la notte e per tutto il terzo giorno di strada. Che cosa avrebbe fatto Valek in quella particolare situazione? La risposta mi aiutò a delineare un piano. Quando risuonò il segnale di fermarsi per la notte, attesi finché tutti non furono occupati prima di lasciare la radura. Una volta fuori vista, mi sfilai il mantello e lo rivoltai a rovescio. Prima di partire dal castello mi ero procurata da Dilana della tela grigia, che poi avevo cucito alla fodera interna del mantello giusto nel caso avessi avuto necessità di nascondermi nel paesaggio invernale. Sperai che l'improvvisato camuffamento cenerino bastasse a celare la mia presenza quando mi fossi avvicinata al luogo dell'incontro. Mi appesi il bastone alla schiena, infilai il serramanico nel fodero lungo la coscia destra, poi estrassi la fune e il grappino dallo zaino. Trovai la pista per il nord. Anziché camminare lungo l'angusto sentiero, tuttavia, cercai un albero adatto e lanciai il mio arpione in alto tra i rami. La mia prima preoccupazione era il potenziale

rumore del mio passaggio tra le cime degli alberi, ma presto scoprii che gli alberi senza foglie si limitavano a cigolare sotto il mio peso mentre seguivo la pista. Avvicinandomi al luogo d'incontro, scorsi un uomo alto dai capelli scuri che attendeva nella posizione indicata. Sembrava inquieto e agitato. Troppo magro per essere Janco, pensai. Poi l'uomo si voltò nella mia direzione. Rand. Che cosa stava facendo lì? Feci il giro della radura. Non scoprendo alcuna minaccia in agguato tra i cespugli, mi calai sul sentiero, lasciando la corda appesa al ramo, e infilai lo zaino dietro il tronco dell'albero. «Dannazione» imprecò Rand. «Pensavo che non avessi intenzione di farti vedere.» Il suo viso sfatto aveva borse scure sotto gli occhi. «E io pensavo che qui dovesse esserci Janco.» «Volevo spiegare, ma non c'è tempo, Yelena.» Gli occhi spiritati di Rand trapassarono i miei. «È una trappola! Scappa!» «Quanti? Dove?» domandai, tirandomi via il bastone dalla schiena. Scrutai i boschi. «Star e due scagnozzi. Vicino. Conducendoti qui avrei dovuto estinguere il mio debito.» Le lacrime rigarono il viso di Rand. Mi voltai di scatto verso di lui. «Ebbene, hai fatto un buon lavoro. Vedo che stai portando effettivamente a termine l'incarico.» Gli sputai contro le parole. «No» gridò lui. «Non posso farlo. Scappa, accidenti a te, scappa.» Proprio quando mi mossi per andarmene, gli occhi di Rand si dilatarono per lo spavento. «No!» Mi spintonò da parte. Qualcosa mi passò sibilando accanto all'orecchio mentre cadevo a terra. Rand mi crollò sopra, con una freccia nel petto. Il sangue prese a sgorgare, inzuppandogli la camicia bianca dell'uniforme. «Scappa» bisbigliò. «Scappa.» «No, Rand» dissi, pulendogli la terra dal viso. «Sono stanca di

fuggire.» «Perdonami, ti prego.» Mi afferrò la mano mentre i suoi occhi mi supplicavano tra le lacrime di dolore. «Sei perdonato.» Emise un sospiro, uno solo, poi smise di respirare. Lo scintillio dei suoi occhi castani si fece opaco. Gli tirai il cappuccio sopra la testa. «Alzati» ordinò una voce maschile. Guardai la minacciosa estremità di una balestra carica. Appoggiandomi al bastone, mi alzai. Con il peso in equilibrio sulle punte dei piedi, feci scorrere le mani lungo l'archetto di legno, trovando la mia zona di concentrazione. «L'area è sicura. Capitano» gridò l'uomo verso i boschi. «Non muoverti» disse poi a me, spianandomi l'arma contro il petto. Si avvicinarono dei passi. L'uomo mi tolse gli occhi di dosso per cercare i suoi compagni. Mi mossi. Il mio primo colpo di archetto gli atterrò sugli avambracci. La balestra gli volò via dalle mani, sparando nei boschi. Il secondo colpo calò nell'incavo delle ginocchia, togliendogli il terreno da sotto i piedi. Disteso sulla schiena, mi fissò battendo le palpebre con espressione attonita. Prima che potesse tirare un fiato, abbattei la punta dell'archetto dritta sul suo collo, schiacciandogli la trachea. Una rapida occhiata da sopra la spalla mi rivelò la presenza di Star e di un altro uomo che si avventavano nella radura. Star urlò qualcosa e indicò. Il suo scagnozzo estrasse la spada. lo corsi giù per il sentiero, con i suoi passi pesanti che mi tuonavano dietro. Quando raggiunsi la mia fune, lanciai il bastone in mezzo ai boschi prima di arrampicarmi sull'albero. La lama dell'uomo puntò alle mie gambe. La stoffa si lacerò quando la lama mi affondò nei calzoni. La carezza dell'acciaio freddo sulla mia coscia mi spronò a salire. Quello imprecò mentre io balzavo sull'albero vicino. Muovendomi in fretta, mi slanciai per le cime degli alberi. Quando il rumore del suo rovinoso passaggio attraverso il sottobosco fu abbastanza lontano dietro di me, trovai un buon posto per

nascondermi. Avvolgendomi nel mantello, mi sedetti su un grosso ramo e attesi. Il sicario di Star si precipitava attraverso il bosco. Non lontano dal mio posatoio, si fermò ad ascoltare, scrutando le cime degli alberi. Il mio cuore galoppava. Soffocai nel mantello il respiro pesante. La spada levata, l'uomo venne a darmi la caccia. Quando fu sotto di me, gettai via il mantello e mi lanciai, atterrandogli sulla schiena con i piedi. Cademmo pesantemente, lo rotolai via e mi rialzai prima che lui potesse riprendersi, poi diedi un calcio alla spada sbalzandogliela di mano. Lui fu più rapido di quanto avessi previsto e mi afferrò la caviglia, facendomi ruzzolare. Le cose di cui fui consapevole subito dopo, furono il suo peso che premeva sopra di me e le sue mani attorno al mio collo. Sbattendomi il capo contro il terreno duro, borbottò: «Questo è per avermi dato problemi». Poi affondò le dita nella mia gola. Stordita e soffocata, gli strattonai le braccia prima di rammentarmi del serramanico. Tastai confusamente nelle mie tasche mentre la vista mi si annebbiava, diventando neve. Finalmente, la levigatezza del legno salutò i miei polpastrelli. Afferrai il manico, lo tirai fuori e premetti il pulsante. Lo schiocco della lama fece lampeggiare la paura negli occhi dell'uomo. Per un istante fissò dritto dentro il mio essere. Poi gli affondai il coltello nello stomaco. Con un basso gorgoglio, il sicario aumentò la pressione sul mio collo. Sangue caldo e appiccicoso mi corse giù per le braccia, inzuppandomi la camicia. Tra lo stordimento e il dolore, strattonai via l'arma e ritentai. Questa volta indirizzai la punta della lama verso l'alto, al cuore. L'uomo si incurvò in avanti, inglobando ulteriormente il coltello, e finalmente crollò. Il peso del morto impediva ai miei polmoni affamati d'aria di respirare. Chiamando a raccolta l'ultima briciola di energia, feci rotolare il corpo via da me. Stordita, asciugai nella terra il serramanico, ritrovai il mio bastone e andai in cerca di Star. Due uomini. Avevo appena ucciso due uomini. Ero una macchina per uccidere, non avevo neppure esitato. Paura e rabbia erano

annidate nel profondo del mio petto, formando uno strato di ghiaccio attorno al cuore. Star non era andata lontano. Attendeva nella radura. I suoi capelli rossi spiccavano contro lo scenario grigio scuro della foresta immersa nel crepuscolo. La notte sarebbe presto stata su di noi. La donna emise una breve esclamazione di sorpresa quando emersi dagli alberi. Scrutando nella semioscurità, esaminò il sangue sulla mia camicia. La stoffa bagnata mi aderiva alla pelle. Quando vide che ero indenne, il suo naso aguzzo si girò tutto attorno, in cerca del suo scagnozzo. «È morto» dissi. Il colore le svanì dal viso. «Possiamo metterci d'accordo.» Una nota implorante le penetrò la voce. «No, non possiamo. Se ti lascio andare via, non farai che tornare con più uomini. Se ti porto al Comandante, dovrò rispondere per aver ucciso i tuoi sicari. Non ho scelta.» Avanzai verso di lei, il corpo raggelato dal terrore. Gli altri li avevo uccisi per difendermi nell'ardore della battaglia; questo sarebbe stato difficile... questo sarebbe stato premeditato. «Yelena, ferma!» gridò qualcuno da dietro di me. Mi voltai di scatto. Uno dei soldati del Comandante era lì in piedi con la spada in mano. Mentre si avvicinava, valutai la distanza tra noi. Dovette aver riconosciuto la mia posizione di battaglia perché si fermò e rinfoderò la spada. Sfilandosi il cappuccio di lana dalla testa, lasciò che i suoi riccioli neri balzassero liberi. «Pensavo avessi ordine di restare al castello» dissi a Valek. «Non finirai davanti alla corte marziale?» «E io pensavo che il tempo di uccidere per te fosse finito» rispose esaminando la figura prona del sicario di Star. La trachea schiacciata l'aveva soffocato. «Ti dico io come faremo: se tu non ne parli, non lo farò nemmeno io. In questo modo possiamo evitare entrambi la forca. Affare fatto?» Inclinai la testa verso Star. «Che ne facciamo di lei?» «C'è un mandato d'arresto nei suoi confronti. Hai almeno preso in

considerazione di portarla al Comandante?» «No.» «Perché no?» Valek non cercò di nascondere l'incredulità. «Uccidere non è l'unica soluzione a un problema. Oppure questa è stata la tua formula?» «La mia formula! Mi scusi, signor Assassino, se rido ricordando le mie lezioni di storia su come trattare un monarca tirannico uccidendo lui e la sua famiglia.» Valek mi scoccò un'occhiata minacciosa. Ero al limite. Cambiando tattica, dissi: «Le mie azioni si sono basate su ciò che pensavo avresti fatto tu se attirato in un'imboscata». Lui meditò le mie parole in silenzio per un protrarsi di tempo inquietante. Star pareva terrorizzata dalla nostra discussione. Si guardava attorno come se progettasse la fuga. «Davvero non mi conosci affatto» commentò Valek. «Pensaci, Valek, se la portassi al Comandante e spiegassi i dettagli, che cosa mi accadrebbe?» La triste consapevolezza sul suo viso disse tutto. Sarei stata arrestata per aver ucciso gli uomini di Star, il compito di assaggiatore sarebbe passato al prossimo prigioniero in attesa di esecuzione, e io avrei trascorso i miei pochi, ultimi giorni in un'umida segreta. «Ebbene, allora, è stata una fortuna per entrambe voi che io sia arrivato» osservò Valek. Fischiò uno strano richiamo da uccello proprio mentre Star si dava alla fuga. Si precipitò giù per il sentiero, lo mi mossi per inseguirla, ma Valek mi disse di aspettare. Due forme grigie si materializzarono dalla foresta buia sui due lati della stradicciola. Agguantarono Star. Lei strillò di sorpresa e di rabbia. «Riportatela al castello» ordinò Valek. «Me la vedrò io con lei al mio ritorno. E mandate una squadra di pulizia: non voglio che qualcuno s'imbatta in questo macello.» Le due guardie cominciarono a trascinare via Star.

«Aspetta» disse lei. «Ho delle informazioni. Se mi rilasci, ti dirò chi ha complottato per far fallire il trattato con Sitia.» «Non preoccuparti.» Gli occhi blu di Valek avevano uno sguardo fisso e glaciale. «Me lo dirai comunque.» Stava per sorpassarla, quando si fermò. «Comunque, se vuoi rivelare adesso chi è il tuo cliente, potremo evitare un penoso interrogatorio più tardi.» Star arricciò il naso considerando la sua offerta. Perfino in quella situazione, era ancora la solita sagace donna d'affari. «Mentire non farebbe che peggiorare la tua posizione» l'ammonì Valek. «Kangom» disse lei a denti stretti. «Portava un'uniforme da soldato semplice con i colori di DM-8.» «Il Generale Dinno» commentò Valek senza sorpresa. «Descrivi Kangom» ordinai, sapendo che Kangom era un altro nome del Consigliere Mogkan, ma non potendo dire a Valek come avessi ottenuto quell'informazione. «Alto. Lunghi capelli neri raccolti in una treccia da soldato. Un arrogante bastardo. Per poco non lo buttavo fuori a calci, ma mi ha fatto vedere un mucchio d'oro che non potevo rifiutare» rispose Star. «Qualcos'altro?» chiese Valek. Star scosse la testa. Valek schioccò le dita. Mentre gli uomini in abiti mimetici scortavano la prigioniera verso il castello, io dissi: «Non potrebbe essere Mogkan?». «Mogkan?» Valek mi fissò come se mi fossero spuntate le antenne. «No. Brazell era fin troppo contento per via della delegazione. Perché metterebbe a rischio il trattato? Non ha senso. Dinno invece era furioso con il Comandante. Probabilmente ha mandato uno dei suoi uomini ad assoldare Star.» Cercai di immaginare la ragione per cui Mogkan dovesse minacciare i negoziati per il trattato, quando commerciare con Sitia andava a vantaggio di Brazell. Non riuscendo a dedurre una risposta logica, mi chiesi come avrei potuto convincere Valek che era stato Mogkan ad assoldare Star. Cominciai a rabbrividire. Il sangue mi inzuppava la camicia

dell'uniforme e mi macchiava le mani. Me le ripulii sui pantaloni strappati. Ritornando sui miei passi, trovai il mantello, ma prima che me lo potessi avvolgere attorno alle spalle Valek disse: «Farai meglio a lasciare qui i tuoi vestiti. Ci sarebbe un bello scompiglio se ti presentassi a cena zuppa di sangue». Recuperai lo zaino da sotto l'albero. Valek voltò la schiena mentre mi cambiavo l'uniforme con una pulita. Mi chiesi se avesse altri accoliti nel bosco mentre mi avvolgevo nel mantello. Ci mettemmo in cammino per l'accampamento. «A proposito, bel lavoro» si complimentò Valek mentre oltrepassavamo il secondo cadavere. «Ho assistito allo scontro. Non ero abbastanza vicino per darti una mano, però te la sei cavata da sola. Chi ti ha dato il coltello?» «L'ho comprato con il denaro di Star.» Una stiracchiatura della verità, ma non avevo intenzione di mettere nei guai Janco. Valek emise un'esclamazione beffarda. «Appropriato.» Quando arrivammo, Valek si mescolò a un gruppo di soldati mentre io mi precipitavo alla tenda del Comandante per assaggiargli la cena. L'intero episodio di Star aveva preso soltanto un'ora e mezza, eppure il mio corpo malconcio si sentiva come se fossi andata avanti per giorni. Mentre sedevo presso il fuoco da campo, quella notte, mi tremavano i muscoli per reazione al combattimento. Il dolore per Rand mi sorprese mentre pensieri malinconici mi riempivano la mente. Le fiamme del fuoco puntavano rosse dita accusatrici contro di me. Che cosa pensi di fare?, sembravano chiedermi. Tre uomini sono morti a causa tua. Come farai ad aiutare chicchessia? Pura presunzione, la tua, ammonirono le fiamme. Va' a sud. Lascia Valek a preoccuparsi del Comandante e di che cos'abbia in mente Brazell, stupida ragazzina. Il fuoco pulsava, muovendosi come per scacciarmi. Distolsi lo sguardo, battendo le palpebre nell'oscurità. Era la mia immaginazione oppure qualcuno stava tentando di influenzarmi? Evocare l'immagine mentale del mio muro protettivo di mattoni placò alcuni dei miei dubbi, ma non tutti.

La scomparsa di Rand non venne notata fino al mattino seguente. Pensando che fosse fuggito, il Maggiore Granten fece uscire una piccola squadra di ricerca, mentre gli altri continuavano ad addentrarsi nel distretto di Brazell. Il resto del viaggio fu privo di eventi memorabili a eccezione del fatto inquietante che più ci avvicinavamo al maniero di Brazell, e più inespressivo si faceva lo sguardo sul viso del Comandante. Aveva cessato di dare ordini o di interessarsi agli eventi che lo circondavano. L'intelligente, penetrante scintillio che aveva reso letale il suo sguardo impallidiva ad ogni passo, lasciando al suo posto un'espressione vacua, ottusa. All'opposto del Comandante, io cominciavo a sentire piuttosto caldo. Le mie mani lasciavano impronte viscide sull'archetto via via che ci avvicinavamo alla dimora di Brazell. Scrutavo i boschi aspettandomi un'imboscata, mentre il timore mi aleggiava dietro come un paio di mani in attesa di avvinghiarsi attorno al mio collo. Il terreno era morbido e sembrava risucchiare i miei stivali, così ogni passo richiedeva uno sforzo supplementare. Grosso errore, grosso errore, venire da Brazell, pensavo mentre la mia mente turbinava sull'orlo del panico. Per calmarmi immaginavo il mio muro di mattoni, e focalizzavo i miei pensieri sulla sopravvivenza. A un'ora dalla casa di Brazell, il ricco aroma del Creolo aleggiava pesante nell'aria. Per precauzione, scivolai nella foresta che delimitava la pista principale e infilai lo zaino nel cavo di un albero, nascondendo l'archetto lì vicino. Prendendo dal borsone soltanto i punteruoli, mi raccolsi i capelli ¡n una crocchia, usando i minuscoli arnesi metallici per tenerli a posto. Quando giungemmo agli edifici esterni del maniero di Brazell rallentammo l'andatura. Un sospiro di sollievo collettivo si diffuse tra i soldati. Avevano consegnato il Comandante sano e salvo. Adesso potevano riposare nelle baracche finché non fosse stato tempo di tornare a casa. lo sperimentavo l'opposto della tranquillità di spirito dei soldati, malgrado la mia protezione mentale. Trovavo difficile respirare mentre seguivo il Comandante e i suoi consiglieri nell'ufficio di Brazell. Udivo il liquido sbattere dentro il mio cuore, e mi girava la

testa. Quando entrammo, Brazell si alzò da dietro la scrivania, con un ampio sorriso che gli adornava la faccia quadrata. Mogkan aleggiava dietro la spalla destra del generale. Con il mio scudo mentale in posizione, rimasi vicino alla porta, sperando di non farmi notare. Mentre Brazell recitava un formale benvenuto, io esaminai il suo ufficio. Con una profusione di decorazioni, la stanza dava una sensazione di pesantezza, come se qualcosa ci covasse. Nero legno di noce incorniciava scene di caccia, e velluto cremisi e porpora era drappeggiato alle finestre. La smisurata scrivania d'ebano di Brazell sembrava una barriera tra la sua poltrona di pelle a schienale alto e i due scranni imbottiti e ricoperti di velluto che vi stavano davanti. «Signori, dovete essere stanchi del viaggio» disse il generale ai consiglieri del Comandante mentre una donna alta entrava nell'ufficio. «La mia governante vi guiderà alle vostre stanze.» La donna fece cenno che la seguissero. Mentre i consiglieri uscivano dalla stanza, io cercai di sgusciare fuori con loro, ma Mogkan mi afferrò per un braccio. «Non ancora» disse. «Abbiamo progetti speciali per te.» Allarmata, lanciai un'occhiata al Comandante, seduto in una delle poltrone. L'abbondante stoffa porpora delle imbottiture faceva risaltare il viso pallido e la corporatura esile. Nessuna espressione sfiorava le sue fattezze; fissava un punto in lontananza, come un burattino in attesa che il padrone tirasse i fili. «E adesso?» Brazell chiese a Mogkan. «Portiamo avanti la commedia per qualche giorno. Conducilo a vedere la fabbrica come preventivato.» Mogkan accennò al Comandante. «Tieni allegri i suoi consiglieri. Una volta che saranno tutti conquistati, allora non avremo bisogno di fingere.» «E lei?» La soddisfazione incurvava gli angoli della bocca di Brazell. Mantenni ferma nella mia mente l'immagine del muro di mattoni. «Yelena» disse Mogkan, «hai imparato un nuovo trucchetto. Mattoni rossi, che volgarità. Ma...»

Udii un lieve rumore raspante, come di pietra che gratti su pietra. «... ci sono dei punti deboli. Qui e qui.» Mogkan puntò un dito nell'aria. «E credo proprio che questo mattone si stia staccando.» La malta si sbriciolò. Piccoli buchi apparvero nel mio muro mentale. «Quando ho un momento, ridurrò le tue difese in polvere» promise Mogkan. «Perché sprecare il tuo tempo?» domandò Brazell, estraendo la spada. «Morta. Adesso.» Avanzò con intenzioni assassine che gli fiammeggiavano dagli occhi, lo arretrai di un passo. «Fermo» ordinò Mogkan. «Abbiamo bisogno di lei per tenere in riga Valek.» «Ma abbiamo il Comandante» piagnucolò Brazell come un bambino. «Troppo ovvio. Ci sono altri sette Generali da considerare. Se uccidiamo il Comandante mentre è qui, sospetteranno. Non diventeresti mai il suo successore. Valek questo lo sa, dunque nessuna minaccia al Comandante funzionerà.» Mogkan rivolse su di me i suoi occhi calcolatori. «Ma a chi importa di un assaggiatore? A nessuno, tranne che a Valek. E se lei muore qui, i Generali concorderanno che era giustificato.» Mogkan si chinò sul Comandante, bisbigliandogli all'orecchio. Ambrose aprì la sua cartella, ne trasse una fiaschetta e la consegnò a Mogkan. Il mio antidoto. «A partire da adesso, verrai da me per la tua medicina» mi comunicò Mogkan, sorridendo. Prima che potessi reagire, qualcuno bussò alla porta. Due soldati entrarono nell'ufficio senza attendere il permesso. «Gli uomini della tua scorta sono qui, Yelena. Si prenderanno buona cura di te.» Mogkan si rivolse alle guardie. «Non le serve un giro turistico. La nostra famigerata Yelena è tornata a casa.»

Capitolo 29 Scrutai le due muscolose guardie. Dai loro cinturoni pendevano spade, pugnali e manette. Erano ben armati, ed esibivano cupe espressioni di riconoscimento. Ero in minoranza. Toccai la familiare protuberanza del serramanico legato alla mia coscia, ma decisi di attendere fino a quando le probabilità non fossero state più a mio favore. Le guardie mi fecero cenno di accompagnarle. Scoccai un ultimo sguardo implorante al Comandante, ma fino a quel momento nulla era stato in grado di risvegliarlo dal suo dimentico torpore. Sentii un piccolo rigurgito di speranza quando le guardie mi condussero in una minuscola, asettica stanza nell'ala degli ospiti anziché nelle celle sotterranee in cui Brazell teneva i prigionieri. Avendo trascorso una settimana in quelle malsane segrete infestate dai ratti dopo aver ucciso Reyad, detestavo anche solo il pensiero di ritornarvi. Dopo che la porta fu chiusa a chiave dietro di me, trovai conforto sfilandomi i punteruoli dai capelli. La serratura era di un comune tipo a perni e tamburo che sarebbe stato facile aprire. Prima di farla scattare, inserii sotto l'uscio un minuscolo punteruolo con uno specchio all'estremità con il quale individuai un paio di stivali piazzati a entrambi i lati: quelle guardie ultrazelanti sorvegliavano la mia camera. Andai alla finestra. L'ala degli ospiti si trovava al secondo piano e potevo vedere il cortile principale. Avrei potuto saltare a pianterreno se fossi stata disperata, ma per il momento avrei aspettato. Il giorno seguente, mi fu concesso di uscire solo per assaggiare i pasti del Comandante. Dopo colazione, Mogkan mi agitò davanti al viso una fialetta di antidoto. «Se vuoi questa, devi rispondere a una domanda» annunciò. Tenni i nervi saldi e con voce calma risposi: «Stai bluffando. Se mi volessi morta, a quest'ora non sarei qui». «Ti assicuro, è soltanto una situazione temporanea.» L'ira ardeva

nei suoi occhi. «Ti sto offrendo una scelta: la morte data dalla Polvere di Farfalla è una lunga, brutta e penosa esperienza mentre, diciamo, tagliarti la gola sarebbe rapido... un istante di dolore.» «Qual è la domanda?» «Dov'è Valek?» «Non lo so» risposi con sincerità. Non l'avevo più visto dopo lo scontro nei boschi. Mogkan soppesò la mia risposta. Approfittando della sua momentanea distrazione, gli strappai la fiala dalla mano e la vuotai d'un fiato. La faccia di Mogkan si arrossò di furia. Mi afferrò le spalle, poi mi spinse verso le guardie. «Riportatela nella sua stanza» ordinò. Una volta là, mi chiesi che cosa stesse combinando Valek. Dubitavo che se ne stesse seduto in ozio, e le domande di Mogkan confermavano i miei sospetti. Inquieta, passeggiai per la stanzetta, bramando con nostalgia una seduta di allenamento con Ari e Janco. Durante le mie brevi visite al Comandante nei giorni immediatamente seguenti, cominciai a rendermi conto che la mia presenza era parte della commedia di Mogkan. Per impedire che i consiglieri del Comandante si insospettissero. Brazell fingeva che Ambrose stesse ancora diramando ordini agli uomini del suo seguito. A un certo punto, Brazell si chinò vicino al Comandante come se stessero avendo una conversazione privata, poi proclamò che su richiesta del Comandante Ambrose sarebbe stata messa in calendario per il giorno dopo una visita alla fabbrica. Mi fu permesso di unirmi al gruppo che andò all'impianto, il che mi sorprese quasi quanto il fatto che nessuno dei consiglieri del Comandante avanzasse una protesta o un commento quando risultò chiaro che Brazell produceva Creolo invece del mangime per bestiame che aveva citato sulla richiesta di licenza. Ruminavano barrette di Creolo, accontentandosi di annuire e concordare con Brazell che la fabbrica era una meravigliosa invenzione. Mentre camminavamo per l'edificio, un calore soffocante pulsava dalle gigantesche tostatrici che venivano costantemente alimentate con le fave siriane. Operai sporchi di sudore e di polvere nera gettavano palate di carbone negli enormi fuochi sotto i forni. Una

volta tostate, le fave venivano convogliate a una vasta area dove altri operai ne spezzavano il guscio con dei mazzuoli, estraendone un chicco marrone scuro. Rulli d'acciaio riducevano i chicchi in pasta, che poi veniva colata in un contenitore metallico largo cinque piedi in cui venivano aggiunti zucchero, latte e burro. Usando dei forconi, gli operai mescolavano questi ingredienti fino a quando la mistura non diventava un liquido denso e omogeneo, che veniva quindi versato in stampi di forma quadrata o rettangolare. Vero mercato di odori e sapori deliziosi, quel posto era comunque un ambiente privo di gioia. Gli austeri addetti, con le uniformi macchiate di Creolo e di sudore, grugnivano e arrancavano per la fatica fisica. Durante la visita esaminai le varie aree di lavoro in cerca di ingredienti velenosi o in grado di generare dipendenza che potessero venir inseriti nel miscuglio, ma non trovai nulla. Quando il gruppo tornò al maniero di Brazell, osservai le espressioni animate sulle facce dei consiglieri svanire a poco a poco, sostituite dallo stesso sguardo inespressivo che aveva preso possesso del viso del Comandante. Il che significava che doveva esserci un collegamento tra la regolare assunzione di Creolo e la magia di Mogkan. La commedia di Mogkan sarebbe terminata non appena lui avesse acquisito il controllo delle menti dei consiglieri, e quando questo fosse accaduto, i miei alloggiamenti sarebbero mutati in peggio. Quella notte, con il favore delle tenebre, lasciai cadere il mantello fuori dalla finestra e picchiai sulla porta, chiamando le guardie. Quando la porta si aprì, dichiarai: «Ho bisogno del bagno». Senza attendere risposta, mi incamminai con decisione lungo il corridoio. Le guardie mi seguirono. Ai bagni, una guardia mi fermò nel corridoio mentre il suo compagno ispezionava l'interno. Solo quando fu sicuro che sarei stata sola annuì e fece un passo indietro. Mentre entravo dissi con voce autoritaria: «Non mi serve un pubblico. Aspettate qui, non ci metterò molto». Con mia delizia quelli restarono fuori, lo mi precipitai verso la parete più lontana dove, nascosto alla vista, c'era un altro ingresso.

Le guardie potevano anche lavorare nel maniero, ma io lì ci ero cresciuta, e con la curiosità e il tempo libero di una bambina, ero riuscita a esplorare praticamente ogni angolo della casa. Soltanto gli alloggi privati di Brazell, il suo ufficio e l'ala riservata a Reyad erano stati inaccessibili, e disgraziatamente, una volta compiuti i sedici anni, l'ala di Reyad era diventata il mio incubo quotidiano. Scacciando quel pensiero molesto, mi concentrai sul presente. Spinsi la maniglia della porta e incontrai la mia prima sgradita sorpresa. Era chiusa a chiave. Nessun problema, pensai, prendendo i miei arnesi da scasso. Il meccanismo scattò con facilità, la porta si spalancò, e io feci una seconda brutta scoperta. Una delle guardie attendeva nel corridoio. Fece un sorrisetto. lo caricai, e usando la mia velocità acquisita, gli feci perdere l'equilibrio e lo colpii all'inguine. Una mossa sporca alla Valek, ma non m'importava mentre sfrecciavo per il corridoio, lasciando indietro di molto la guardia. Sgusciando fuori dall'ingresso sud, recuperai il mantello, poi mi diressi a ovest per trovare lo zaino e l'archetto. Un vivido chiaro di luna illuminava il cammino, e potevo vedere dove stavo andando; tuttavia, il mio vero obiettivo era meno evidente. Sapevo di non poter aiutare il Comandante da una stanza chiusa a chiave, ma non ero sicura di quello che avrei potuto fare dall'esterno. Dovevo assolutamente parlare con Valek. Decidendo che sarebbe stato troppo rischioso andare alle baracche, presi la via delle cime degli alberi. Solo Valek conosceva quel trucco. Una volta che avesse saputo della mia fuga, mi avrebbe rintracciato. Quando raggiunsi l'area aperta riservata all'annuale Festa del Fuoco del DM-5, mi fermai per la notte. Rabbrividendo sotto il mantello, mi accoccolai contro il tronco di un albero, emettendo nuvolette di vapore dalla bocca. Una volta udii abbaiare dei cani e delle grida lontane, ma nessuno arrivò vicino al mio improvvisato giaciglio sull'albero. Non riuscivo a dormire, troppo infreddolita e nervosa, così immaginai i vivaci teloni della festa nella radura, sperando di riscaldarmi con il ricordo dell'ardente energia delle notti della festa.

Immaginai le alte sommità ai posti giusti. Danzatori, cantanti e acrobati schierati al centro della radura. Bancarelle di cibarie si ammassavano dentro e attorno ai grandi tendoni, profumando l'aria con leccornie da far venire l'acquolina in bocca. Andavo alla festa ogni stagione torrida, quando abitavo sotto il tetto di Brazell. Era stato il punto più alto della mia esistenza, anche se i miei ricordi di quegli ultimi due anni, quand'ero stata il ratto da laboratorio di Reyad, erano tremendi. Incapace di resistere, scesi dall'albero e camminai attraverso la mia festa immaginaria. Mi fermai dove c'era stata la tenda degli acrobati, chiedendomi se avrei saputo ancora eseguire la sequenza di volteggi che mi aveva fatto meritare il primo posto e la medaglia a forma di fiamma. Senza pensare, gettai via il mantello e cominciai un riscaldamento. Mi rendevo vagamente conto che avrei dovuto nascondermi, che era stupido stare cosi esposta, rischiando di essere scoperta, ma il desiderio di rivivere il mio unico momento di vera gioia era troppo forte per negarlo. Presto ogni pensiero su Brazell, Reyad e Mogkan fu bandito mentre roteavo e mi libravo nell'aria. La mia mente si collocò nella zona mentale di pura concentrazione che usavo quando combattevo. Gustai la liberazione, per quanto breve potesse essere, dai miei giorni di tensione e di minaccia. Mentre eseguivo il mio esercizio, scoprii di poter spingere la mia accentuata coscienza oltre il corpo per abbracciare gli alberi, perfino percepire gli animali nella foresta. Un gufo, appollaiato in alto su un ramo, seguiva i movimenti di un topo campagnolo. Una famiglia di opossum sgusciava senza rumore nel sottobosco. Una donna, accoccolata dietro una pietra, sorvegliava me. Infiltrarmi nella mente di Irys fu facile come infilare un paio di guanti. I suoi pensieri fluirono nella mia mente come seta. Le ricordavo la sua sorella più piccola, Lily, e lei bramava di essere di nuovo a casa con la sua famiglia, anziché in giro a svolgere indagini nella fredda e orrida Ixia. La situazione nel nord si stava facendo rischiosa; sarebbe stata più al sicuro a Sitia, ma per quanto tempo?, si domandava. Quale mago del rango di maestro, non poteva permettere che continuasse l'abuso di potere che aveva sentito

emanare da quell'area. Kangom, che si faceva chiamare Mogkan, stava producendo Teobroma in quantità allarmanti. Aveva anche escogitato un sistema per intensificare il proprio potere. I pensieri di Irys tornarono a me, e sentii uno strattone alla nostra connessione mentale.

Yelena, che cosa stai facendo nella mia mente? Non sono sicura di come ci sono arrivata. Non l'hai ancora capito a quest'ora? Stai focalizzando la tua magia come quando combatti, e istintivamente anticipi le mosse del tuo avversario. Ho percepito il tuo potere al castello, quando stavi combattendo con i tuoi amici. Ora che hai imparato a maneggiare il potere, hai fatto il passo logico successivo, espandendolo oltre lo spazio immediato. Lo stupore spezzò il legame. Mi fermai, ansimando nella fredda aria notturna mentre Irys emergeva dal bosco. «Questo significa che non deflagrerò?» domandai. «Ti sei stabilizzata, ma non diventerai più forte, a meno che tu non riceva l'adeguato addestramento. Non vorrai sprecare il tuo potenziale, spero. Vieni a sud adesso; i tuoi inseguitori sono a miglia di distanza.» «Il Comandante...» «È stregato. E non c'è niente che tu possa fare per lui: la sua mente probabilmente è andata. Mogkan l'ha ingozzato di Teobroma. Ne ho sentito l'odore fin da quando sono arrivata.» «Teobroma? Intendi il Creolo, il dolce marrone che Brazell sta producendo?» «Sembrerebbe. Apre la mente all'influsso della magia, e rilassa le difese mentali permettendo un facile accesso alla mente di qualcuno. Noi lo usiamo come strumento di addestramento in situazioni controllate dove un mago principiante è vicino all'obiettivo. Il Comandante ha una forte personalità, molto resistente alla suggestione magica. Il Teobroma infrange quella barriera, il che aiuta quando uno studente sta imparando, ma usarlo sul Comandante per acquisire il controllo della sua mente equivale a uno stupro.» Irys si

avvolse strettamente il mantello attorno alle spalle. «In teoria, perfino con il Teobroma un mago non dovrebbe poter raggiungere la mente del Comandante da questa distanza, tuttavia Mogkan l'ha fatto. Evidentemente ha trovato un modo per incrementare il proprio potere.» Irys si strofinò le braccia con le mani, cercando di riscaldarsi. «Ne deduco che la visita di Mogkan al castello aveva lo scopo di impossessarsi della mente del Comandante, così da poterlo condurre qui.» «Che cosa possiamo fare per liberarlo dalla possessione?» chiesi io. «Uccidere Mogkan. Ma sarà difficile. È molto potente.» «Non c'è un'altra strada?» Ricordai la mia conversazione nei boschi con Valek a proposito dell'omicidio come soluzione. La mia formula, aveva detto lui, e questo mi disturbava ancora. Probabilmente non era mai stato nella situazione in cui si perde comunque, situazione in cui io invece continuavo a trovarmi. «Bloccare la riserva di energia di Mogkan. Quello potrebbe funzionare. Avrà ancora la sua magia, ma almeno non potrà essere ampliata.» «Che forma dovrebbe avere questa sua energia addizionale? Come la troviamo?» «La mia ipotesi è che abbia reclutato un certo numero di maghi per immagazzinare il loro potere, o che abbia ideato una maniera per concentrare la fonte di energia senza curvarla.» Fece una pausa, riflettendo. «Diamanti.» «Diamanti?» Un freddo nodo d'angoscia mi ribollì nello stomaco. C'erano così tante cose che non sapevo sulla magia. «Sì. Sono molto costosi, è vero, però attirerebbero e immagazzinerebbero il potere come un carbone ardente contiene il calore. È possibile che Mogkan stia usando quelle pietre per intensificare la sua magia. Avrebbe bisogno di un cerchio di diamanti ampio quanto un uomo, e una cosa così non si può nascondere con facilità. Se riuscissimo a trovare questo cerchio, potrei essere in grado di usarlo per bloccare il suo potere o, quantomeno, deviarlo abbastanza a lungo da permetterti di ridestare il Comandante.»

«E se la fonte fosse un gruppo di maghi? Come potrei riconoscerli?» «Disgraziatamente, Ixia non ha un'uniforme per i maghi» rispose Irys, la voce tagliente di sarcasmo. «Invece di cercare loro, cerca una stanza vuota con lo schema di una ruota da carro dipinto sul pavimento. Per collegare il potere magico, ogni mago dev'essere perfettamente allineato lungo il perimetro di un cerchio.» «Posso esplorare il maniero, però ho bisogno di aiuto» dissi. «Mi serve Valek.» «Ti serve un miracolo» ribatté Irys con una torsione amara delle labbra. «Puoi indirizzare Valek qui?» «È già per strada. Voi due avete forgiato un forte legame, anche se non so se sia di origine magica.» Irys imbronciò le labbra. «Meglio che me ne vada, prima che Valek arrivi. Se e quando scoprirai la fonte del potere addizionale di Mogkan, intona il mio nome nella tua mente. Sentirò la tua chiamata, perché anche noi due abbiamo creato un vincolo. Il nostro legame mentale diventa più forte ogni volta che comunichiamo. Cercherò di aiutarti con il Comandante. Ma non ti prometto niente: devo stare dietro a Mogkan.» Scomparve nella foresta. Mentre aspettavo Valek, camminai avanti e indietro sulla terra battuta pensando a come trovare la fonte di energia di Mogkan. Le parole di Irys sulla necessità di un miracolo iniziavano ad apparirmi come un dato di fatto. Per distrarmi, mi concentrai sul paesaggio che mi circondava. Il calpestio di molti piedi aveva divelto l'erba e tritato la terra finché era diventata finissima e lustra. Ricordai di aver affondato i piedi in quella medesima polvere indurita l'ultima volta che ero stata lì, quando Reyad mi aveva trascinata al maniero per punirmi di avergli disobbedito e di aver vinto la medaglia. Mi ero premuta quel premio così forte contro la carne che aveva lasciato il segno. Poi l'avevo nascosto, per tenerlo lontano dalle mani crudeli di Reyad. Erano passati due anni da quando avevo sepolto il mio amuleto. Ormai qualcuno l'aveva probabilmente scoperto. Come esercizio,

cercai di usare la mia nuova abilità magica. Dirigendo la coscienza verso il basso, girai la radura. Feci molti giri e stavo cominciando ad annoiarmi, quando improvvisamente sentii bruciare le piante dei piedi. Quando proseguii si raffreddarono. Mi mossi qua e là finché, ancora una volta, il calore non mi trafisse i piedi. Prendendo dallo zaino l'arpione, scavai in quel punto. I miei sforzi portarono alla luce della stoffa. Gettai da parte il grappino e artigliai il terreno con le unghie, rivelando il mio amuleto perduto. Era opaco e coperto di sporcizia, il nastro che lo reggeva lacero e macchiato. Stringendomi al petto l'amuleto a forma di fiamma, ne sentii emanare calore. Lo misi giù per riempire il buco, mormorando una melodia. Poi, dopo aver pulito sui calzoni la medaglia, l'affibbiai alla catenella con la farfalla di Valek. «Non è certo il migliore dei nascondigli, non sei d'accordo? » chiese Valek. Sobbalzai. Da quanto tempo era lì in piedi dietro di me? «Ti stanno cercando. Perché sei fuggita?» domandò. Aggiornai Valek sul Comandante, Mogkan, la fabbrica e i consiglieri, sperando che traesse le mie stesse conclusioni. «Dunque Mogkan sta usando il Creolo per assumere il controllo delle loro menti, ma dove attinge il potere?» domandò Valek. «Non so. Dobbiamo cercare nel maniero.» «Intendi dire che io devo farlo?» «No, noi. lo sono cresciuta qui. Conosco ogni pollice dell'edificio.» Il primo posto in cui volevo guardare era nell'ala del laboratorio di Reyad. «Quando cominciamo?» «Adesso. Abbiamo ancora quattro ore prima dell'alba. Che cosa dobbiamo aspettarci?» Quando spiegai che cercavamo o un cerchio di diamanti o una ruota dipinta, le sottili sopracciglia di Valek si aggrottarono come se volesse interrogarmi su come avessi ottenuto quelle informazioni. Alla fine tuttavia rimase in silenzio e si diresse di nuovo verso le baracche.

lo mi nascosi all'esterno mentre Valek si cambiava indossando la sua tuta nera aderente. Quando tornò, mi portò una camicia scura da indossare sopra quella rosso brillante della mia uniforme, e aveva recuperato anche una lanterna spenta a occhio di bue. Il mio mantello sarebbe stato troppo ingombrante per sgattaiolare per i corridoi, così lo nascosi tra i cespugli. Trovammo una porta di servizio sul retro, vicino agli alloggi dei domestici. Valek accese la lanterna. Chiudendo quasi completamente lo sportellino, permise solo a un sottile raggio di luce di sfuggirne. Dentro il maniero, presi io la guida. L'appartamento di Reyad era nell'ala est a pianterreno, di fronte al laboratorio. L'intera ala era stata riservata a lui, e c'erano una quantità di porte che aveva tenuto chiuse a chiave quando io ero il suo ufficiale topo da laboratorio. Antichi orrori mi perseguitarono mentre investigavamo. Sentivo la pelle tesa e caldissima. Riconobbi il lieve odore acido della paura che si mischiava alla polvere sollevata dai nostri piedi. Era il mio odore. L'avevo indossato come un profumo ogni volta che Reyad mi trascinava ai suoi esperimenti. L'aria pesante mi schiacciava, riempiendomi la bocca con un sapore di ceneri e sangue. Mi ero morsa una mano senza pensarci coscientemente. Era una vecchia abitudine, un modo per soffocare le urla. Esplorando il laboratorio, il sottile raggio della lanterna inquadrava strumenti appesi alle pareti o ammucchiati sui tavoli. Ogni rivelazione suscitava nel mio corpo un freddo pulsare stordente; mi ritrassi di scatto dalle grosse ombre di strumentazione ancora invisibile, non volendo neppure sfiorarla. La stanza assomigliava a una camera di tortura più che a un luogo per esperimenti scientifici. Sentendomi come un animale trafitto dalle fauci metalliche di una trappola, avrei voluto urlare e schizzare fuori dalla stanza. Perché avevo portato lì Valek? I consiglieri di Brazell erano alloggiati al secondo piano. Il marchingegno di diamanti di Mogkan, ammesso che esistesse una cosa del genere, era probabilmente nascosto vicino alla sua camera, non quaggiù.

Valek non aveva detto una parola da quando aveva acceso la lanterna. Quando arrivammo nell'anticamera fuori dalla stanza da letto di Reyad, una forza fisica mi impedì di entrare. Mi tremavano i muscoli. Un sudore gelido mi impregnava l'uniforme. Attesi alla porta mentre Valek esplorava l'interno. Potevo vedere la scura, malevola forma della cesta dei giochi sadici di Reyad appostata in un angolo della stanza. Se avessi bruciato quella cesta fino a ridurla in cenere, mi chiesi, i miei incubi sarebbero cessati? «Non se posso evitarlo» disse lo spettro materializzandosi accanto a me nell'anticamera.

di

Reyad,

lo scattai indietro, andando a cozzare contro la parete. Dalle labbra mi sfuggì un grido strozzato prima che potessi tapparmi la bocca con la mano. «Pensavo che te ne fossi andato una volta per tutte» bisbigliai. «Mai, Yelena. Sarò sempre con te. Il mio sangue ti ha inzuppato l'anima. Non hai possibilità di lavarmi via.» «lo non ho anima» risposi sottovoce. Reyad rise. «La tua anima è nera, intrisa del sangue delle tue vittime, mia cara, ecco perché non riesci a vederla. Quando morirai, quella pesante essenza ricolma di sangue sprofonderà nel fondo della terra dove brucerai per l'eternità per i tuoi crimini.» «Detto dalla voce dell'esperienza» sussurrai con una rabbia che rese la mia voce sibilante. Valek uscì dalla stanza di Reyad. Con la faccia pallida come osso, mi fissò con un'espressione inorridita così a lungo che mi chiesi se avesse di colpo perso il ben dell'intelletto. Infine, chiudendo la porta, oltrepassò lo spettro senza vederlo, poi si fermò davanti alla successiva porta chiusa, indugiando un momento con il capo inclinato per premersi una mano sulla fronte. «C'è qualcuno che merita davvero di essere perseguitato» disse Reyad, puntando contro Valek un dito spettralmente bianco. «È un peccato che lui non si lasci tormentare dai suoi demoni, perché conosco un certo defunto Re che adorerebbe torturarlo.» Il fantasma mi guardò. «Solo i deboli invitano i propri demoni a vivere con loro. Non è così?»

Rifiutai di rispondere a Reyad mentre seguivo Valek. Continuammo la nostra ricerca, ma era evidente che, a parte il laboratorio, l'ala era stata abbandonata. Erano rimaste tre porte. Mentre Valek forzava le due serrature, Reyad continuava a chiacchierare. «Mio padre ti manderà presto a raggiungermi, Yelena. Non vedo l'ora di trascorrere l'eternità insieme a te.» Mi guardò malizioso e agitò le dita nella mia direzione. Ma io non ero più interessata al fantasma. Il contenuto della stanza davanti a me inchiodava la mia attenzione. Dentro, dozzine di donne e alcuni uomini si ritrassero trasalendo dal raggio giallo della lanterna di Valek. Capelli unti oscuravano i loro visi chiazzati di sporcizia. Dai loro corpi emaciati pendevano stracci. Nessuno di loro parlò né gridò. Con orrore crescente, mi resi conto che erano incatenati al pavimento. In circoli. Un cerchio esterno e due anelli interni con linee dipinte tra di essi. Quando Valek e io entrammo nella stanza, lo spiacevole afrore di corpi non lavati e di escrementi aleggiava nell'aria. Con un urto di vomito, mi coprii la bocca. Valek si mosse tra loro, facendo domande. Chi siete? Perché siete qui? Le sue interrogazioni incontrarono solo silenzio. I loro occhi vacui seguivano il suo passaggio. Loro rimanevano dov'erano incatenati, a fissarlo. Cominciai a riconoscere alcune delle facce sudicie. Avevano vissuto all'orfanotrofio con me. Erano le ragazze e i ragazzi più grandi che si erano diplomati e che si credeva avessero trovato lavoro in giro per il distretto. La vista di una ragazza, i capelli color zenzero ora opachi e spioventi, mi fece infine urlare di dolore. I dolci occhi castani di Carra non diedero alcun segno di intelligenza mentre le accarezzavo la spalla e sussurravo il suo nome. La ragazzina dallo spirito libero a cui avevo voluto bene all'orfanotrofio era diventata un vuoto guscio di donna, privo di mente. «I miei studenti» disse Reyad, il petto gonfio d'orgoglio mentre fluttuava al centro della stanza. «Quelli che non hanno fallito.» «E adesso?» domandai a Valek con voce scossa. «Sarete

arrestati

e

gettati

nelle

segrete»

rispose

Mogkan

dall'entrata. Valek e io ci voltammo all'unisono. Mogkan incombeva sulla soglia, le braccia conserte sul petto. Valek lo caricò; nei suoi occhi fiammeggiava la furia. Mogkan arretrò nel corridoio. Vidi Valek fermarsi appena fuori dalla soglia e sollevare le mani in aria. Maledizione, pensai, correndo ad aiutarlo. Mogkan stava come un codardo dietro otto guardie. Le punte delle loro spade erano puntate a pochi pollici dal petto di Valek.

Capitolo 30 Mentre punte di spada mi pungevano la schiena, osservai Valek. aspettandomi che entrasse in azione per tutto il miserevole tragitto fino alle celle di detenzione di Brazell. Attesi che diventasse un turbine indistinto mentre quelli ci spogliavano e ci perquisivano, sopportando l'umiliazione di venire palpata e spintonata da mani rudi quando mi confiscarono zaino, serramanico e catenella. Essere spogliata degli abiti non mi turbò tanto quanto perdere la farfalla di Valek e la mia medaglia. Mi preparai a un'improvvisa evasione quando fummo condotti giù nella prigione, e stavo ancora aspettando quando venimmo spinti in due celle adiacenti. Trattenni il fiato mentre la pesante serratura metallica si chiudeva con clangore sulle nostre camere sotterranee. I soldati ci gettarono dentro i vestiti attraverso le sbarre, poi se ne andarono, abbandonandoci alle tenebre. Recuperai a tastoni la mia uniforme, cercando di abbottonarmi la camicia al buio. Rieccomi lì. Un incubo che si faceva realtà via via che procedevamo attraverso il corpo di guardia, giù per una rampa di scale, fino alla piccola segreta di Brazell che conteneva soltanto otto celle, quattro su ogni lato di un breve corridoio. Valek e io eravamo nelle due celle più vicine sulla sinistra delle scale. Un odore familiarmente forte e rancido permeava la prigione. L'aria pesante, melmosa, sopraffaceva a tal punto i miei sensi che mi ci volle un po' prima di rendermi conto che eravamo gli unici detenuti. Incapace di sopportare l'improvviso silenzio, chiamai: «Valek?». «Che c'è?» «Perché non hai lottato contro le guardie? Ti avrei aiutato.» «Otto uomini avevano spade snudate puntate al mio petto. Un qualsiasi movimento brusco, e sarei stato infilzato. Sono lusingato che tu pensi che io potessi vincere con questa disparità di numeri. Quattro avversari armati, magari, ma otto è decisamente troppo.» Potei sentire il divertimento nella voce di Valek.

«Allora forziamo le serrature e ci diamo alla fuga?» La mia sicurezza era basata sul fatto che Valek era un maestro nel campo dell'assassinio e un combattente esperto, un uomo che non sarebbe rimasto confinato a lungo. «Questo sarebbe l'ideale, a patto che avessimo qualcosa con cui forzarle» ribatté Valek, estinguendo le mie speranze. Esplorai la mia cella con le mani. Non trovando nient'altro che paglia sudicia, escrementi di topo e sporcizia non identificabile, crollai sul pavimento con la schiena contro la parete di pietra condivisa con la cella di Valek. Dopo un lungo momento lui chiese: «Era quello il tuo destino? Se non avessi ucciso Reyad, eri destinata ad essere incatenata al pavimento, priva di senno?». L'immagine di quei prigionieri mi bruciava nella mente. Mi si accapponava la pelle. Per la prima volta, fui contenta di aver fallito i test di Reyad. Mentre ci riflettevo su, rammentai un'osservazione che Irys aveva fatto a proposito della capacità dei maghi di rubare magia dagli altri. Finalmente compresi il senso di quelle donne e quegli uomini seduti in cerchi: il potere addizionale di Mogkan veniva da quei prigionieri incatenati. Brazell, Reyad e Mogkan dovevano aver esaminato i bambini dell'orfanotrofio in cerca di potenziale magico. Poi, mentre sperimentava su di loro. Mogkan aveva cancellato completamente le loro menti, lasciandoli inconsapevoli contenitori da cui attingere ulteriore potere. «Credo che Brazell e Reyad fossero decisi a ridurmi a quello stato mentale. Ma ho resistito.» Spiegai a Valek la mia teoria sui prigionieri. «Raccontami che cosa ti è successo» disse Valek, con voce tesa. Esitai. Poi il racconto mi sgorgò dalle labbra, dapprima a pezzi e bocconi, ma presto le parole si riversarono con la stessa rapidità delle lacrime che mi ruscellavano giù per la faccia. Non gli risparmiai alcun dettaglio. Non tralasciai le parti più spiacevoli. Raccontando a Valek ogni cosa dei miei due anni come ratto da laboratorio, le torture e i tormenti da parte di Reyad, i giochi crudeli, le umiliazioni,

le percosse, il desiderio di essere buona per il mio aguzzino, e infine lo stupro che aveva condotto all'omicidio, mi purgai della nera macchia di Reyad. Mi sentii la testa leggera per la liberazione. Valek restò in silenzio per tutta la mia rivelazione, senza commentare né fare domande. Alla fine, con il ghiaccio che si cristallizzava nella sua voce, disse: «Brazell e Mogkan saranno distrutti». Promessa oppure minaccia, non seppi dirlo, ma con tutta la forza di Valek dietro di essa, era ben più che un discorso ozioso. Come se avessero udito i loro nomi, Brazell e Mogkan entrarono dalla porta principale della segreta. Quattro guardie che reggevano lanterne li scortavano. Si fermarono davanti alle nostre celle. «È bello rivederti nel luogo che ti si confà» mi disse Brazell. «Il desiderio di sentire il tuo sangue sulle mie mani mi ha tentato, ma Mogkan mi ha cortesemente informato della tua sorte, nel caso non dovessi ricevere l'antidoto.» Brazell fece una pausa, e sorrise di pura soddisfazione. «Vedere l'assassina di mio figlio contorcersi tra dolori lancinanti sarà giustizia migliore. Ti farò visita più tardi, per udire le tue urla. E se mi implorerai, potrei persino levarti dalla tua disgrazia, tanto per poter respirare l'odore caldo del tuo sangue.» Lo sguardo di Brazell si spinse dentro la cella di Valek. «Disobbedire a un ordine diretto è un crimine gravissimo. Il Comandante Ambrose ha firmato la tua condanna a morte. L'impiccagione è fissata per domani a mezzogiorno.» Brazell inclinò il capo, valutando Valek come fosse un purosangue. «Penso che farò impagliare e montare la tua testa. Sarai una decorazione eccezionale nel mio ufficio quando diventerò Comandante.» Ridendo, Brazell e Mogkan lasciarono la segreta. La tenebra che rifluì dietro di loro parve ancora più pesante di prima. Mi premeva contro la cassa toracica, dandomi la sensazione da panico di una stretta attorno alle costole. Percorsi la cella. Le mie emozioni oscillavano tra terrore puro e schiacciante abbattimento. Sferrai calci alle sbarre, lanciai paglia in aria e picchiai sulle pareti. «Yelena» disse infine Valek, «calmati. Dormi un po'; avrai bisogno delle tue energie per stanotte.»

«Oh, già, tutti hanno bisogno di essere ben riposati per morire» risposi, ma rimpiansi la mia asprezza quando ricordai che anche Valek stava di fronte alla morte. «D'accordo, ci proverò.» Mi sdraiai sulla paglia lurida, sapendo che era inutile cercare di riposare. Come si potevano sprecare le proprie ultime ore dormendo? A quanto pareva, io potevo. Mi svegliai con un grido. Il mio incubo sui topi si mescolò alla realtà quando sentii una massa calda e pelosa posata sulle mie gambe. Balzando in piedi, diedi un calcio al roditore. Quello sbatté contro la parete e sgattaiolò via. «Fatto un bel sonnellino?» chiese Valek. «Ne ho fatto di migliori. Il mio compagno di stanza russava.» Valek grugnì divertito. «Quanto ho dormito?» «Difficile dirlo senza il sole. Immagino sia quasi il tramonto.» Avevo ricevuto la mia ultima dose di antidoto il mattino del giorno prima. Ciò mi dava da vivere fino al mattino seguente, anche se i sintomi del veleno si sarebbero fatti sentire durante la notte. «Valek, ho una confess...» Mi si chiuse la gola. I muscoli dello stomaco si contrassero con tale violenza che mi parve che qualcuno stesse cercando di strapparmeli dal corpo. «Che cosa c'è che non va?» «Crampi d'inferno allo stomaco» dissi, ancora ansimando benché il dolore si fosse placato. «È questo l'inizio?» «Sì. Cominciano lentamente, ma presto le convulsioni saranno continue.» S'abbatté un'altra ondata di agonia, e io crollai sul pavimento. Quando fu passata, mi trascinai carponi fino al giaciglio di paglia, aspettando l'attacco seguente. Incapace di sopportare l'attesa in silenzio, pregai: «Valek, parlami. Raccontami qualcosa per distrarmi». «Di che genere?»

«Non m'interessa. Qualsiasi cosa.» «Ecco qui qualcosa da cui puoi trarre qualche conforto... non c'è nessun veleno chiamato Polvere di Farfalla.» «Cosa?» Avrei voluto urlargli contro, ma arrivò una convulsione tale da piegarmi in due, da indurre il vomito, facendomi sentire i muscoli addominali come se venissero lacerati da un coltello. Quando riuscii di nuovo a connettere, Valek spiegò: «Presto vorrai morire, desidererai di essere già morta, ma alla fine sarai viva, vivissima». «Perché dirmelo adesso?» «La mente controlla il corpo. Se tu avessi creduto di essere prossima alla fine, avresti potuto morire per quel solo convincimento.» «Perché aspettare fino a ora per dirmelo?» domandai furiosa. Lui avrebbe potuto alleviare la mia angoscia. «Una decisione tattica.» Ingoiai una rispostaccia. Cercai di vedere la sua logica; di mettermi al suo posto. Le mie sedute di allenamento con Ari e Janco avevano incluso strategia e tattica. Janco aveva paragonato la scherma a un gioco di carte. «Tieni le tue mosse migliori strette al petto e usale soltanto quando non ti rimane altro» aveva detto. Durante la giornata avrebbe potuto presentarsi un'opportunità di fuga. In tal caso Valek non avrebbe dovuto mostrare la sua ultima carta e dirmi del veleno. «E i crampi, allora?» domandai proprio mentre uno spasmo mi assaliva. Mi arrotolai in una stretta palla sperando di alleviare un po' del dolore, ma senza frutto. «Sintomi dell'astinenza.» «Da che cosa?» «Il tuo cosiddetto antidoto» rispose Valek. «È un preparato interessante, io lo uso per far star male qualcuno. Mentre la pozione viene eliminata pian piano, produce crampi di stomaco che meritano una giornata a letto. È perfetta per mettere temporaneamente fuori

combattimento qualcuno senza ucciderlo. Se continui a berne, allora i sintomi vengono differiti finché non smetti.» In tutti i libri che avevo studiato, non ricordavo di aver letto nulla di un filtro come quello. «Qual è il nome?» «Terror Bianco.» La consapevolezza che non sarei morta cancellò il panico e mi aiutò a sopportare il dolore. Guardai a ogni contrazione come a un passo necessario da parte mia per liberarmi della sostanza. «E la Polvere di Farfalla?» domandai. «Non esiste proprio. Me la sono inventata. Suonava bene. Avevo bisogno di una minaccia per impedire agli assaggiatori di fuggire, senza usare guardie o porte chiuse con il chiavistello.» Mi affiorò alla mente un pensiero spiacevole. «Il Comandante sa che è un'astuzia?» Se era così, allora l'avrebbe saputo anche Mogkan. «No. Crede che tu sia stata avvelenata.» Durante la notte fu duro per me rammentare che non ero stata avvelenata. Crampi terrificanti continuarono a torturarmi. Mi trascinai per la cella, vomitando e urlando. Fui vagamente consapevole, a un certo punto, di Brazell e Mogkan che gongolavano sopra di me. Non m'importò che guardassero. Non m'importò che ridessero. Tutto ciò che m'importava era trovare una posizione che alleviasse il dolore. Alla fine caddi in un sonno sfinito. Mi svegliai distesa sul pavimento coperto di sudiciume della cella. Il mio braccio destro era proteso tra le sbarre. Mi meravigliai più del fatto che stringevo la mano di Valek, che di essere viva. «Yelena, è tutto a posto?» La preoccupazione era palese nella voce di Valek. «Penso di sì» risposi con una sorta di gracchiare. La gola mi bruciava per la sete. Risuonò un clangore mentre qualcuno apriva la porta della Prigione. «Fingiti morta» bisbigliò Valek, lasciandomi la mano. «Cerca di

portarli vicino alla mia cella» mi istruì, mentre due guardie entravano nella segreta, lo ritirai dentro la celiala mia mano ancora calda di Valek, e sporsi fuori la sinistra, fredda come il ghiaccio, proprio mentre gli uomini scendevano i gradini. «Dannazione! Il puzzo quaggiù è peggio che la latrina dopo una festa a base di birra» disse la guardia che reggeva la lanterna. «Pensi che sia morta?» domandò la seconda guardia. Con la faccia verso il muro, chiusi gli occhi e trattenni il respiro mentre la luce giallastra spazzava il mio corpo. La guardia mi toccò la mano. «Fredda come piscio di gatto delle nevi. Trasciniamola fuori prima che cominci a marcire. Tu credi che puzzi adesso...» Lo scatto della serratura fu seguito da uno squittio di metallo quando la porta della cella si aprì. Mi concentrai per sembrare un peso morto mentre la guardia mi trascinava fuori per un piede. Quando la luce si allontanò da me, arrischiai una sbirciatina. La guardia con la lanterna camminava davanti per rischiarare la strada, lasciando nell'oscurità la metà superiore del mio corpo. Mentre passavamo davanti alla cella di Valek, afferrai le sbarre con entrambe le mani. «Uh. Fermati, si è incastrata.» «In che cosa?» domandò la guardia con la lanterna. «Non lo so. Torna qui con quell'accidenti di luce.» lo lasciai la presa, agganciando il braccio all'interno della cella. «Sta' indietro» la guardia con la lanterna ammonì Valek. La sua mano grassa mi tastò il gomito. Poi grugnì sottovoce. Aprii gli occhi in tempo per vedere la luce della lanterna spegnersi mentre cadeva a terra. «Che accidenti...?» esclamò l'altro uomo. Mi stava ancora tenendo il piede. Arretrò allontanandosi dalle sbarre della cella di Valek. Io piegai le gambe, tirando il mio corpo vicino ai suoi stivali. Quello strillò per la sorpresa quando gli abbrancai le caviglie. Incespicò e cadde all' indietro. Il rumore nauseante di osso che urta la pietra non fu ciò che mi

aspettavo. Il suo corpo giacque inerte. Mi alzai su gambe tremanti. Udendo un tonfo e il tintinnio delle chiavi, mi voltai in tempo per vedere Valek riaccendere la lanterna. L'altra guardia era appoggiata contro le sbarre, la testa piegata in un'angolazione innaturale. Nel fioco bagliore della lanterna, lanciai un'occhiata alla forma prona ai miei piedi. La testa del soldato aveva urtato lo spigolo dell'ultimo gradino, e un liquido nero cominciava a raccogliersi in una pozza attorno ai miei stivali. Avevo appena ucciso un altro uomo. Cominciai a tremare. Una quarta persona era morta a causa mia. Essere privata dell'anima mi aveva ridotta a un'assassina senza cuore? Valek provava un qualsiasi rimorso o senso di colpa quando toglieva una vita? Lo guardai attraverso un velo sanguigno. Efficiente come sempre, lui spogliò delle armi le guardie morte. «Aspetta qui» ordinò. Aperta la porta principale della prigione, balzò attraverso l'ingresso del corpo di guardia. Esclamazioni, grugniti, e il suono di carne che colpisce altra carne raggiunsero le mie orecchie mentre aspettavo sulla gradinata. Nessun rimorso, nessun senso di colpa, Valek faceva quel che doveva affinché la sua parte vincesse. Quando mi accennò di raggiungerlo, vidi che del sangue gli era schizzato sul viso, sul petto e sulle braccia. Tre guardie, o svenute o morte, erano distese sul pavimento. Il mio zaino stava su un tavolo, il contenuto sparso tutto attorno. Ci infilai dentro tutto di nuovo mentre Valek cercava di aprire la porta chiusa a chiave che ci separava dalla libertà. Per quanto misere, rivolevo le mie proprietà, incluse farfalla e medaglia. Una volta che ebbi cinto al collo la catenella, mi sentii stranamente ottimista. «Accidenti» esclamò Valek. «Che c'è?» «Il Capitano ha l'unica chiave di questa porta. La aprirà soltanto per il cambio delle guardie.» «Prova questi.» Tesi a Valek i miei punteruoli. Lui sogghignò.

Mentre lui lavorava sulla serratura, io trovai una brocca d'acqua e una tinozza per lavare. La paura di essere sorpresa non riuscì ad avere la meglio sul desiderio di sciacquarmi la faccia e le mani. Ma non fu abbastanza: il bisogno di liberarmi dal puzzo di vomito e di sangue mi sopraffaceva. Ben presto mi stavo rovesciando mestolate d'acqua sulla testa fino a trovarmi zuppa. Prosciugai metà della brocca d'acqua prima di pensare a offrirne un po' a Valek. Lui si fermò per bere, poi continuò a scassinare la serratura. Finalmente quella scattò e si aprì. Valek sbirciò fuori nell'anticamera. «Perfetto. Niente guardie.» Spalancò la porta. «Andiamo.» Prendendo la mia mano e una lanterna, Valek voltò le spalle alla nostra sola via di fuga e mi ricondusse giù nella prigione, fermandosi per lasciare spalancata anche la porta che conduceva alle celle. «Sei impazzito?» bisbigliai mentre lui mi trascinava verso l'ultima cella. «La libertà è da quella parte!» Indicai col dito. Valek mi ignorò mentre sbloccava la porta. «Fidati di me. Questo è il nascondiglio perfetto. Il macello che abbiamo lasciato sarà presto scoperto, e con le porte aperte penseranno che siamo scappati.» Mi spinse davanti a sé nella cella. «Verranno inviate fuori delle squadre di ricerca. Quando tutti i soldati avranno lasciato il maniero, faremo la nostra mossa. Fino ad allora, rimarremo quieti.» Valek ricavò con la paglia un giaciglio improvvisato nell'angolo più lontano della cella. Dopo aver spento e nascosto la lanterna, mi attirò giù. Mi raggomitolai su un fianco dandogli la schiena, rabbrividendo nei miei abiti bagnati. Valek tirò sopra di noi della paglia e mi avvolse con un braccio. Mi attirò vicino, lo mi irrigidii al contatto, ma il calore del suo corpo mi riscaldava, e presto mi rilassai nella sua stretta. Dapprima, ogni minimo rumore mi faceva battere il cuore. Ma non avrei dovuto preoccuparmi: il trambusto che seguì quando fu scoperta la nostra fuga era assordante. Voci irate e accusatorie gridavano. Squadre di ricerca vennero organizzate e mandate in spedizione. Fu opinione concorde che avessimo almeno un'ora di vantaggio, tuttavia Brazell e Mogkan

discussero su quale direzione avessimo preso. «Valek si sta probabilmente ritirando a ovest in territorio ben conosciuto» asseriva Brazell con autorevolezza. «Il sud è la scelta più logica» insisteva Mogkan. «Noi abbiamo il Comandante Ambrose; non c'è niente che possano fare. Stanno scappando per salvarsi la vita, non verso qualche posizione strategica. Prenderò un cavallo e perlustrerò la foresta con la mia magia.» Valek sbuffò nel mio orecchio, e sussurrò: «Pensano davvero che io abbandonerei il Comandante. Non hanno la minima idea di che cosa significhi lealtà». Quando la prigione fu rimasta silenziosa e vuota per qualche ora, cominciai ad annoiarmi e a diventare sempre più ansiosa di andarmene. La porta che conduceva alle celle era rimasta spalancata, permettendo a una luce fioca di illuminare ciò che ci circondava. «Possiamo andare adesso?» domandai. «Non ancora. Credo sia ancora giorno. Aspetteremo fino a quando sarà buio.» Per passare il tempo, chiesi a Valek come fosse rimasto coinvolto nell'impresa del Comandante. Non la ritenevo una domanda indiscreta, ma lui si fece così taciturno che rimpiansi di averlo chiesto. Dopo una lunga pausa, parlò. «La mia famiglia viveva nella Provincia di Icefaren prima che fosse chiamata MD-I. Un inverno particolarmente aspro fece crollare l'edificio che ospitava la bottega di pellame di mio padre, rovinando tutte le sue attrezzature. Aveva bisogno di rimpiazzare l'equipaggiamento per restare in attività, ma i soldati che vennero a casa nostra per esigere il denaro delle tasse non vollero sentir ragione.» Il braccio di Valek si strinse attorno a me. Trascorse un altro minuto prima che continuasse, «lo ero solo un ragazzino ossuto all'epoca, ma avevo tre fratelli più grandi. Erano circa della stazza di Ari e avevano la sua forza. Quando mio padre disse ai soldati che se avesse pagato l'intero ammontare della tassa non avrebbe avuto denaro a sufficienza per nutrire la sua famiglia...»

Valek s'interruppe, mentre il cuore misurava vari battiti. «... uccisero i miei fratelli. Risero e dissero: "Problema risolto. Adesso hai tre bocche in meno da sfamare".» I muscoli nel braccio di Valek tremavano per la tensione. «Naturalmente volli vendetta, ma non sui soldati: loro erano solo messaggeri. Volevo il Re. L'uomo che aveva permesso ai suoi soldati di assassinare i miei fratelli in suo nome. Così imparai a combattere, e studiai l'arte dell'assassinio finché non diventai imbattibile. Viaggiai parecchio, usando le mie nuove abilità per guadagnarmi da vivere. La classe alta sotto la monarchia era così corrotta che mi pagavano per ammazzarsi l'un l'altro. «Poi mi fu commissionato l'incarico di uccidere un giovane uomo di nome Ambrose, i cui discorsi incitavano alla ribellione e rendevano nervosi i reali. Era diventato popolare, raccoglieva grandi folle. La gente cominciava a resistere all'indottrinamento del Re. Poi Ambrose sparì, nascondendo il suo esercito in aumento e organizzando operazioni sotto copertura contro la monarchia. Il compenso che mi promisero per trovare e uccidere Ambrose era consistente. Gli tesi un'imboscata, aspettandomi di avere già affondato il coltello nel suo cuore prima che potesse tirare il fiato per gridare. Lui però bloccò il colpo, e io mi ritrovai a combattere per la mia vita... e a perdere. «Invece di uccidermi, tuttavia, Ambrose mi incise una C sul petto con il mio stesso pugnale. La medesima arma, a proposito, che usai più avanti per uccidere il Re. Poi Ambrose si dichiarò mio Comandante, e annunciò che ora lavoravo per lui e per nessun altro, lo fui d'accordo, e gli promisi che se mi avesse condotto abbastanza vicino per uccidere il Re, gli sarei stato fedele per sempre. «Il mio primo incarico fu uccidere la persona che mi aveva pagato per assassinare Ambrose. Durante tutti questi anni, l'ho guardato raggiungere i suoi obiettivi con una testarda determinazione e senza violenza e dolore superflui. Non è stato corrotto dal potere o dall'avidità. È coerente e leale verso il suo popolo. E non c'è stato nessuno a questo mondo che mi fosse più caro. Fino ad ora.» Trattenni il respiro. Era stata una semplice domanda innocente. Non mi ero aspettata una risposta così intima.

«Yelena, tu mi hai fatto impazzire. Mi hai causato guai considerevoli e ho preso in considerazione due volte l'idea di porre termine alla tua vita da quando ti ho conosciuta.» Il respiro caldo di Valek nel mio orecchio mi mandò un brivido lungo la spina dorsale. «Ma tu mi sei entrata sotto pelle, hai invaso il mio sangue e ti sei appropriata del mio cuore.» «Suona più come un veleno che come una persona» fu tutto ciò che riuscii a dire. La sua confessione mi aveva sconvolta ma anche eccitata. «Esattamente» ribatté Valek. «Tu mi hai avvelenato.» Mi fece rotolare verso di sé perché lo fronteggiassi. Prima che potessi emettere un altro suono, mi baciò. Il desiderio a lungo represso fiammeggiò alla vita mentre gli cingevo il collo con le braccia, ricambiando il suo bacio con pari passione. La mia reazione fu una deliziosa sorpresa. Avevo temuto, dopo l'abuso subito da Reyad, che il mio corpo si sarebbe rinserrato nell'orrore e nella repulsione. Invece l'intrecciarsi dei nostri corpi legò assieme le nostre menti e i nostri spiriti. Un distante suono di musica vibrò nell'aria. Pulsando, la magica armonia presto si levò in un crescendo e ci avvolse come una calda coperta. La cella della prigione e la paglia sudicia svanirono dalla nostra consapevolezza. Un biancore drappeggiato in nivea seta ci circondava. Su questo piano eravamo eguali, compagni. Le nostre anime si fusero. Il suo piacere fu la mia estasi. Il mio sangue pulsava nel suo cuore. La completa beatitudine venne in brevi frammenti, tuttavia Valek e io fummo felici di riprovare. Ci eravamo fusi, le nostre menti erano divenute una. lo attingevo alla sua essenza, assaporando la sensazione del suo corpo nel mio, inebriandomi nella carezza della sua pelle contro la mia. Lui riempì la vuota cavità dentro il mio cuore di gioia e di luce. Anche se giacevamo nella paglia lurida e avevamo davanti un futuro incerto, profonde fusa di appagamento vibrarono per tutto il mio corpo.

Capitolo 31 Si intromisero la realtà e il fetore ripugnante di un animale in decomposizione. Era calata la tenebra. «Andiamo» disse Valek, tirandomi in piedi. «Dove?» chiesi io, sistemandomi l'uniforme. «Nella stanza del Comandante, così da poterlo ricondurre al castello con noi.» Valek si spazzolò via con le mani la paglia dai capelli e dagli abiti. «Non funzionerà.» «Perché no?» «Non appena lo toccherai, Mogkan lo saprà.» Spiegai del legame di Mogkan con il Comandante e di come avesse stabilito quella connessione grazie al Creolo. «Come spezziamo il contatto, allora?» domandò Valek. Era tempo di dirgli della mia magia. Mi sentii cogliere dalla vertigine, come se mi trovassi sull'orlo del mondo. Prendendo un profondo respiro, lo aggiornai sugli incontri e le conversazioni che avevo avuto con Irys, e su come lei potesse essere in grado di aiutarci. Valek restò silenzioso per un minuto pieno, mentre il cuore mi martellava follemente nel petto. «Ti fidi di lei?» domandò. «Sì.» «C'è qualcos'altro che non mi hai detto?» La testa prese a girarmi come una trottola. Erano successe così tante cose, e dovevamo ancora fermare un potente mago. La morte era un'eventualità reale. Volli che Valek sapesse che cosa provavo. «Ti amo.» Valek mi avvolse nelle sue braccia. «Il mio amore è stato tuo fin dalla Festa del Fuoco. Ho capito allora che non sarei stato più lo stesso se quegli scagnozzi ti avessero ucciso. Non pretendevo né mi

aspettavo questo. Ma non ho potuto resisterti.» lo modellai il mio corpo contro il suo, volendo condividere la sua stessa pelle. Lui mi prese la mano. «Andiamo.» Razziammo il guardaroba in cerca di uniformi prima di sgusciare nel corridoio. Indossando i colori verde e nero di Brazell, speravamo di non essere scoperti mentre attraversavamo di soppiatto il maniero. Valek aveva bisogno della sua sacca di arnesi, così ci dirigemmo alle baracche. Mentre io recuperavo il mantello, lui scivolò dentro il deserto edificio di legno. I soldati erano andati tutti a cercare noi. Camminai nell'ombra dell'edificio, intonando nella mia mente il nome di Irys. Ci occorreva un piano d'attacco. Dovevamo muoverci quella notte. Richiami e imprecazioni risuonarono dalle baracche. Corsi dentro, e trovai Ari e Janco con le spade snudate e puntate contro Valek. «Fermi» ordinai. Scorgendomi, Ari e Janco rinfoderarono le armi, sorridendo. «Pensavamo che Valek fosse fuggito senza di te» disse Ari, dandomi un abbraccio da orso. «Non dovreste essere con le squadre di ricerca?» domandò Valek estraendo la sua sacca nera da sotto una cuccetta. Si era cambiato, indossando un soprabito color ebano con numerose tasche. «Siamo troppo malati» rispose Janco con il suo miglior sorrisetto. «Che cosa?» chiesi io. «Le accuse contro di voi erano ovviamente pretestuose, così ci siamo rifiutati di prendere parte alla caccia» spiegò Janco. «Questa è insubordinazione.» Valek estrasse dalla sacca un lungo pugnale e alcuni dardi. «Questo era il punto, infatti: che cosa deve fare un poveretto qui attorno per essere arrestato e gettato nella segreta?» chiese Janco. Lo fissai sbalordita. Sarebbero stati disposti a rischiare la corte

marziale pur di aiutarmi. Aveva inteso sul serio quello che aveva scritto sul mio coltello a serramanico. «In quale direzione sono andate le squadre di ricerca.» si informò Valek infilandosi delle armi in varie tasche e agganciandosi spada e coltello alla cintura. «Prevalentemente a sud e a est, anche se alcune piccole squadre sono state mandate a ovest e a nord» rispose Ari. «Cani?» «Sì.» «E il maniero?» «Minima copertura.» «Ottimo. Venite con noi» ordinò Valek a entrambi. Loro scattarono sull'attenti. «Sissignore.» «Tenetevi pronti per operazioni coperte, ma tenete le spade. Ne avrete bisogno.» Valek terminò di vestirsi mentre Ari e Janco si preparavano. «Aspetta» dissi. «Non voglio che loro si mettano nei guai.» Un'ondata di nausea minacciò di mandarmi bile su per la gola, mentre la paura per ciò che stavamo progettando di fare mi sopraffaceva. Valek mi strinse la spalla. «Ci serve il loro aiuto.» «Vi servirà più di quello.» La voce di Irys uscì dalle tenebre. I tre uomini simultaneamente estrassero le spade. Quando lei avanzò nella fioca luce della lanterna, Valek si rilassò, ma Ari e Janco brandirono le loro armi. «Riposo» ordinò Valek. Vedendo la loro riluttanza, assicurai: «Lei è un'amica. È qui per aiutarci». Guardai verso di lei. «Abbiamo scoperto la fonte del potere aggiuntivo di Mogkan.» «Che cos'è?» Le raccontai dei prigionieri privi d'intelletto e di come fossero stati incatenati in cerchi, dopodiché spiegai la mia teoria che Mogkan

avesse cancellato le loro menti per impadronirsi del loro potere. Orrore e repulsione le sfiorarono il viso. A dispetto della scorza ruvida, la sua preoccupazione scendeva nel profondo. Riuscì a riacquistare il suo cipiglio da niente smancerie, ma Ari e Janco apparivano un tantino verdi, come se stessero per vomitare. «Che cosa significa tutto questo?» chiese Ari. «Ve lo spiegherò più tardi. Adesso...» Mi interruppi. Mi balzò alla mente un completo piano d'attacco, che però includeva Ari e Janco. Avevo sperato di tenerli al sicuro, ma Valek aveva ragione: ci serviva il loro aiuto. «Voglio che voi proteggiate Irys con tutto quello che avete. È molto importante» dissi ai miei amici. «Sissignore» risposero insieme Ari e Janco. Sbalordita, li fissai. Si erano rivolti a me chiamandomi signore, intendendo che avrebbero seguito i miei ordini, anche se ciò li avesse condotti alla morte. Gli occhi di Valek trafissero i miei. «Hai una strategia?» «Sì.» «Diccela.» Perché, pensai mentre Valek e io ci insinuavamo nelle silenziose. vuote stanze del maniero, avevo aperto bocca? Il mio piano. Che cosa sapevo io? Valek, Ari e Janco avevano anni di esperienza in questo lavoro snervante, rivoltante, eppure tutti loro erano disposti a rischiare il collo seguendo il mio piano. Nel buio corridoio, ingoiai la paura e ripassai la strategia. Quando arrivammo davanti alla porta della stanza del Comandante, io e Valek attendemmo per dare tempo agli altri di portarsi in posizione. I miei brevi respiri sembravano riecheggiare dalle pareti, e mi sentivo come se fossi sul punto di urlare o di svenire. Dopo qualche istante, Valek forzò la serratura e sgusciammo all'interno della stanza. Lui bloccò la porta. Accesa una lanterna, si mosse verso l'enorme letto a baldacchino. Il Comandante era disteso sopra le coperte, completamente vestito. I suoi occhi vacui erano

aperti, a fissare il soffitto. Non diede segno di accorgersi della nostra presenza. Sedetti accanto a lui e gli presi la mano nella mia. Seguendo le concise istruzioni di Irys, immaginai il mio muro di mattoni, poi lo ingrandii fino a costruire una cupola di mattoni che circondava entrambi. Valek si appiattì contro la parete a fianco della porta, aspettando Mogkan. La sua espressione si era indurita nel suo aspetto da battaglia. Era freddo come pietra all'esterno, ma io sapevo che dentro di lui abitava una letale furia di lava fusa. Non ci volle molto prima che una chiave girasse nella serratura. Silenzio. Poi la porta si spalancò. Irruppero quattro guardie armate. Valek ne atterrò una ancor prima che potesse accennare a una reazione. Il clangore delle spade riempì la stanza. Mogkan si introdusse nella camera dopo che i suoi uomini ebbero impegnato Valek completamente. Evitando lo scontro, si mosse verso di me, un sorriso condiscendente che gli sfiorava le labbra. «Un igloo di mattoni. Che carino. Andiamo, Yelena, dammi un po' più di credito. Una fortezza di pietra o una parete d'acciaio sarebbero state qualcosa di più simile a una sfida.» Sentii un urto solido colpire le mie difese mentali. Crollarono dei mattoni. Tappando i buchi mentre lui martellava sul mio scudo, pregai con disperazione che Ari, Janco e Irys fossero riusciti a raggiungere la camera dove Mogkan teneva i prigionieri in catene. Irys aveva spiegato che occorreva che lei fosse lì con loro per poter bloccare il potere addizionale di Mogkan. Comunque, anche se lei avesse avuto successo, avrei ancora dovuto vedermela con la magia personale di Mogkan. Interrompendo per un istante il suo assalto, Mogkan piegò la testa di lato, fissando in lontananza. «Bel trucchetto» disse. «Amici tuoi? Sono nell'anticamera di Reyad, ma a meno che non riescano a farsi strada contro dieci uomini, non arriveranno ai miei ragazzi.» Avvertii un determinazione scontrarsi con indebolivano a

tuffo al cuore. Mogkan riprese l'aggressione con rinnovata. Una sola guardia delle quattro restava a Valek. Fa' in fretta, pensai. Le mie difese si ogni colpo. Riversai ogni oncia di energia nel mio

muro, ma questo crollò in una nube di polvere. Il potere di Mogkan mi strinse come il pugno di un gigante attorno alla gabbia toracica. Gridai di dolore e lasciai cadere la mano del Comandante. Mi alzai su gambe tremanti accanto al letto proprio mentre Valek ritraeva la spada dal cadavere dell'ultima guardia. «Fermo, o lei muore» ordinò Mogkan. Valek si raggelò. Altre tre guardie irruppero nella stanza, con Brazell alle calcagna. Circondarono Valek. Prendendogli la spada, lo costrinsero a inginocchiarsi con le mani sulla testa. «Procedi, Generale. Uccidila» disse Mogkan, facendo un passo indietro per lasciar passare Brazell. «Avrei dovuto permetterti di tagliarle la gola il primo giorno che è arrivata.» «Perché ascoltare Mogkan?» chiesi a Brazell. «Non c'è da fidarsi di lui.» Il dolore mi si arrampicò su per la spina dorsale mentre Mogkan volgeva su di me gli occhi brucianti. «Che cosa vuoi dire?» domandò Brazell. Impugnò la spada, passando lo sguardo da me a Mogkan. Mogkan rise. «Sta soltanto cercando di differire l'inevitabile.» «Come quando tu hai cercato di differire i negoziati per il trattato con Sitia avvelenando il brandy? O stavi mirando a fermare del tutto la delegazione?» gli chiesi. La sorpresa di Mogkan svelò la sua colpevolezza. Anche se lo stupore toccò il viso di Valek, lui restò in silenzio. Il suo corpo si tese, pronto a entrare in azione. «Questo non ha senso» disse Brazell. «Mogkan vuole evitare qualunque contatto con la gente del sud. Perché loro saprebbero del...» Mi si serrò la gola. Mi afferrai il collo, incapace di respirare. Brazell si rivolse a Mogkan. La sua faccia quadrata era contratta dalla rabbia. «Che cosa avevi in mente?» «Non ci serve un trattato con Sitia. Stavamo ottenendo i nostri rifornimenti senza alcun problema. Ma tu non hai voluto ascoltarmi.

Hai dovuto fare l'avido. Dopo aver stabilito un trattato commerciale, sarebbe solo questione di tempo prima di avere gente del sud che passa il confine, per ficcare il naso ovunque, per scovarci.» Mogkan non mostrava alcuna paura di Brazell, solo collera per dover rendere conto delle proprie azioni. «Adesso, vuoi ucciderla o devo farlo io?» Dei puntolini mi rotearono davanti agli occhi mentre la vista mi si annebbiava. Prima che Brazell potesse rispondere, tuttavia, Mogkan barcollò. La sua presa su di me si allentò leggermente, liberandomi le vie respiratorie. Annaspai in cerca d'aria. «I miei ragazzi!» ruggì Mogkan. «Ma anche senza di loro, ho pur sempre più potere di te!» Come un pesce preso all'amo, mi sentii strappare dai miei piedi e scagliare contro la parete. La mia testa urtò la pietra. Rimasi come inchiodata a mezz'aria, mentre il potere di Mogkan mi tempestava. Ogni colpo sembrava un masso che mi si schiantasse addosso. Ci siamo, pensai. Reyad aveva ragione; diventare l'assaggiatore ufficiale aveva soltanto differito l'inevitabile. Con la coda dell'occhio, vidi Valek scontrarsi con le guardie mentre cercava di raggiungere Mogkan. Troppo tardi per me. Con un estremo impeto di energia, mi protesi mentalmente. Colpii una barriera impenetrabile mentre sentivo la coscienza colare via. Il buio riempì il mio mondo. Poi la voce di Irys fu lì nella mia mente, tranquillizzante. «Qui» diceva, «lascia che ti aiuti.» Potere puro fluì in me. Ricostruii il mio scudo mentale e deviai l'assalto di Mogkan, respingendolo. Si schiantò contro il muro opposto con un colpo estremamente appagante. D'un tratto la confusione regnò sovrana negli alloggi del Comandante. Inesperta di magia com'ero, non potei trattenere Mogkan, che schizzò via dalla stanza. Armato di pugnale, Valek combatteva contro tre guardie armate di spade. Come mi precipitai ad aiutare Valek, Brazell mi afferrò il braccio e mi fece voltare verso di lui.

Sollevò la spada. Nei suoi occhi lampeggiava una furia omicida, lo balzai indietro per evitare il primo fendente della sua spada e sbattei contro il letto del Comandante. Saltai nel letto per evitare il successivo colpo di Brazell. Guardai in basso. Lo sguardo del Comandante era ancora fisso sul soffitto. Il terzo fendente di Brazell spezzò una delle colonnine del letto. Mentre mi tuffavo dal fondo del letto per evitare un altro colpo, abbrancai da terra la colonnina. Adesso ero armata. La colonnina non era adeguatamente bilanciata come bastone, però era spessa. Meglio di niente. Brazell era un avversario potente. Ogni fendente della sua spada faceva schizzare schegge dalla mia arma improvvisata. Dapprima schernì i miei tentativi di combatterlo. «Che cosa pensi di fare? Sei un affarino pelle e ossa. Ti sventrerò in due mosse.» Quando trovai la mia zona mentale di potere, smise di sprecare il fiato. Pur percependo il suo successivo assalto, ancora mi arrabattavo per restare un passo avanti a lui. La mia colonnina di legno non poteva stare alla pari con la sua spada. Lo spettro di Reyad si materializzò nella stanza, incitando il padre, cercando di distrarmi. La sua tattica funzionò. Urtai la parete con la schiena. La spada di Brazell spaccò in due la mia colonnina. «Sei morta.» Con gioiosa soddisfazione, Brazell ritrasse la lama per tagliarmi la gola, ma io tenevo ancora una parte del pezzo di legno. Mentre la sua spada si abbatteva vicinissima, deviai l'arma verso il basso con la colonnina spezzata. La punta mi ferì all'altezza della vita. Il rumore di stoffa che si lacerava accompagnò una linea di fuoco attraverso il mio stomaco. Il sangue inzuppò i lembi strappati della camicia della mia uniforme. Fu a quel punto che Brazell commise il primo errore. Pensando che fossi finita, abbassò la guardia. Ma io ero ancora in piedi. Sollevai la mia arma, e con disperata energia lo colpii alla tempia. Cademmo a terra insieme. Fissai il soffitto, cercando di riprendere fiato. Valek aleggiava sopra di me. Gli feci cenno di andare. «Trova Mogkan.» Scomparve dalla mia vista.

Quando infine la forza mi tornò nelle membra, esaminai la ferita. Facendo scorrere un dito lungo lo squarcio slabbrato, pensai che tutto ciò di cui avevo bisogno era un po' della colla di Rand. Lo spettro di Reyad fluttuò sopra di me, sbeffeggiandomi. Non potei sopportare di giacere a terra con lui nella stanza. Imprecando e sanguinando, mi alzai in piedi. «Tu.» Gli puntai contro un dito sanguinolento. «Vattene via.» «Prova a cacciarmi» mi sfidò. Come potevo combattere un fantasma? Mi misi in posa difensiva. Lui mi schernì. No, non sarebbe stato uno scontro fisico, bensì mentale. Pensai a ciò che ero riuscita a fare nell'anno e mezzo da quando avevo tagliato la gola a Reyad. Superare le mie paure per farmi degli amici. Affrontare i nemici. Trovare l'amore. Come mi sentivo con me stessa. Chi ero. Guardai nello specchio dorato a tutta parete della stanza del Comandante. Avevo i capelli scompigliati. La camicia zuppa di sangue. La faccia macchiata di sudiciume. Pressoché il medesimo riflesso del momento in cui ero diventata l'assaggiatore ufficiale. Ma questa volta c'era qualcosa di diverso: le ombre del dubbio se n'erano andate. Scrutai più a fondo e trovai la mia anima. Una piccola anima sbrindellata e con qualche buco, ma era pur sempre lì. C'era sempre stata, realizzai turbata. Se Reyad e Mogkan l'avessero davvero scacciata da dentro di me, in quell'istante sarei stata incatenata a un pavimento e non in piedi sulla figura inerte di Brazell. Avevo il controllo. Quella nuova persona nello specchio era libera. Libera da tutti i veleni. Lanciai un'occhiata a Brazell. Respirava ancora, ma ero io responsabile di lui e di me stessa. Al comando. Non più una vittima. Non più il topo preso nelle fauci metalliche di una trappola. «Non farti più vedere» ordinai allo spettro di Reyad. La sua espressione sconvolta mi diede grande gioia mentre svaniva. Tuttavia la gioia fu come una farfalla che si posa su una mano: un breve istante di riposo prima di volare via.

«Janco è ferito.» La voce allarmata di Irys mi risuonò nella mente. «Ci occorre un medico. Vieni subito.» Usando le manette prese dal cinturone di una guardia morta, ammanettai Brazell al pesante letto, poi schizzai via dalla stanza. Corsi per i corridoi. Non può morire, pensai. Non Janco. Non potrei sopportare la sua morte. Orribili scenari danzavano nella mia mente. Ero così preoccupata che passai di corsa davanti a Valek e Mogkan senza neppure riconoscerli. Duellavano con le spade. La ragione per cui la scena aveva richiesto un po' di tempo per chiarificarsi nella mia mente era che Mogkan stava avendo la meglio. Il volto pallido di Valek era stravolto. Roteava la spada come fosse un peso morto, la sua grazia naturale era svanita, e quello che rimaneva erano sporadici, spasmodici movimenti. Il suo avversario, d'altro canto, era rapido ed efficiente, tecnicamente preciso pur mancando di stile. La mia incredulità e preoccupazione crebbero osservando lo scontro. Che cos'aveva Valek che non andava? Era la magia di Mogkan? No, Valek ne era immune, pensai. Poi sorse un lume di comprensione. Valek mi aveva detto che stare vicino a un mago era come cercare di avanzare dentro uno sciroppo denso. E lui aveva combattuto sette guardie nella camera del Comandante, dopo aver passato gli ultimi due giorni in prigione senza cibo né sonno. Lo sfinimento gli si era infine abbattuto addosso. Il ghigno di Mogkan si allargò quando mi individuò a indugiare lì accanto. Eseguì una finta alla velocità del lampo, seguita da un affondo. La spada di Valek tintinnò cadendo Per terra mentre un taglio cremisi gli serpeggiava lungo il braccio. «Che giornata incredibile!» esclamò Mogkan. «Arrivo a uccidere il famoso Valek e la famigerata Yelena allo stesso tempo.» Feci scattare il serramanico. Mogkan rise e mi inviò un comando magico di lasciar cadere l'arma. Proprio mentre la mia mano abbandonava la lama, udii la voce di Irys nella testa. «Yelena, che cosa c'è che non va? Hai trovato il medico?» «Ho bisogno di aiuto!» gridai nella mia mente. Il potere mi sgorgò

dentro, premendo per liberarsi. Puntai un dito di potere contro Mogkan. La spada gli cadde di mano. Il terrore gli artigliò la faccia mentre la magia lo fasciava come un neonato, per poi stringersi come un cappio. Lui era paralizzato, ancorato al suolo. «Tu, figlia di un demone, generata da una topa!» imprecò. «Sei una maledizione su questa terra. Un'incarnazione d'inferno. Sei proprio come il resto di loro. La linea di sangue di Zaltana dovrebbe venire bruciata, cancellata, sterminata...» Mogkan continuò la sfuriata, ma io smisi di ascoltare. Valek raccolse il mio serramanico. Le maledizioni di Mogkan si fecero più alte e frenetiche mentre lui gli si avvicinava. Un movimento rapido e indistinto, uno strillo di dolore, poi Mogkan restò finalmente zitto. Il suo corpo si afflosciò in un fagotto per terra. Valek mi tese il coltello insanguinato. Con un inchino esausto, disse: «Amor mio, per te».

Capitolo 32 tenni il fiato, ricordando. «Janco!» Afferrando il braccio di Valek, lo trascinai con me, spiegandogli che cosa era successo tra un respiro e l'altro, ad ansimi. Indossando ancora i colori di Brazell, benché laceri e macchiati di sangue, svegliammo il medico che, con petulante fastidio, sollevò un'infinità di obiezioni citando il protocollo e l'autorità competente fino a quando Valek non tirò fuori il coltello. Mi si rivoltò lo stomaco quando entrammo nell'ala di Reyad. Il corridoio che portava alla stanza dei prigionieri era uno scenario raccapricciante: il pavimento era coperto di soldati, pezzi di gambe e di braccia erano sparsi tutto attorno come se qualcuno si fosse aperto una strada attraverso una foresta. Le pareti erano schizzate di sangue e pozze scarlatte chiazzavano il pavimento. Il medico voleva fermarsi al primo uomo, ma Valek lo tirò in piedi. Girando con cautela attorno ai cadaveri, raggiungemmo la soglia. Appena dentro, vidi Janco disteso sul fianco con la testa in grembo ad Ari. Era privo di conoscenza, il che era una buona cosa dal momento che una spada gli aveva infilzato lo stomaco e la punta insanguinata gli sporgeva dalla schiena. Il viso di Ari, schizzato di sangue raggrumato, aveva un'espressione cupa. Un'ascia coperta di scarlatto, l'arma responsabile del carnaio nel corridoio, riposava accanto a lui. Irys sedeva a gambe incrociate al centro del cerchio di persone emaciate. La fronte le scintillava di sudore. La sua espressione era distante. Le donne e gli uomini in catene contemplavano la scena con sguardi indifferenti. Il tragitto fino all'infermeria fu un incubo caotico. Ogni cosa si confuse insieme come in un turbine, finché non mi trovai a giacere in un letto vicino a Janco, tenendogli la mano. Il medico faceva del suo meglio, ma se la spada aveva perforato organi vitali o se c'era un'emorragia interna, il mio amico non sarebbe sopravvissuto.

Per due volte durante la notte Ari e io credemmo di perderlo. La mia ferita era stata ripulita e sigillata con la colla di Rand, ma feci appena caso al dolore pulsante né me ne importò. Indirizzai tutta la mia forza ed energia verso Janco, desiderando che vivesse. Il giorno dopo, sul tardi, mi destai da un leggero dormiveglia. «Si dorme in servizio?» bisbigliò Janco con un lieve sorriso sul volto cinereo. Tirai un sospiro di sollievo. Se era forte a sufficienza per prendermi in giro, di certo doveva essere in via di guarigione. Disgraziatamente, Irys non poté dire lo stesso del Comandante Ambrose. Quattro giorni dopo la morte di Mogkan, non era ancora tornato in sé. I suoi consiglieri erano riaffiorati a poco a poco dal loro breve incantamento, e avevano preso il controllo del maniero di Brazell in attesa che il Comandante si riprendesse. Assunsero il temporaneo controllo del Distretto Militare. Furono inviati messaggeri a nord al Generale Tesso di MD-4 e a ovest al Generale Hazal di MD-6, richiedendo la loro presenza immediata. I Generali avrebbero avuto l'autorità di determinare quale sarebbe stato il passo successivo, nel caso che il Comandante non fosse più tornato in sé. Altrettanto misterioso era il fatto che nessuna delle vittime di Mogkan, Brazell e Reyad si fosse risvegliata quando Irys sondava le loro menti. Aveva provato a penetrare nel loro cervello, a insinuarsi dove si celava la loro autocoscienza. Irys riferì che erano come case abbandonate, perfettamente ammobiliate, con le braci ancora fumanti nel caminetto, solo che in casa non c'era nessuno. Irys e io ci rassegnammo alla consapevolezza che le vittime avrebbero vissuto i loro giorni ignari del loro nuovo comodo alloggiamento nell'ala degli ospiti di Brazell. Mi afflissi per la perdita della mia amica Carra. Irys aveva perlustrato le stanze usate dagli orfani, e mi aveva riferito che May era ancora là, viva e sana. Progettai di farle visita non appena Janco avesse ripreso un po' le forze. «È evidente che i bambini dell'orfanotrofio di Brazell venivano rapiti da Sitia» spiegò Irys, facendomi visita in infermeria accanto al

letto di Janco. «La cerchia di ladri di bambini di Mogkan intervallava i rapimenti abbastanza da evitare di essere individuata. La magia è solitamente più forte nelle femmine, e questo spiega perché ci siano più ragazze. I rapitori prendevano di mira famiglie nelle quali era presente la magia, anche se era sempre un azzardo con bambini così piccoli, perché non è possibile essere sicuri che il potere si svilupperà. Mogkan e Brazell devono aver pianificato tutto questo per molto tempo.» Irys si passò le dita tra i lunghi capelli castani. «Trovare la tua famiglia non dovrebbe essere troppo difficile.» lo battei le palpebre guardandola sconvolta. «Stai scherzando, giusto?» «Perché dovrei scherzare?» Non si rendeva conto della tempesta di emozioni che aveva provocato dentro di me. Aveva ragione, scherzare non era nel suo stile, così mi soffermai a riflettere per un momento. «Prima di morire, Mogkan ha detto qualcosa a proposito della linea di sangue di Zaltana.» «Zaltana!» Spazzando via la sua consueta espressione grave, Irys rise. Fu come il sole che facesse capolino dopo settimane di pioggia. «Credo che abbiano perso una bambina, in effetti. Caspita, avrai una vera sorpresa se fai parte del clan Zaltana. Ciò spiegherebbe perché tu sola non hai ceduto sotto l'incanto di Mogkan.» Molte domande mi aleggiavano sulle labbra. Desideravo sapere di più di questa famiglia, ma non volevo nutrire troppe speranze, perché esisteva comunque la possibilità che io non fossi una Zaltana. Immaginai che l'avrei scoperto quando avessi raggiunto Sitia. Irys voleva immediatamente.

iniziare

il

mio

addestramento

magico

Un senso di disagio mi opprimeva ogni volta che pensavo a lasciare Ixia. Cambiai argomento. «Come sta il Comandante?» Irys confessò la propria frustrazione. «Lui è diverso dai ragazzi. Nelle loro menti non c'è niente, mentre lui si è ritirato in un posto tutto bianco. Se riuscissi a scoprire dov'è, forse potrei essere in grado di riportarlo indietro.»

lo considerai la cosa per un po', e ripensai a un momento nella sala tattica in cui ero caduta addormentata. «Secondo te potrei provarci io?» «Perché no?» Mi assicurai che Janco fosse comodo e avesse tutto quello che desiderava, dopodiché Irys mi accompagnò alla stanza del Comandante. I cadaveri erano stati rimossi e qualcuno aveva tentato di dare una pulita. Mi sporsi sull'orlo del letto del Comandante e presi la sua mano gelida nella mia. Poi, seguendo le istruzioni della maga, chiusi gli occhi, proiettando verso di lui la mia coscienza mentale. I miei piedi scricchiolavano sul ghiaccio. Un vento freddo mi sferzava il viso e mi riempiva i polmoni di minuscoli pugnali. Un biancore abbagliante mi circondava. Polvere di diamante oppure fiocchi di neve, era difficile a dirsi. Camminai per un po' e fui immediatamente disorientata dal turbine scintillante. Incespicando attraverso la tempesta, lottai per restare calma e per rammentare a me stessa che non mi ero perduta. Ogni volta che facevo un passo avanti, il vento ghiacciato mi ricacciava indietro. Ero sul punto di dichiararmi sconfitta, quando ricordai perché avevo pensato di poter trovare io il Comandante. Mi concentrai sulla scena di una giovane donna che esultava su un gatto delle nevi ucciso, e il vento cessò mentre il turbine diradava. Mi ritrovai ritta vicino ad Ambrose. Era vestita di pesanti pellicce bianche da cacciatore che assomigliavano al pelame del gatto. «Torna indietro» dissi. «Non posso» rispose lei, indicando in lontananza. Esili sbarre nere ci circondavano su tutti i lati. La mia prima impressione fu di una gabbietta per uccelli, ma a un esame più approfondito potei vedere che le sbarre erano soldati armati di spade. «Ogni volta che ho cercato di andarmene, mi hanno ricacciata indietro.» La furia le fiammeggiò sul viso prima di smorzarsi in spossatezza.

«Ma tu sei il Comandante.» «Non qui. Qui sono soltanto Ambrosia, intrappolata in quell'errore che è il mio corpo. I soldati sanno della mia maledizione.» Frugai nella mia mente in cerca di una risposta. Le guardie non appartenevano a Mogkan, intuii, appartenevano a lei. Poi i miei occhi furono attratti dalla carcassa del gatto delle nevi. «Come hai ucciso il gatto?» Il suo viso si animò mentre raccontava come si fosse immersa nell'odore dell'animale e avesse trascorso settimane avvolta in pellicce di gatto delle nevi, fingendo di essere uno di loro fino a quando non le avevano permesso di far parte del branco. Alla fine era stata solo questione di tempo e di cogliere l'opportunità perfetta per effettuare l'uccisione. «Prova che ero realmente un uomo. Che mi ero conquistato il diritto di essere un uomo.» «Allora forse dovresti indossare il tuo trofeo» suggerii. «Le pellicce non ti aiuteranno contro quella masnada.» Accennai con la testa al cerchio di guardie. La comprensione dilatò gli occhi dorati della donna, che fissò il gatto ucciso, e poi si trasformò nel Comandante. I suoi capelli lunghi fino alle spalle si accorciarono nel taglio sfumato che conoscevo, sottili rughe dovute all'età si formarono sul suo viso mentre lui emergeva. Le bianche pellicce caddero a terra mentre si materializzava la sua uniforme senza una grinza. Ambrose si allontanò dalle pellicce, liquidandole con un calcio. «Non dovresti far questo» dissi. «Lei è parte di te. Potresti avere di nuovo bisogno di lei.» «E ho bisogno di te, Yelena? Posso fidarmi di te per mantenere la mia trasformazione un segreto?» domandò il Comandante con inflessibile intensità. «Sono venuta qui per riportarti indietro. Non è una risposta sufficiente?» «Valek mi ha giurato fedeltà con il suo sangue quando gli ho

inciso la mia iniziale sul petto. Faresti lo stesso?» «Valek sa di Ambrosia?» domandai. «No. Non hai risposto alla mia domanda.» Mostrai al Comandante la farfalla di Valek. «lo sul petto porto questa. Ho votato la mia lealtà a Valek, che è fedele a te.» Il Comandante tese la mano verso la farfalla. Rimasi ferma mentre la staccava dalla collana. Prese un coltello dalle pellicce e si fece un taglio sul palmo destro. Tenendo il ciondolo nella mano sanguinante, tese il coltello verso di me. lo sporsi la mano destra, trasalendo quando il coltello la incise. Il nostro sangue si mescolò mentre stringevo la sua mano con la farfalla incuneata tra le nostre palme. Quando lasciai la stretta, il dono di Valek era nella mia mano. Lo rimisi al posto che gli spettava sopra il mio cuore. «Come torniamo indietro?» domandò Ambrose. «Sei tu il Comandante.» I suoi occhi si posarono sul gatto morto. Guardando l'anello di soldati tutto attorno, estrasse la spada. «Combattiamo» disse. lo estrassi la lancia dal fianco del gatto e la pulii del sangue nella neve. Valutando il peso dell'arma nella mia stretta, la roteai in qualche mossa da esercitazione. Era più leggera di un archetto, e un tantino disequilibrata dalla punta di metallo, ma avrebbe funzionato. Caricammo gli uomini. Il cerchio di guardie si serrò immediatamente attorno a noi. Schiena contro schiena, il Comandante e io combattemmo. Gli uomini erano bene addestrati, tuttavia il Comandante era uno spadaccino magistrale. Aveva avuto la meglio su Valek e ucciso un gatto delle nevi. Era come combattere con altri cinque difensori al mio fianco. Quando affondai la punta della lancia nel cuore di una guardia, questo esplose in uno scroscio di cristalli di neve che fluttuarono via nel vento. Il tempo rallentò mentre facevo a pezzi un uomo dopo l'altro, finché finalmente il tempo scattò al presente. Roteai attorno

cercando un oppositore, solo per scoprire che avevamo eliminato tutti i soldati. La neve continuava a turbinare attorno a noi. «Bel lavoro» disse il Comandante. «Mi hai aiutato a riscoprire il vero me stesso, ad annientare i miei demoni.» Mi prese la mano e se la portò alle labbra. La scena invernale si sciolse, e mi trovai di nuovo sul letto, a guardare negli occhi potenti del Comandante. Quella notte, Valek e io aggiornammo il Comandante su tutto quanto era successo dall'Incontro del brandy con i Generali. Valek aveva fatto interrogare Brazell, scoprendo che lui e Mogkan durante gli ultimi dieci anni avevano pianificato un colpo di stato. «Brazell mi ha raccontato che Mogkan si presentò al suo castello con un gruppo di bambini» disse Valek. «Stava cercando un posto per nascondersi e strinse un accordo con Brazell per aiutarlo a diventare il prossimo Comandante. Una volta che Mogkan ebbe acquisito potere sufficiente a raggiungere la vostra mente da DM-5, cominciarono a somministrarvi il Creolo, Signore.» «Che cosa mi dici della fabbrica?» domandò il Comandante. «Abbiamo fermato la produzione» rispose Valek. «Ottimo. Recupera quante più attrezzature possibile, poi brucia fino alle fondamenta la fabbrica e tutto il Creolo.» «Sì, Signore.» «Qualcos'altro?» «Un'altra informazione interessante. Brazell ha detto che, una volta che lui e Mogkan avessero avuto il controllo di Ixia, progettavano di invadere Sitia.» Il giorno seguente il Comandante tenne corte, con Valek che stava al suo fianco destro. Brazell fu condotto di fronte a lui per subire il giudizio. Come previsto, Brazell fu privato del suo grado e condannato a passare il resto della vita nella segreta del Comandante. Essendogli state concesse poche ultime parole, Brazell urlò:

«Stupidi! Il vostro Comandante è un impostore. Siete stati ingannati per anni! Il Comandante Ambrose è in realtà una donna vestita da uomo!». Il silenzio avvolse la stanza, ma l'espressione neutra del Comandante non vacillò mai. Presto echeggiarono risate dalle pareti di pietra, e Brazell venne trascinato via tra scherni e lazzi. Chi avrebbe creduto ai vaneggiamenti di un pazzo? Ovviamente nessuno. Ridevano non perché l'idea di una donna al comando fosse ridicola, ma perché il Comandante Ambrose aveva una presenza imperiosa. Il suo modo di fare franco e conciso era così sincero e diretto che il pensiero che lui potesse ingannare qualcuno era ridicolo. E per via delle sue credenze e convinzioni su se stesso, benché sapessi la verità, non potevo pensare a lui in nessun altro modo. Più tardi nel corso della giornata, andai a visitare l'orfanotrofio. Trovai May nel dormitorio. Questa volta ricordi felici mi seguirono mentre camminavo per le stanze usate dagli orfani. Quando mi vide, May balzò giù dal letto e mi si avvinghiò. «Yelena, pensavo che non ti avrei rivista mai più» tubò espansiva. lo la strinsi forte. Quando si staccò da me, sorrisi nel vedere la sua camicia stazzonata e la coda di cavallo arruffata. Mentre le intrecciavo i capelli, May chiacchierava di quello che era successo da quando me n'ero andata. La sua eccitazione tuttavia svanì quando parlò di Carra. E fu allora che potei vedere quanto era cresciuta. Quando finii di intrecciarle i capelli, disse: «Verremo con te a Sitia!». Poi fece una piroetta, incapace di stare ferma, e accennò a una valigia sul pavimento. «Che c'è?» «Quella signora del sud ci ha detto che voleva portarci a casa. A trovare le nostre famiglie!» Una breve fitta mi serrò il cuore. Famiglia aveva un significato diverso per me. Valek, Ari e Janco li sentivo come la mia famiglia, e perfino Maren assomigliava a una burbera sorella maggiore.

«È fantastico» dissi a May, cercando di non smorzare il suo entusiasmo. May smise per un istante di danzare. «Ce ne sono rimasti così pochi di noi» disse con voce sommessa. «Valek farà in modo che Carra e gli altri siano ben curati, vedrai.» «Valek! È così bello.» May rise, e udire quel suono fu delizioso, tanto che non potei resistere e la abbracciai di nuovo. Janco, d'altro canto, mi accolse con una faccia funerea quando mi fermai a salutare. Irys, impaziente di dirigersi a sud, voleva partire in mattinata. Ah mi aveva sostituito nel ruolo di infermiera, ed era seduto accanto a Janco. «Che ne è di Assedi superati, assieme combattuto, amici per sempre?» gli domandai, citando il messaggio sul mio serramanico. Gli occhi di Janco si illuminarono. «Tu, piccola volpe. L'hai decifrato di già?» lo feci un sorrisetto. «Non appena Janco starà meglio, verremo a sud» annunciò Ari. «E che cosa ci fareste laggiù?» domandai io. «Prendere il sole e abbronzarci» rispose Janco sorridendo. «Potrei farmi una vacanza.» «Proteggerti» disse Ah. «Non ho bisogno di protezione, nel sud» replicai. «E mi pare di ricordare che non molto tempo fa, ho battuto due dei miei istruttori.» «Si dà già delle arie» sospirò Janco, scuotendo la testa. «Non possiamo andare con lei adesso, sarà tutta boria e vanterie e completamente odiosa. È già abbastanza brutto dover sopportare tutto questo con Ari, non potrei mai gestirne due.» «E poi» aggiunsi, «vi annoiereste.» Ari borbottò e incrociò le braccia massicce, con aria acida. «Al primo accenno di guai ci mandi un messaggio, e noi saremo lì.

Capito?» «Sissignore» risposi. «Non preoccupatevi per me. Starò bene. E tornerò.» «Sarà meglio per te» disse Janco. «Voglio la rivincita.» Ma avevo parlato troppo presto a proposito di ritornare. Valek, Irys e io avevamo discusso del mio futuro, tuttavia il Comandante sembrava avere altri progetti. Ambrose indisse infatti un incontro formale per quella sera. Soltanto Valek, Ari e Irys erano presenti nel vecchio ufficio di Brazell. Davanti a loro il Comandante accettò di onorare il trattato commerciale con Sitia, anche se era stato siglato sotto l'influsso di Mogkan. Poi mi comunicò il mio destino. «Yelena» esordì in tono formale, «tu mi hai salvato la vita e per questo ti ringrazio. D'altra parte possiedi poteri magici che non sono tollerati in Ixia. Non ho altra scelta se non firmare l'ordine per la tua esecuzione.» Valek posò una mano ammonitrice sulla spalla di Ari per impedirgli di aggredire il Comandante. Ari restò fermo, sebbene la furia che lo animava fosse palese sul suo viso. Quando il Comandante tese un foglio a Valek, mi si diffuse un gelo nella carne che si lasciò dietro una sorda sensazione di paura. Valek non si mosse. «Signore, ho sempre ritenuto che avere un mago che lavorasse per noi sarebbe stato proficuo e avrebbe potuto prevenire questa specifica situazione» affermò. «Possiamo fidarci di lei.» «Un argomento valido.» Il Comandante ritirò il braccio, posandolo sulla scrivania. «Tuttavia, anche se ci fidiamo di lei, anche se lei mi ha salvato la vita, io devo seguire il Codice di Comportamento. Fare altrimenti sarebbe un segno di debolezza, cosa che non mi posso permettere in questo preciso momento, specialmente dopo questa faccenda di Mogkan. In più, i Generali e i miei consiglieri non si fidano di lei.» Ancora una volta il Comandante tese a Valek l'ordine di esecuzione. Nella mia mente frenetica udii Irys dirmi di fuggire. Lei avrebbe tentato di rallentare Valek. No, le risposi. Voglio vedere come va a finire. Non voglio scappare.

«Non intendo prenderlo» disse Valek con voce piatta, senza tradire alcuna emozione. «Disobbediresti a un ordine diretto?» gli domandò il Comandante. «No. Se non ricevo l'ordine, non sarò costretto a disobbedirvi.» «E se ti impartissi un ordine verbale?» «Obbedirò. Ma sarà davvero l'ultimo servizio che eseguirò per voi.» Valek si sfilò un pugnale dalla cintura. Risuonò uno stridore d'acciaio quando Ah sfoderò la spada. «Dovrete prima passare sul mio cadavere» annunciò, parandosi davanti a me. Ari aveva una probabilità superiore alla media di battere Valek, ma sapevo che non avrebbe vinto. E non volevo che ci provasse. «No, Ari» dissi. Gli abbassai il braccio che reggeva la spada, e mi avvicinai a Valek. I nostri occhi si incontrarono. Compresi che la lealtà di Valek al Comandante era fuori questione. I suoi occhi blu contenevano una determinazione feroce e io seppi nell'animo la consapevolezza che lui si sarebbe tolto la vita subito dopo aver preso la mia. Il Comandante ci osservò in tacita riflessione. Sentii il tempo congelarsi sotto il suo scrutinio. «Ho firmato l'ordine, secondo il Codice» disse infine il Comandante. «Assegnerò qualcun altro a eseguirlo. Potrebbe volerci qualche giorno, prima che riesca a trovare una persona adatta.» Guardò me e Irys, come per suggerirci che avremmo dovuto partire il prima possibile. «Quest'ordine è valido soltanto entro i confini del Territorio di Ixia. Siete tutti congedati.» L'ufficio si vuotò in fretta. Ero stordita dal sollievo quando Ari mi sollevò in uno dei suoi abbracci da orso e ululò di gioia. Ma poi il cuore mi si strinse di dolore quando realizzai che sarei stata divisa da Valek così presto dopo che ci eravamo uniti. Quando Irys e Ari se ne furono andati per organizzare la fuga, Valek mi tirò in disparte. Ci baciammo con passione e con un'ansia disperata. Dopo che ci fummo staccati per prendere fiato, gli proposi: «Vieni con me». Non era una preghiera o una domanda. Era un invito.

Gli occhi blu di Valek si chiusero con dolore. «Non posso.» lo mi voltai, sentendomi come una delle statue nere di Valek, ma lui mi attirò a sé. «Yelena, tu hai bisogno di imparare, hai bisogno di trovare la tua famiglia, bisogno di spalancare le ali e vedere quanto lontano riesci a volare. Tu non hai bisogno di me in questo momento, ma il Comandante sì, ha bisogno di me.» Mi aggrappai a Valek. Aveva ragione, non avevo bisogno di lui, eppure volevo che lui stesse con me per sempre. Partimmo quella notte. Irys guidava il nostro gruppo eterogeneo. Otto ragazzine e due ragazzi dell'orfanotrofio di Brazell seguivano Irys attraverso la foresta verso il confine meridionale, lo chiudevo la fila per assicurarmi che stessero tutti insieme, e per essere certa che nessuno pedinasse il nostro gruppo. Camminammo per alcune ore prima di trovare una radura adatta ad accamparsi per la notte. Provviste più che adeguate per il nostro viaggio erano state fornite da Ari. Sorrisi, ricordando la lezioncina che mi aveva fatto sullo stare lontano dai guai. Proprio come un fratello iperprotettivo, non era stato soddisfatto finché non avevo promesso di mandargli un messaggio se avessi avuto bisogno d'aiuto. Lui e Janco mi sarebbero mancati tantissimo. Rizzammo sei piccole tende in cerchio. Irys sbalordì i bambini quando diede fuoco alla fascina con un magico svolazzo della mano. Dopo che tutti furono andati a dormire, io sedetti presso il fuoco, attizzando le braci morenti. Riluttante a raggiungere May nella nostra tenda, guardai la fiammella solitaria che eruppe quando frugai nel fuoco. Danzava per sé o per un pubblico di una sola persona. Mi chiesi per la centesima volta perché Valek non fosse venuto a salutarmi, sfiorando il mio ciondolo. Percepii del movimento. Balzando in piedi, recuperai l'archetto. Un'ombra si staccò da un albero. Irys aveva creato attorno alle nostre tende una barriera magica che secondo lei avrebbe deviato la visuale di qualsiasi persona, così che tutto quel che avrebbe visto sarebbe stato una radura deserta. L'ombra si fermò al limitare del

bosco, intoccata dalla magia, e mi sorrise. Valek. Protese una mano, lo afferrai le sue dita fredde con entrambe le mani mentre lui mi conduceva lontano dalle tende, nel fitto della foresta. «Perché non sei venuto prima che partissimo?» gli chiesi quando ci fermammo alla base di un albero. Le radici della massiccia quercia erano affiorate dal terreno, creando piccole cavità protettive. «Ero occupato ad assicurarmi che il Comandante avesse il suo bel daffare a individuare qualcuno per far eseguire i suoi ordini.» Valek sogghignava con perversa delizia. «È sorprendente di quanto lavoro ci sia bisogno per ripulire il Territorio dopo Brazell.» Meditai su cosa comportasse quella pulizia. «Chi assaggia i pasti del Comandante, adesso?» domandai. «Per ora, io. Ma credo che il Capitano Star sarebbe un'eccellente candidata. Dal momento che sa chi sono tutti gli assassini, ritengo che il suo aiuto sarà inestimabile.» Fu il mio turno di sorridere. Star avrebbe lavorato bene se avesse passato l'addestramento. Se. «Basta chiacchiere» disse Valek, guidandomi giù tra le radici. «Ho bisogno di darti un congedo adeguato.» Trascorsi la mia ultima notte a Ixia con Valek, sotto l'albero. Le ore volarono fino all'alba. Si intrufolò il sole nascente, destandomi da un torpore appagato tra le braccia di Valek, costringendomi ad affrontare il giorno in cui avrei dovuto lasciarlo. Intuendo il mio stato d'animo, lui disse: «Un ordine di esecuzione non basterà a tenerci separati. Ci sono modi di aggirarlo. Staremo insieme». «Questo è un ordine?» «No, una promessa.»

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